17 arresti dei giovani del clan schiavone gestiti dai padri dalle carceri

Una inchiesta coordinata dalla Dda di Napoli ha portato
questa mattina all’esecuzione di 17 misure cautelari – 14 in carcere e 3
ai domiciliari – e ha permesso di individuare una banda con elementi
di spicco del clan dei Casalesi, fazione Schiavone, confermando, così come
scrive il gip, “ancora la piena attività del clan dei Casalesi
attraverso le nuove leve”.

Estorsioni,
traffico di sostanze stupefacenti, di armi, e anche la presenza nel gruppo di
due albanesi che devono rispondere di sfruttamento della prostituzione di
bulgare e rumene nelle province di Caserta e Napoli. Reati aggravati dal metodo
mafioso.  

In particolare, sono finiti in manette figli di esponenti storici del clan che
continuavano a portare avanti, con la supervisione dei padri in carcere, tutte
le attività illecite. In carcere sono finiti Giacomo Capoluongo, ritenuto
l’attuale cassiere del clan, Salvatore Fioravante, referente nella zona di
Trentola e San Marcellino per le estorsioni e lo spaccio di droga, Oreste
Diana, figlio di Giuseppe, e Giuseppe Cantone, figlio del boss Raffaele.

Dall’attività investigativa, iniziata nel 2016, che ha trovato anche molte reticenze da parte di imprenditori, sintomo che il potere del clan riesce ancora ad influenzare, è emerso che Giacomo Capoluongo raccoglieva i soldi delle estorsioni, dello spaccio e del traffico di armi nell’agro aversano, assumendo un ruolo di primo piano all’interno dell’organizzazione; Oreste Diana ha continuato l’attività del clan restando “come suo padre, fedele agli Schiavone e uomo di fiducia del figlio del boss, Ivanhoe”, e si è’ occupato personalmente delle piazze di spaccio nonché della gestione di un punto scommesse intestato a prestanomi e situato a Trentola Ducenta; Giuseppe Cantone insieme a Diana e a Salvatore Della Volpe sarebbe stato molto attivo nella gestione delle piazze di spaccio; Salvatore Fioravante invece oltre che della droga si sarebbe occupato dell’approvvigionamento delle armi.

Il gruppo imponeva il ‘pizzo’ a imprenditori dell’agro aversano, arrivando anche a chiedere 60mila euro per lavori nelle abitazioni.

L’approvvigionamento
della droga avveniva attraverso due corrieri n quartiere di Napoli di
Secondigliano, ma anche attraverso un gruppo di albanesi che fornivano al
gruppo di Schiavone armi e droga importate dall’Albania attraverso porti della
Puglia. Gli albanesi gestivano anche delle proprie piazze di spaccio a
Mondragone e Castel Volturno, oltre al giro di prostituzione.