Aldo e Peppino: due vite legate nella morte

I corpi di Aldo Moro e Peppino Impastato furono ritrovati la mattina del 9 maggio 1978. Due uomini, due storie che mai sarebbero potute essere più distanti e diverse. Un comunista siciliano, un democristiano pugliese ai vertici della carriera politica. Eppure qualcosa li unisce. Un sottile filo, quello della memoria e della prospettiva di una democrazia della dignità umana.

 

Due uomini, due storie che non si sono mai incrociate in vita e mai potrebbero essere state più distanti e diverse. Un giovane siciliano senza peli sulla lingua, irriverente e pungente, che ha condotto la propria lotta contro la mafia con semplici parole di verità ed ironia intensa. Comunista e figlio di mafioso, rinnega la “famiglia” e si dona ad un messaggio di bellezza in un terra martoriata. Un uomo politico pugliese, trapiantato a Roma, docente universitario che i gradi della carriera politica li aveva praticamente scalati tutti. Cinque volte presidente del consiglio ed infine a capo “del” partito, la Democrazia Cristiana, dal cui pulpito tendeva la mano alla sinistra parlamentare in piena guerra fredda.

Due vite che si incrociano nell’attimo successivo all’esistenza, sulle pagine in bianco e nero di un giornale,  distanti e diverse. La prima pagina per Moro, sin da subito santo laico dello Stato, su ogni rivista di quel 10 maggio, un trafiletto nelle pagine centrali per Peppino, col dubbio che si trattasse di un terrorista o un giovane troppo estroso morto suicida.

Il giorno successivo mille chilometri separavano i due corpi senza vita: a Cinisi più che un funerale laico, era un corteo ad accompagnare Peppino, con i pugni chiusi alzati al cielo e le bandiere rosse levate con orgoglio, mentre a Torrita Tiberina, in provincia di Roma, la famiglia Moro quasi di nascosto celebrava l’ultimo saluto ad Aldo, nel conforto della fede cattolica. Al funerale di Stato il 13 maggio le più alte cariche istituzionali, non i parenti, senza alcun corpo cui dare l’estremo saluto, solo un cumulo di fiori. In Sicilia i compagni di Peppino urlavano ancora per farsi sentire, dietro le finestre chiuse dei compaesani, perché “la mafia non esiste”.

Due uomini, due simboli, che per 36 anni sono stati accomunati spesso solo da una data e nell’anniversario del ritrovamento dei loro corpi esanimi, null’altro li ha accomunati. Anzi, spesso sono stati contrapposti anche nella memoria. Polemiche, revisionismi e dubbi sugli uomini e sulle loro storie – soprattutto per Aldo Moro, ancora tra i grandi oscuri racconti della storia repubblicana -, ma la memoria è la più grande eredità che possano averci lasciato questi uomini, come tanti altri nella storia del nostro Paese. Ed alla memoria delle vittime delle stragi, del terrorismo e delle mafie è stato dedicato il 9 maggio, per non dimenticare le deviazioni violente della nostra democrazia e come la strategia del terrore possa rendere l’uomo piccolo e solo. Terrore e violenza – sotto il nome di mafia per Peppino e di Brigate Rosse per Aldo – hanno troncato due vite, per farle vivere per sempre nei ricordi e nelle idee, rafforzandole. Troppo spesso ancora, la loro memoria è relegata sotto un colore politico, ma ciò che davvero dovrebbe raccontare questo giorno è l’impegno politico e civile, sempre nel rispetto della dialettica e delle regole sociali e nel rifiuto della violenza, la valorizzazione della dignità dell’uomo e di una legalità che sia innanzitutto giustizia e libertà.

E cosa è tutto questo se non un sottile filo rosso che porta dritto alla Costituzione Repubblicana, a quella dignità sociale che deve essere riconosciuta a tutti i cittadini, «distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Per questo il 9 maggio non ricordiamo solo Aldo e Peppino, ma tutte le storie ed i gesti dei 146 caduti nelle stragi di matrice terroristica e delle centinaia di vittime innocenti delle mafie, perché la loro memoria sia quella di uno Stato che vuole essere democrazia sana, vera e bella, di uomini che vogliono vedere la propria – ed altrui – dignità riconosciuta e promossa ed in questa direzione compiono le proprie azioni. Ogni giorno.

 

 

ORE 14.30

Gli amici sono già tutti presenti.

Arrivano alla spicciolata.

Riuniti davanti alla sede di Radio Aut.

Discutono.

A Roma, a più di mille chilometri di distanza, un altro uomo è stato ucciso per le proprie idee. E seppure quelle idee sono alquanto diverse dalle loro, i ragazzi sentono che le due storie hanno qualcosa in comune,

Pensano che sia una strana coincidenza.

Nessuno ha salvato Moro.

Nessuno ha salvato Peppino.

E tutti e due sono morti ammazzati.

Lo stesso giorno.

La televisione è completamente assorbita dall’evento maggiore.

Parla di Moro. Non parla di Peppino.

Le due storie hanno qualcosa in comune, forse, solo nel cuore dei ragazzi.

 

tratto da 9 maggio ’78. Il giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato di Carmelo Pecora