4 novembre: più scuole, meno parate

– Pubblicità-

Gianni Berengo Gardin lancia un grido di dolore contro il “degrado generalizzato fortissimo” dell’Italia contemporanea, ma spera ancora che i giovani possano innamorarsi del Paese a 150 dall’Unità. “Oggi – ha detto il grande fotografo durante la presentazione dei dieci incontri organizzati dal Tci intitolati ‘Italia unita e diversa’ – fotografare il Paese è senz’altro più impegnativo perché nel degrado generale è molto più difficile selezionare ciò che di buono c’è”.
Secondo Berengo Gardin, che ha iniziato a occuparsi di fotografia nel 1954 e che ha dedicato all’Italia gran parte dei suoi 210 libri fotografici e dei reportage, “siamo arrivati al punto massimo di discesa per cui non possiamo che risalire”. Gran parte delle aspettative le ripone nei giovani, ma avverte che sono esposti a una pericola minaccia, cioè la cattiva televisione: “Non è che il degrado riguardi la maggioranza dei giovani, ma una buona parte. Io proibirei per legge i programmi della De Filippi che rappresentano quanto di più nocivo c’è per i giovani. Loro assorbono molto e quegli spettacoli li fanno diventare tutti dei bulli di periferia. Lo dico anche se vado contro la libertà di espressione: io li proibirei, così come l’Isola dei famosi e il Grande fratello”.
Per il grande fotografo, uomo in genere di poche parole, il degrado del Paese non riguarda dunque solo il paesaggio, ma il Paese intero, “del Governo, della politica e dei rapporti tra la gente”. Un fotografo, conclude, “deve essere per forza critico”, ma per l’Italia contemporanea si può “avere ancora speranza”.
Per tirar su le sorti d’Italia servono, quindi, più scuole e meno parate. + cultura e – Tv. Di spazzatura sono già piene le strade e non serve riempire anche le case. Il programma di celebrazione nazionale titolato “Nata per Unire” non riesce ancora a liberarsi dalla retorica statuale, armata, confinaria e burocrate. Non si scorge alcun orizzonte mediterraneo, europeo o transnazionale. E, paradossalmente, anche noi, preoccupati dai disgregatori dell’unità nazionale, non possiamo che convergere verso l’unità come abbiamo dimostrato a Teano: “con tutte le sue contraddizioni riteniamo che l’Unità d’Italia sia ancora un valore profondo. Centocinquanta anni di storia hanno prodotto un profondo interscambio di culture, di storie, di vite. Le popolazioni del sud, del centro e del nord si sono fuse attraverso milioni di matrimoni misti, e la lingua italiana è un patrimonio nazionale. Noi riteniamo che questa nostra Italia può ancora salvarsi se capisce che deve rifondare il suo patto sociale su altre basi valoriali e culturali”. Un cambio di passo, quindi, ma per risalire dal punto descritto da Gardin.
Sia chiaro. In questo 4 novembre non vogliamo essere né “imboscati e né sabotatori” ma farci carico in prima persona della difficile risalita dal baratro creato da chi ha sdoganato tutto e reso tutto lecito permeando al ribasso la cultura nazionale.
Ora dobbiamo chiederci se ha senso la liturgia che permea il 4 novembre. Dall’apertura, questa mattina, all’Altare della Patria fino a domenica 7 novembre, con il concerto di Biagio Antonacci a Piazza del Popolo a Roma, che per l’occasione sarà sorvolata dalle Frecce Tricolori, mentre a terra rimarranno in bella mostra i bombardieri. Non solo. Dobbiamo chiederci se hanno senso le ‘Conferenze nelle scuole’, che prevedono di coinvolgere 294 istituti e quasi 38mila studenti. Ma per proporre cosa? “Si vis pacem para pacem”? oppure “Si vis pacem para bellum”?
Dobbiamo chiederci se ha senso le ‘Caserme aperte’, oltre 150 in tutta Italia, occasione, per i cittadini (45mila visitatori nel 2009), per conoscere i compiti delle Forze Armate e dei Corpi dello Stato in un territorio ove il patrimonio scolastico sta crollando nell’incuria politica. Anziché aprire solo le caserme si potrebbe immaginare di aprire anche le case di riposo rimaste senza personale di servizio civile, le porte degli enti locali senza risorse Ici, gli immobili confiscati alla mafia, i luoghi della “difesa” civile e non armata dell’Italia a partire dalle grandi associazioni come Acli, Caritas, Arci fino a tutte quelle piccole realtà che in questo decennio hanno accolto gli “ex” obiettori di coscienza.
Dobbiamo chiederci se ha senso le ‘Caserme in piazza’, con il coinvolgimento di 21 città, compresa la grande kermesse storico-espositiva del Circo Massimo a Roma, visitata lo scorso anno da oltre 45mila persone.
Per dirla con Renato Sacco: c’è una cosa molto diversa tra noi e chi è stato obbligato a far la prima guerra mondiale. 
Loro non potevano opporsi. Cadorna aveva ordinato rappresaglie e fucilazioni immediate. Loro non potevano negare il consenso. Noi si. Neghiamo il consenso alla retorica per un 4 novembre con + scuole e – parate.

– Pubblicità-