«Fin quando non ti trovi ad aver a che fare con questo problema, sei ignaro di tutto. O, per lo meno, non pensi che, alla fine, potrebbe succedere proprio a te».
Storie di donne come tante, che, in un giorno come tanti, scoprono di essere ammalate e di aver contratto il Papilloma Virus. Come spesso accade ormai, a fare da sfondo a queste confessioni sono i social network. Basta creare un gruppo, e la gente si sente al sicuro, forse più che in uno studio medico reale.
«Fino a quel momento conoscevo questo virus per sentito dire, in realtà non mi sono mai documentata abbastanza».
Il Papilloma Virus, o HPV, è un virus infettivo contraibile per via sessuale e altre vie indirette come bocca e unghie, un nemico, a volte, estremamente silenzioso che invade le vite di moltissime donne. Si tratta di una famiglia virale molto estesa, con ceppi che possono variare così come variano le conseguenze che possono provocare, dai condilomi – o più semplicemente verruche genitali – ai tumori benigni, fino al cancro al collo dell’utero o alle vie orali.
In Italia, secondo i più recenti studi, si stima che circa l’8% della popolazione manifesti una tipologia oncogena di HPV. Addirittura, in studi risalenti al primo decennio del 2000, questa tipologia infettiva ha avuto un picco del 17% in donne entro i 25 anni.
Il Ministero della Salute, in proposito, ha introdotto due tipologie di vaccinazioni per contrastare la diffusione della malattia, a titolo gratuito per bambini di ambo i sessi (ma solo in alcune regioni) entro il dodicesimo anno di età. Tuttavia, come è ben noto, ampiamente aperto è ancora il dibattito nella penisola circa le vaccinazioni, con picchi di argomentazioni contrarie specie sul web, dove pullulano evidenti cure improvvisate e teorie complottistiche senza riscontro.
«Ho avuto difficoltà a parlarne con mio marito visto che l’HPV si associa sempre a comportamenti sessuali libertini».
L’ammissione di un problema, specie nella sfera intima, è, poi, un qualcosa che viene evitato per quanto più a lungo è possibile sopportarlo senza un confronto con l’esterno. Paradossalmente, il pudore frena la cura, e di pari passo si evita la prevenzione, che invece unite, l’una all’altra, sarebbero delle alleate fondamentali in particolare nei casi di eventuali degenerazioni oncologiche.
In Italia uno dei maggiori centri per la cura dei problemi di questa natura ha sede a Milano, e il direttore dell’Unità di Oncologia Ginecologica, dottor Francesco Raspagliesi, non si sottrae ad alcune domande che gli abbiamo posto in merito.
Perché secondo lei c’è tanta ignoranza riguardo la sfera di salute intima delle persone?
Perché purtroppo c’è ancora tanto imbarazzo nell’affrontare l’argomento, sia in famiglia che nei sistemi di educazione che dovrebbero occuparsi anche di questo, come le scuole, e di conseguenza spesso questi argomenti non vengono affrontati. Gli adolescenti e i ragazzi imparano dal confronto con i coetanei o, sempre più spesso e sempre peggio, da internet dove le informazioni sono frammentate e spesso imprecise. Ne consegue una non informazione che genera comportamenti errati e il recente aumento dell’incidenza di diagnosi di patologie sessualmente trasmesse, l’HIV né è la dimostrazione.
Le vaccinazioni contro il Papilloma Virus sono state sostenute adeguatamente da una campagna pubblicitaria? Hanno ricevuto riscontro?
Dall’introduzione della vaccinazione nel 2007 molti passi sono stati fatti: informazione tramite i medici di base e i pediatri di base, incontri ripetuti nel tempo fino alle più recenti campagne di sensibilizzazione sostenute nei mesi scorsi dall’AIOM (associazione italiana di oncologia medica, ndr) tramite i media (il giornale Repubblica) alle quali, anche noi come Istituto abbiamo partecipato. Oggi poi, con l’introduzione del nuovo e più completo vaccino nona valente, l’argomento sta tornando di grande interesse. Le giornate informative che si sono tenute in Istituto nei mesi scorsi hanno riscosso un grande successo, non solo fra il pubblico femminile ma e soprattutto per l’affluenza maschile, dimostrando un interesse e una presa di coscienza che è oramai trasversale.
Qual è la domanda più ricorrente che viene fatta dalle persone che entrano a contatto con questo virus?
Le preoccupazioni espresse sono molte: da quanto tempo ce l’ho? è di solito la prima domanda che viene posta, in quanto la mente vola subito alla ricerca della possibile fonte del contatto. Però non c’è risposta a tale domanda, non è possibile datare l’infezione ma è importante spiegare che l’infezione di per sé è diffusissima e che molto spesso viene eliminata spontaneamente dall’individuo. Non va considerata una “malattia”.
A livello numerico, l’introduzione della possibilità di ricorrere gratuitamente alle vaccinazioni in giovane età ha secondo lei posto un freno al diffondersi del virus o questo tipo di vaccinazioni è rimasta in secondo piano?
L’apertura alla vaccinazione ha avuto sicuramente un grande effetto, in primis come presa di coscienza del problema, ma non solo, gli studi condotti che sono andati a indagare gli effetti a lungo termine della vaccinazione, hanno visto un’importantissima riduzione del numero delle displasie cervicali (le alterazioni a livello del collo dell’utero che precedono la degenerazione tumorale) e che rappresentano il primo parametro valutabile dell’efficacia della vaccinazione stessa. I dati stimati con il nuovo vaccino nona valente mostrano una riduzione di oltre il 90% delle displasie e questo nel tempo si trasformerà in un calo drastico dei tumori del collo dell’utero.
Prevenzione e vaccinazione, dunque, come binomio contrario alla disinformazione imperante tramite cui, specie sui social, spesso si dimentica che in ambito salute sarebbe preferibile confrontarsi con chi queste cose le studia, e le cura.