Palermo è la città che sta ospitando il Gay Pride Nazionale, denominato per questo Palermo Pride 2013. La sfilata dell’orgoglio omosessuale percorrerà le strade del capoluogo siciliano partendo, alle ore 16.00, dal Foro Umberto. In concomitanza la “Prima marcia per la Famiglia”, una manifestazione in favore della famiglia naturale fondata sul matrimonio organizzata da associazioni cattoliche ed evangeliche per rispondere al bisogno di esserci in maniera alternativa.
Palermo si sveglia con i colori dei diritti e delle attese di una società in mutamento. Tutti scelgono la piazza per portare all’attenzione dell’opinione pubblica la propria scelta di vita e la speranza correlata che lo Stato se ne faccia carico completamente. Lo fa con i toni allegorici la comunità Lgbt, che a Palermo trova un clima accogliente nella sponda con il Governo regionale, patrocinante per la prima volta di un evento di questo genere, ma anche le famiglie cattoliche e le 40 organizzazioni che in concomitanza con il Gay Pride hanno deciso di “presidiare” il capoluogo siciliano e proprio quel Parlamento regionale (la marcia per la famiglia avrà proprio inizio in Piazza del Parlamento) che negli ultimi mesi sembra essersi orientato verso provvedimenti – tutti in attesa dell’ok definito dell’ARS – utili al riconoscimento di una forma di cittadinanza alle unioni di fatto in Sicilia.
Oltre 50.000 mq per il ‘Pride Village’ più grande d’Europa! Gli organizzatori hanno allestito il “Pride Village”- la base dell’intera manifestazione- presso i Cantieri Culturali alla Zisa (ex Officine Ducrot), in Viale degli Asterischi, con 16 aree adibiti per un programma che conterrà convegni, mostre a tema, concerti e spettacoli, unendo il dibattito ed il confronto socio-politico a momenti di svago. L’ex area industriale, che comprende 23 capannoni realizzati tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del ’900 e abbandonata per decenni, ospita da qualche anno eventi teatrali, musicali e iniziative culturali, ed è anche la sede del Goethe Institut, del Centre Culturel Francais de Palerme et de Sicile, dell’Istituto Gramsci Siciliano, della sede palermitana della Scuola Nazionale di Cinema, tutti coinvolti nella realizzazione del Palermo Pride 2013, oltre che di ZAC_ Zisa Zona Arti Contemporanee. L’evento porta tra i soggetti patrocinanti la Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo, l’Ambasciata Americana in Italia, la Croce Rossa Italiana, il Coni, il Comune di Palermo e la Provincia Regionale di Palermo, la Camera di Commercio e Confindustria Palermo.
Nel più sobrio Parco Ninni Cassarà, invece, l’evento promosso dal comitato promotore della “Prima giornata per la Famiglia” che vedrà alternarsi performance di strada, spettacoli musicali e teatrali, presentazione di libri, interventi e tavole rotonde, incentrati sul tema della famiglia e della tradizione siciliana (su tutti, il cantastorie e l’opera dei pupi), il tutto in un clima pacifico e di festa.
Opinioni, polemiche della vigilia e le posizioni non sempre monolitiche sui temi dei diritti civili.
Entrambi gli eventi hanno l’attenzione dell’opinione pubblica e delle Istituzioni. In precedenza avevano creato scalpore le presenze della Presidente della Camera Laura Boldrini e del ministro per le pari opportunità Yosefa Idem. Un ostacolo arginato dalle prime defezioni nel campo conservatore di personalità che non sembrano più considerare “volgari carnevalate” le sfilate della comunità omosessuale. “Specialmente in un Paese come l’Italia in cui, per troppo tempo, si è preferito chiudere gli occhi pur di non affrontare questioni delicate che riguardano i diritti fondamentali di migliaia di cittadini. Bisogna allinearsi alle più moderne democrazie occidentali”, sono parole di un esponente del Pdl a commento proprio della partecipazione della Boldrini alle iniziative del Gay Pride. Nel partito azzurro altre voci liberal di netta apertura sono Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo.
Dall’ambiente del Pride sono le voci degli organizzatori a dettare l’agenda culturale dell’evento di oggi.“È stato un lavoro faticoso quello di organizzare il Palermo Pride Nazionale 2013″, spiega Titti De Simone, Presidente del Comitato Organizzatore del Pride, “ma siamo convinti di poter originare un’onda forte, positiva, per dare una scossa a questo Paese, sempre più in ritardo sui diritti civili e di cittadinanza. A noi piace l’Europa che riconosce e garantisce parità di diritti e di tutele a tutte le persone, a prescindere dall’orientamento sessuale, dalla religione, dalle opinioni politiche. Vogliamo quelle leggi che finora ci sono state negate”.
La scelta palermitana porta con sé, infatti, un dato culturale non indifferente: l’ “attacco alla famiglia tradizionale” sbarca in Sicilia, luogo tradizionalmente legato al sentimento religioso e alle differenze di genere storicamente concepite. Per gli organizzatori del Family Day palermitano “i promotori del Gay Pride sono venuti qui perché pensano che la Sicilia sia l’ultimo baluardo della tradizione da abbattere. Del resto la Regione Sicilia, nel corso di questi mesi, si è prodigata nel discutere e approvare disegni legge contro l’omofobia e a favore dell’identità di genere”. I promotori del “Family day” hanno deciso di organizzare la loro manifestazione proprio in questo stesso giorno “per ricordare che il matrimonio non può che essere – per definizione – soltanto l’unione legittima tra un uomo e una donna e che la Repubblica Italiana – come recita l’articolo 29 della Costituzione – ‘riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata su di esso’, il tutto in sintonia con l’articolo 13, comma 3, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che così si esprime: ‘La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato’, non potendo, dunque, altri tipi di unione essere equiparate a questo istituto.”
Lo spettro dell’omofobia da fugare
Dopo il “maggio francese” dei cattolici d’Oltralpe – che ha sancito il passaggio dalla rivendicazione di istanze proprie, alla protesta per la linea sul “matrimonio per tutti” del Presidente François Hollande – in Italia anche il mondo cattolico italiano proverà a dare una risposta speculare all’iniziativa di piazza contro il governo socialista di Parigi, organizzando il Family Day Palermo proprio nella stessa giornata del Pride. Ma stavolta non c’è un esecutivo da tallonare, visto che non è prevista alcuna iniziativa legislativa sui diritti per gli omosessuali.
Provocazione? Presidio più correttamente. Presidio di un’istanza – quella legata alla famiglia tradizionale – che in Italia vede mobilitarsi i cattolici anche se la stessa comunità cristiana negli ultimi anni ha ammorbidito la propria posizione sui temi dell’identificazione di genere e non mancano esperienze pastorali che accompagnano quei credenti omosessuali ad accettare la propria condizione. Non va sottaciuto che la Chiesa stessa ha sempre auspicato come certe tutele e riconoscimenti avvengano attraverso la modifica di alcuni articoli del codice civile, non certo attraverso l’estensione del matrimonio agli omosessuali. Una posizione che in passato anche l’allora ministro alla Famiglia, la cattolica Rosy Bindi, aveva provato a mediare con i “Dico”.
A confrontarsi a Palermo, quindi, due visioni di società diverse ma non necessariamente alternative.
Il tema dell’omofobia, in fondo, ha sollecitato le coscienze degli stessi credenti nell’ammettere come la religione non possa tollerare atti di discriminazione perpetrati ai danni di uomini o donne con un propria scelta d’identità. Pur avendo ben delineato il confine antropologico di cosa sia “famiglia” e cosa non lo è, la Chiesa ha dimostrato grande apertura alla vita affettiva tra persone dello stesso sesso. Così come anche quanti si professano sulla carta laici – ovvero persone che prediligono la voce del diritto sul credo di appartenenza – concordano come sia difficile riconoscere ai gay la responsabilità genitoriale o l’equiparazione delle loro unioni al matrimonio. Due posizioni quasi invertite rispetto alla classica dicotonia credenti e non credenti. Il capoluogo palermitano sarà , quindi, anche il testimone di due lenti a confronto. Non saranno certamente i numeri a stabilire il successo di una o dell’altra piazza. Nel caso della parata omosessuale molte saranno le presenze provenienti dal resto d’Europa.
Inoltre, l’attenzione sui recenti casi di violenza, come i fatti consumatisi in Russia, Uganda, Francia, Algeria e non ultima l’Italia, suggeriscono toni tersi dal pregiudizio e lontani da atteggiamenti intolleranti soprattutto se dall’altro lato della piazza non ci sono naziskin o teste di cuoio ma due parti di società che non si sono confrontate abbastanza e forse vittime dei sospetti reciproci che non generano il dialogo.
Navigando nella rete, sono numerosi i gruppi di omossessuali credenti che si associano per vivere il proprio credo con la stessa responsabilità degli altri, spesso seguiti da pastori o guide spirituali. Forse ci sarebbe da aggiungere che la genuinità con cui un ragazzo o una ragazza omosessuale si accosta al mistero della fede, superi l’abitudinarietà e certo bigottismo dei più ferventi “farisei dei giorni nostri” ma questa è una valutazione altra rispetto alla nostra riflessione.
Due piazze idiosincratiche: la mobilitazione che non sembra generare cambiamenti
Stavolta non c’è un esecutivo da arginare o tallonare. L’esperienza del primo Family Day aveva in parte sancito la caduta dell’esecutivo guidato da Romano Prodi e con quell’esperienza è finita anche la stagione dell’unioni di fatto, dei riconoscimenti di nuove istanze sociali e di qualsiasi dibattito sui diritti civili. Allo stesso modo la comunità Lgbt, al suo interno molto frammentata, non ha saputo cogliere il valore dell’interlocuzione con la società destando sempre il sospetto di essere depositari solo di interessi particolari, scevri dai doveri ma esigibili solo di diritti.
Sarebbe utile che all’interno degli ambienti culturali gayfriendly si comprendesse come le scelte debbano essere accompagnate dal sentimento predominante del popolo e non forzando presupposti corretti sul piano ideale ma poco avvertiti dalla maggioranza degli italiani, compresi gli omosessuali. Non è un caso se i registri comunali sulle unioni di fatto, laddove istituiti, sono pressoché andati deserti, con numeri che attestano una scarsa considerazione da parte delle coppie non interessate evidentemente a manifestare la propria unione. Forse chi vive il sentimento nella propria quotidianità non crede a questi strumenti, poiché in fondo non aggiungono o tolgono nulla al benessere di coppia.
Così sul campo dei cattolici. Occorre dire che forse è proprio all’interno delle famiglie di credenti – le prime spesso ad avvertire il cambiamento nei propri figli o nei compagni di scuola – che si scopre l’omossessualità. Non sono poche le storie di genitori che sostengono le scelte di vita dei propri figli o dei loro amici e fanno di tutto per non abbandonarli. Nascono così esperienze come il Progetto Gionata, famiglie di credenti con figli omosessuali che scoprono come “Dio non sbagli mai”. “Se vostro figlio vi dice di essere gay, fate in modo che ciò non vi ferisca o non crei delle distanze tra voi, ma che rafforzi l’amore, la fiducia e il desiderio di onestà, intimità e comunicazione confidenziale”. Scrivevano così i vescovi statunitensi nel lontano 1997 nel messaggio Always Our Children.
A Palermo forse non si scriverà una pagina di confronto e dialogo. Troppo cariche di ideologie le due piazze, entrambe segnate da certa stanchezza che nel caso del “Family Day Palermo” rischia di mettere in luce l’essere minoranza tra le minoranze in un paese che continua a disattendere articoli della Costituzione, scritti oltre sessant’anni orsono, a tutela della Famiglia in termini sociali, fiscali e di sistema Paese e solo in parte applicati e nel secondo caso la presa di distanza da una parata colorata, certamente liberante ma ormai poco veritiera del vissuto di chi non vuole più essere “il diverso” decidendo di non passare in rassegna la propria vita tra musica assordante, richiami erotizzanti e lustrini a corredo.
Sono le storie di molti ragazzi e ragazze che non credono nelle parate per dare visibilità ad un orgoglio che provano a vivere, invece, misurandosi nei luoghi di lavoro, nelle amicizie e rispetto agli affetti più prossimi come la famiglia di appartenenza, vista non più come “nemica” delle proprie scelte.
A darci contezza di questo desiderio di “normalità” è il noto blogger Antonio Andrea Pinna, (http://facebook.com/aapinna?ref=ts&;fref=ts), che in termini di provocazioni sul web non è secondo a nessuno. Antonio è omosessuale e lo ha dichiarato con la verve che lo contraddistingue. In un articolo pubblicato nel marzo scorso sul social magazine “Style.it”, commentava così la battaglia della comunità gay contro le istituzioni ma non contro la gente. L’opinione di Antonio Pinna suggerisce di curare la compostezza e l’eleganza.
“Non voglio fare polemica – scrive Pinna – ma credo che il miglior modo per farsi accettare sia non fare scandalo. Credo sia fondamentale, per avere i diritti che ci vengono negati, combattere la nostra battaglia contro le istituzioni ma non contro la gente. Se vogliamo che riconoscano l’amore gay come quello etero, dovremmo imparare a non ghettizzarci da soli, a non fare di noi una Lobby, un gruppo a sé. Dobbiamo stare uniti, uniti con tutti, non solo tra noi. Mostrare pubblicamente la nostra parte migliore, quella più comune, quella più nobile, quella più giusta. Se vogliamo poterci sposare, dobbiamo dare dimostrazione di volere un diritto, non di voler far scandalo. L’ignoranza è tanta, e anche io credo che sia giusto dover mostrare tutte le nostre sfaccettature nella loro complessità. Credo sia anche questo un nostro diritto. Ma così, forse, non arriveremmo mai al nostro scopo. Gli etero non ci vogliono far sposare perché pensano che siamo dei ninfomani privi di princìpi e troppo scenografici? Sono convinti che siamo pronti solo a fare le prime donne e a dare un cattivo esempio dal punto di vista dell’integrità morale?”.
Un’opinione motivata ed intelligente che può non trovare d’accordo tutti, compreso il pensiero dominante che nel Gay Pride vede l’unico modo per contrastare l’altra parte considerata omofoba e clericale.
Palermo può essere un luogo da cui partire per uscire dai luoghi comuni, oppure l’ennesima riedizione di piazze che – nonostante fede e ragione spesso abbiamo già dato una visione onnicomprensiva di entrambe le istanze – non parlandosi, continuano a percepirsi come avversarie.