Parte il conto alla rovescia. 15 minuti di tempo per commemorare e presentare le proprie richieste, per spiegare cosa sia la lenta arrancata verso la morte di chi ha vissuto l’amianto, di chi l’amianto se lo è visto scorrere nelle vene, correre nel sangue verso il cuore, arrampicarsi sui bronchi dentro i polmoni, distruggere con sadica lentezza un’esistenza.
6.392 parti civili al processo di Torino che vede imputati Stephan Schmideiny e Jean Louis Le Cartier, dirigenti della multinazionale Eternit GA, con le accuse di disastro ambientale doloso ed omissione volontaria di cautele contro le malattie professionali, facenti riferimento al periodo di attività degli stabilimenti dell’S.p.A. svizzera in Italia, l’ultimo dei quali – quello di Bagnoli (PV) – fu dismesso nel 1992, prima della conclusione nel 2009 dei travagli giuridici che hanno portato, presso il Tribunale di Genova, al fallimento stesso dell’azienda del cemento, da cui il giudice fallimentare Giovanna Dominici ha permesso un recupero di 5,5 milioni di euro che andranno come risarcimento agli ex dipendenti, proprio per i danni da esposizione all’amianto, la cui pericolosità per la salute era a conoscenza degli ambienti dell’Eternit già dal 1962. È proprio il Piemonte che detiene secondo gli ultimi dati Ispesl l’amaro record delle vittime da amianto, maturate negli anni fino al 1986 negli stabilimenti di Casale Monferrato (AL) e Cavagnolo (TO): 2748 vittime dirette dell’amianto – e dell’Eternit GA, e dello Stato – solo dal 1990 al 2008, 118 delle quali familiari dei lavoratori dell’industria del cemento, a cui sono affiancabili le 822 morti di lavoratori edili a contatto con i prodotti dell’azienda con sede a Genova segnalati dal ReNaM – il Registro nazionale dei mesoteliomi – soltanto nel decennio che va dal 1993 al 2004. Sono invece 1600 le morti accertate nella sola provincia di Alessandria fino alla legge 257/1992, ed il Piemonte è la regione italiana che occupa il terzo posto per rischio tumori derivanti da esposizione ad asbesto, con un rapporto di 5,56 casi di mesotelioma ogni 100mila abitanti di sesso maschile, preceduto da Friuli-Venezia Giulia (6,28) e Liguria (14,13). Così, mentre un lento dibattimento in sede penale – nel quale il pm Raffaele Guariniello, che alterna alle indagini rispetto al dramma amianto quelle relative all’incidente nell’acciaieria ThyssenKrupp del 2007, ha chiesto una condanna a 20 anni di carcere per gli imputati, oltre che la loro interdizione permanente dai pubblici uffici, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per 3 anni e l’interdizione dalla direzione di impresa per 10 anni – procede con l’incubo della fin troppo tipica prescrizione salva-tutti, il processo di Giustizia civile va avanti sotto un timer che pesa sulle parole degli avvocati e sulle anime dei familiari delle vittime. Richieste che vanno dai 200mila al milione di euro per questi ultimi, in base agli anni d’esposizione delle vittime ed al grado di parentela di queste con le parti civili stesse del processo. Fra queste anche la Regione Piemonte, la quale ha presentato una richiesta di risarcimento da record europeo per inquinamento, morti e patologie connesse all’amianto: 69 milioni di euro.
69 milioni di danno patrimoniale per l’Istituzione dunque, che, per ciò che riguarda la quantificazione del danno non patrimoniale, si rimette alle decisioni del giudice civile. «61 milioni di euro per le bonifiche e 8 milioni per le spese sanitarie», che tengono conto esclusivamente dell’ospedalizzazione, estromettendo dal conteggio le spese relative alla diagnostica, ai farmaci ed al pronto soccorso, come spiega l’avvocato della Regione Cosimo Maggiore. 30,9 milioni di euro quelli richiesti congiuntamente dal Comune di Casale Monferrato e Province di Torino ed Alessandria, sotto la difesa unitaria dell’avv. Paolo Davico Bonino. In particolare, il Comune di Casale – dove l’Eternit S.p.A. non si è limitata a tenere all’oscuro dei danni da amianto i propri operai, ma per anni ha sparso attraverso aeratori la polvere d’amianto in tutta la città, provocando contaminazioni totalmente slegate dall’ambito produttivo – ha richiesto l’immediata esecutività del risarcimento, al fine di proseguire una difficoltosa opera di bonifica del territorio, iniziata ed andata avanti fino ad oggi grazie ad un impegno comunale quantificabile nella cifra di 8milioni e 914mila euro. Solito assente di lusso lo Stato, i Ministeri dell’Ambiente e del Lavoro in primis, il primo dei quali ha speso in questi anni – di concerto con la Regione – circa 37 milioni di euro per la “pulizia” dei siti inquinati, in un Paese che porta ancora il peso di 32 milioni di tonnellate di amianto distribuite su 2 miliardi e mezzo di mq di coperture sotto marchio Eternit.
All’apertura del processo destinato a candidarsi alla Storia, la stessa Regione Piemonte che fino a ieri si escludeva da un qualsiasi tipo di intervento a favore della situazione dei rifiuti di Napoli, oggi si trova ad ospitare – in un’angusta sede giudiziaria – il dolore infinito e condiviso di un popolo che va Casale e Cavagnolo fino a Napoli, quartiere Bagnoli, passando per Rubiera (RE). Un’Italia sempre unita dai morti, in questo caso i 1939 lavoratori dei due stabilimenti piemontesi, e di quelli emiliano e campano; quest’ultimo porta in aula 441 parti civili, fra le quali anche la Cgil nazionale e quella ragionale, per «danno di immagine subito».
In attesa della sentenza di dicembre, rimane solo l’odore della neve di amianto calata come un sudario sulle vite degli operai e delle loro famiglie, sul silenzio della morte e sul grido di giustizia che si eleva dai cimiteri di uno Stato silente e sempre più colpevole. Rimangono, più di tutte – ed è un colpo al cuore sentirle – le parole pronunciate in questo marzo dall’ingegner Luigi Giannitrapani, amministratore delegato di Eternit Italia dal 1975 al 1983, già condannato per eventi relativi a malattie professionali legate all’amianto, secondo il quale «è colpa degli investimenti fatti per la sicurezza se la Eternit è fallita». Sarebbe stato meglio non fosse mai nata.