44esima udienza; Rostagno è una camurria

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Ancora un testimone che non si presenta, ancora una udienza che salta, e spinge  in avanti la conclusione di questo lungo, ma anche tormentato, dibattimento, che giunge alla 44esima udienza, a due anni dall’avvio. Si tratta del processo per il delitto di Mauro Rostagno, sociologo-giornalista ucciso a Trapani il 26 settembre del 1988. La testimone assente lo scorso 6 febbraio è stata Giacoma Filippello, testimone di giustizia e all’epoca, compagna di un boss, Natale L’Ala, di Campobello di Mazara, ucciso dopo tre tentativi andati a vuoto di “farlo fuori”  negli anni ’80. La sua testimonianza avrebbe dovuto far a capire se Rostagno da L’Ala avesse ricevuto particolari confidenze in ordine alla mafia trapanese e ai rapporti tra la mafia e la massoneria. Intanto ha preso piede altro.

E’ noto che le difese abbiano inserito nel dibattimento (con le richieste ai sensi dell’art.507, ossia nuovi testi a fronte di circostanze emerse nella parte principale del processo) lo scenario nel quale emerge una vicenda da thriller, da intrighi internazionali, dove ci sono certamente fatti veri, come gli omicidi in Somalia, a distanza di tempo peraltro ravvicinata, di tre persone, il maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi (novembre 1993 e dei due giornalisti della Rai Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (20 marzo 1994). Ilaria Alpi aveva scoperto gli affari sporchi che con coperture internazionali e istituzionali venivano svolti mentre la Somalia si spaccava per via delle guerre civili; Li Causi sarebbe stato uno dei “suggeritori” della giornalista, una “fonte” che permise ad Ilaria Alpi di apprendere alcune cose scottanti; le loro morti però oggi di fatto sono senza colpevoli, senza autori, se ne coglie il “giallo” (pensate la morte di Li Causi è ancora oggi una morte dovuta ad una strana mitragliata contro il convoglio militare sul quale lui viaggiava e non  è mai stata fatta autopsia), ma concretamente nessuno ha in mano nulla dei perché di quei delitti, di quelle morti. Un flop fu la commissione di inchiesta istituita nella passata legislatura sulla morte di Ilaria Alpi e MIran Hrovatin. Per via di tutta una serie di accadimenti questi avvenimenti sono finiti allineati anche se dentro uno scenario pieno di nebbie: ci ha pensato a provocare tutto ciò anche la testimonianza di un giornalista, spuntato dal nulla, Sergio Di Cori, che ha parlato di traffici di armi scoperti da Rostagno e lo fece palesandosi improvvisamente ai magistrati e anche ai familiari di Rostagno che non sapevano della conoscenza tra lui e Mauro, e questo avvenne ai tempi in cui la Procura di Trapani con l’operazione “Codice Rosso” aveva preso come pista per risolvere il delitto la cosidetta “pista interna” alla Saman, e in cella ci finì per questa indagine, da assolutamente non colpevole, anche la compagna di Mauro Rostagno, Chicca Roveri, accusata di favoreggiamento (lei come tutti gli altri, ma prima lei, si vide archiviata le accuse); Sergio Di Cori si presentò dicendo di volere aiutare Chicca Roveri a discolparsi a far emergere altra pista, creando quel filo che ha collegato a proposito di traffici di armi, rifiuti tossici e droga con coperture militari Trapani, la Somalia, le morti distinte nel tempo di Rostagno, dei giornalisti Rai, del maresciallo Li Causi. I punti certi? Pochi. A parte le morte violente dei protagonisti, uno di questi è quello che a Trapani Li Causi c’era stato: originario di Partanna, paese del Belìce, era stato a Trapani capo centro di Gladio, del centro Scorpione, dopo che nella sua vita era stato un super agente dell’intelligence, addirittura in grado di avere contatti diretti con Bettino Craxi che quando fu presidente del Consiglio lo mandò in Perù a organizzare un colpo di Stato per aiutare il presidente suo amico. Li Causi un uomo davvero potente che quasi viene difficile credere che fosse davvero un maresciallo se non qualcosa di più e non solo da un punto di vista di gradi e stellette militari. Certo è che lui, Li Causi, era stato sentito dai magistrati di Trapani su Gladio e fu ucciso alla vigilia di un altro interrogatorio, dalla Somalia, dove era stato mandato dal Sismi dopo che si scoprì l’esistenza a Trapani sua e di Gladio. Poi ci sono solo intrighi irrisolti, il ruolo di Gladio in Sicilia, i traffici di armi e droga, le scoperte in tal senso che avrebbe fatto Rostagno, filmando ogni cosa in una cassetta misteriosamente sparita dal suo tavolo a Rtc dopo il delitto. Trapani certamente non è stata come territorio estranea a questi traffici, armi, droga, rifiuti speciali e non sono stati terreno fertile della mafia già dal dopoguerra, ma mancano le certezze che davvero Rostagno possa avere scoperto questi intrighi che per un verso avrebbero potuto toccare anche esponenti della comunità Saman.

Non è facile quindi muoversi in questo scenario dove i pezzi che esistono purtroppo sono quelle che, si ripete, segnano la morte violenta di alcuni protagonisti, tutto il resto è incerto. I giornalisti Luciano Scalettari e Andrea Palladino hanno provato a fare chiarezza ed hanno realizzato da ultimo un reportage (Scalettari da tempo è impegnato sul fronte dei traffici illeciti internazionali ed ha scritto diversi libri) pubblicato sul Fatto Quotidiano, su quello che può essere accaduto tra Italia e Somalia negli anni ’90, e si sono soffermati di più sulla morte dei giornalisti Rai e di Li Causi, ma inevitabilmente nella loro ricostruzione sono tornati a parlare di Trapani e Rostagno. Questo perché uno dei personaggi chiave di quello che è successo tra l’Italia e la Somalia negli anni ’90, cioè in un periodo successivo alla morte di Mauro Rostagno, è Giuseppe Cammisa, soprannominato Jupiter, originario di Campobello di Mazara, che era ospite nella Saman negli anni in cui era vivo e operativo Rostagno, che fu sospettato nell’operazione “Codice Rosso” di essere stato uno degli assassini di Mauro Rostagno. Gli indagati di quell’operazione finirono tutti arrestati e in carcere, presto liberati e poi prosciolti fu il loro destino, l’unico ad avere evitato le manette fu proprio Cammisa che per tempo era andato in Ungheria dove ancora oggi si trova, rispettato imprenditore e rappresentante di una ditta italiana nell’ambito della costruzione di autocarri. Con Cammisa le ombre di “Codice Rosso” si allungarono anche sul guru della Saman, Francesco Cardella, lui ricevette solo un avviso di garanzia, anche lui era all’estero quando scattò il blitz e ci restò fino a quando questa accusa non cadde. Tornò Cardella e subì un processo già cominciato, per le truffe e i peculati da lui commesse dentro Saman, il giorno della sentenza fece in tempo a evitare l’arresto e il carcere tornandosene in Nicaragua dove è morto improvvisamente d’infarto lo scorso 7 agosto, proprio mentre la Procura di Palermo confermava che i sospetti su di lui a proposito del delitto Rostagno non erano totalmente dissolti (nonostante una archiviazione) e nel processo non c’era udienza, e continua a non esserci udienza, nella quale non si parlasse e non si continui a parlare di lui. Scalettari e Palladino hanno fatto vedere alla Corte documenti, fax, telex, riferito di colloqui con esponenti dei servizi segreti, con lo stesso Cammisa. Ecco la Corte di Assise ha deciso di sentire i soggetti ai quali i due giornalisti hanno fatto riferimento. Tenterà la Corte anche di arrivare a Giuseppe Cammisa? C’è di certo che Cammisa sebbene sia citato in diverse di queste inchieste non è stato mai sentito, né pare che le Procure interessate ci abbiano tentato. Lui in Ungheria poi sembra si trovi dentro una sorta di rifugio dorato, lì ci arrivò dopo il 1988 per fare da guardiaspalle all’allora compagna di Cardella, lì è rimasto, e negli anni ‘90 risulta essere stato il fondatore di un club di Forza Italia.

Insomma questa è una di quelle storie sulle quali i giornali e i giornalisti si buttano a capofitto, pensando anche di potere risolvere i gialli oppure grattando grattando di riuscire ad evidenziare commistioni e connivenze clamorose. E dunque sono storie che riempiono le pagine e però restano quasi testi per sceneggiature cinematografiche. Non che queste storie non possano essere vere ma il delitto di Mauro Rostagno continua semmai ad essere frutto di un’altra storia. Una storia dove la mafia riempie il palcoscenico con le sue violenze e arroganze, con la voglia del potere ad ogni costo, con le connivenze che sono già state individuate. Rostagno è una “camurria” andava dicendo il patriarca della mafia belicina Francesco Messina Denaro passeggiando tra un aranceto della “sua” Castelvetrano e i boss hanno obbedito a quell’ordine hanno raccontato i collaboratori di giustizia. Nella morte di Mauro Rostagno ci sono le storie, serie e concrete, che vedono emergere la massoneria e altri intrighi, Gelli, la P2 e i mafiosi trapanesi. Il 20 febbraio verrà risentito l’ex capo della Mobile di Trapani Rino Germanà, proprio su queste circostanze, mafia e massoneria, i giudici proveranno a sentire uno dei massoni ai vertici della Iside 2, Natale Torregrossa. E’ nelle stanze dove mafia, politica e massoneria negli anni ’80 hanno costituito una spa del malaffare che ancora oggi a Trapani non ha.

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