La storia, i crimini e i misteri di Cosa nostra, le indagini dell’antimafia. Continuano gli incotri di Piero Grasso nelle scuole con le sue “Lezioni di Mafia”(Ed.Sperling & Kupfer)
Sveste i panni istituzionali e quelli che per una vita lo hanno visto in prima fila nella magistratura italiana. Piero Grasso, oggi alla Presidenza del Senato, si cimenta nel ruolo di “Piero” semplice cittadino invitato a raccontare la propria esperienza a Palermo dove incontrò il giovane Alessandro D’Avenia, oggi scrittore e docente di lettere che in questa occasione lo ha invitato a partecipare ad un incontro con la propria classe si temi dell’antimafia e di una delle organizzazioni criminali più sanguinose del nostro paese.
Una sala calma al Collegio San Carlo di Milano, certamente non è l’aula del Senato dove di questi tempi si discute senza risparmiare giudizi e valutazioni sui lavori parlamentari, Pietro Grasso e Alessandro D’Avenia si ritrovano in una lezione segnata dalla memoria, dai luoghi e dalle amicizie comuni rispetto ad altre sue uscite in cui il profilo istituzionale prevale su quello personale. “Ho conosciuto lo scrittore Alessandro D’Avenia ad un incontro in ricordo di don Pino Puglisi, suo professore di religione alle scuole medie. Da allora – commenta sul proprio profilo facebook l’ex procuratore nazionale antimafia – è nata un’amicizia e Alessandro mi ha invitato nella scuola dove insegna italiano per raccontare ai suoi ragazzi cosa sia la criminalità organizzata”.
Il presidente del Senato Pietro Grasso e Alessandro D’Avenia non sono nuovi a questo genere di incontri. Già sulla figura del beato Pino Puglisi, testimone di libertà e martire nella fede, modello per le nuove generazioni i due si erano confrontati al Festival biblico del giugno 2013.
Nell’incontro del scorso 3 aprile 2014 al centro del dibattito la Palermo della guerra di mafia per Grasso, la Palermo di don Puglisi per D’Avenia che ha avuto proprio come professore di religione al liceo il parroco di Brancaccio e che a settembre di quel lontano 1993 non vide più tornare in classe. “Se un professore di lettere mi ha innescato la passione per la letteratura” – racconta D’Avenia – “l’incontro con padre Pino Puglisi ha determinato l’insegnante che sarei voluto diventare, forse non sono all’altezza ma ci provo”. Piero Grasso sembra fargli da eco: “Sono diventato magistrato per la stessa ragione, per i morti per strada”.
Due storie che si intrecciano e che trovano anche il tempo per un percorso personale che davanti agli studenti assume il valore di un diario dove episodio dopo episodio dimostra come dalla vita ci si può aspettare tanto anche dietro le tragedie e le ingiustizie, perché da quelle tragedie ed ingiustizie tutti sappiamo riconoscere il bene dal male.
E proprio dai quei racconti che prendono vita le foto di quanti non ci sono più e che la giovane età dei ragazzi presenti in sala difficilmente recupera alla mente ma riprendono vita nelle parole di Grasso e D’Avenia.
Le stragi di Firenze, Roma e Milano, le date storiche del 23 maggio e del 19 luglio, sono la cornice dentro cui Grasso descrive la propria storia a Palermo. Accanto agli aspetti più crudi – che portano con sé il verdetto di ‘Cosa nostra’ sulla vita di molti giusti – Grasso rivela ai ragazzi anche gli aspetti più umani di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La curiosità degli studenti è disparata e non si limita al dato storico dei ricordi.
Grasso ammette anche il peso della paura di quelle settimane, dei mesi precedenti e degli anni in quella procura, anni segnati da disconoscimenti sul proprio lavoro e le vicende umane che da questo clima – spesso non solo esterno alla procura- si ripercuotevano nelle attività investigative e nelle riunioni sempre più ristrette tra pm.
“Quando ti minacciano, quando un figlio adolescente ti contesta perché non accetta la tua scorta, quando ti sembra di aver perso la vita quotidiana – dice Grasso – la vita è anche momenti di sconforto, ma andare avanti tenendo di vista gli obiettivi e il proprio dovere si può, si deve”. E rivolgendosi con trepidazione alla scolaresca, il presidente del Senato dice: “Vi voglio dire di non arrendervi, vi ripeto quella frase che mi disse Caponnetto: “Andate avanti ragazzi…”, perché quando io non sarò più testimone di questi incontri, altri continueranno a portare avanti la memoria. Serve a non dimenticare quelli che non ci sono più, ma anche a ricordare che la mafia vive – anche a Milano – di consenso e tocca a ciascuno di noi scegliere nel nostro piccolo da che parte vogliamo stare. La mafia promette i soldi facili, ma la verità che non dice è un’altra: chi la sceglie trova carcere, schiavitù e morte”.
“Quando Antonino Caponnetto, capo dell’Ufficio istruzione, spiega Grasso, pronunciò accompagnandola con un buffetto questa frase (“Andate avanti ragazzi…”) c’era una lunga storia tutta da scrivere. A cominciare dalla sentenza del cosiddetto maxiprocesso di Palermo, istruito da Falcone e Borsellino e della cui sentenza Piero Grasso – il “ragazzo” – fu giudice estensore”.
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