di Francesco Polizzotti
La Camera dei deputati ha approvato il ddl sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Centrodestra e Udc approvano il testo che sancisce come non vincolanti le ultime decisioni del malato con voto contrario da parte dei democratici, dell’Idv e dei finiani. Il testo, nato nel 2008 sulla scia della vicenda di Eluana Englaro e modificato nel suo impianto a Montecitorio, lascia in sostanza l’ultima parola sul fine vita al medico. Con il sì della Camera, il ddl torna all’esame del Senato in terza lettura. Soddisfatta la maggioranza di governo per l’equilibrio trovato anche attraverso l’appoggio trasversale ottenuto in Parlamento. Il Partito Democratico, per bocca del proprio presidente Rosy Bindi, ha espresso le perplessità di un testo che vanifica – afferma la Bindi – due anni di lavori nella Commissione affari sociali. Il testo nato per regolare la DAT (dichiarazione anticipata di trattamento) paradossalmente la vieterà, continua la vicepresidente della Camera. “Abbiamo approvato una buona legge”, dichiara, invece, con animo soddisfatto il relatore del Pdl Di Virgilio. Voto di coscienza quindi, che ha visto, in entrambi i blocchi parlamentari, prese di posizioni distinte anche rispetto al proprio gruppo. 14 cattolici del Pd non hanno partecipato al voto finale per esprimere la propria contrarietà all’idea che si possa legiferare su un tema come questo, posizione speculare per i cattolici della maggioranza che nel testo approvato vedono invece l’argine a qualsiasi forma di introduzione dell’eutanasia nel nostro Paese.
La Camera ha licenziato così, un testo che esclude la sospensione di alimentazione e idratazione artificiali, salvo casi eccezionali di non assorbimento da parte dei malati terminali e circoscrive l’applicazione delle DAT ai malati in stato vegetativo per i quali è stata “accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale”.
Nel testo scompare la parola “volontà”. Gli “orientamenti” che si potranno esprimere (e non “volontà”: le parole hanno un peso nel nuovo testo approvato) saranno solo sui trattamenti (“terapeutici” e non più “sanitari”) da attivare, non su quelli a cui non ci si vuole sottoporre. Nelle proprie Dat, manoscritte o dattiloscritte ma comunque con firma autografa (“orientamenti” espressi in altro modo non avranno valore), valide per 5 anni e rinnovabili, non si possono rifiutare alimentazione e idratazione artificiali: non è consentito. Una formulazione che non mette a riparo da possibili nuovi casi “Englaro”. Tuttavia, con questa legge non le sarebbero state sospese le cure, come invece ordinarono i magistrati. Conflitto conclamato quindi, tra il legislatore che vuole regolamentare ciò che in generale hanno sempre regolamentato le sentenze dei tribunali. Questa è una delle obiezioni che viene sollevata in risposta al tentativo di “Stato etico” portato avanti dalle forze politiche di governo rispetto alle quali il centrosinistra e il gruppo di Futuro e Libertà fanno fatica a riconoscersi.
Tra gli interrogativi più calzanti si solleva quello relativo all’ingerenza dello Stato sulle decisioni dei familiari o degli stessi malati terminali.
In Italia, la libertà di cure è garantito dall’art.32 della Carta costituzionale. Si legge:“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Su questo avamposto normativo numerose associazioni laiche hanno portato avanti una battaglia di libertà con lo scopo di respingere il tentativo del legislatore di imporsi contro la volontà espressa dal cittadino. Tra i sostenitori del testamento biologico che garantisca l’ultima scelta direttamente al paziente o in alternativa ai familiari, il medico chirurgo e senatore Ignazio Marino che ha deposito in Parlamento una proposta di legge mai discussa, tesa a confermare il diritto alla salute ma non il dovere alle terapie. Su questa scia si sono espresse numerose personalità del mondo politico extraparlamentare e dello spettacolo tra cui, l’ex premier Giuliano Amato, la senatrice a vita Rita Levi Montalcini, l’attrice Luciana Littizzetto, il teologo Vito Mancuso, il giornalista Maurizio Costanzo, il giurista Stefano Rodotà, Mina Welby, l’ex Ct della nazionale della squadra di calcio Marcello Lippi, l’oncologo Umberto Veronesi e la giornalista e direttore del Tg3 Bianca Berlinguer.
Il risveglio improvviso del Parlamento italiano, forse proprio sotto l’onda emotiva del caso Englaro testimoniato da un silenzio attorno al tema etico durato oltre 15 anni, desta non poche polemiche anche nel mondo politico cattolico. Le norme approvate dal testo del centrodestra sono per i cattolici democratici, in primis per l’ultimo segretario del PPI Pierluigi Castagnetti, un tentativo che andava affrontato diversamente e non con l’uso del ddl. “Sul fine vita era meglio quindi non legiferare. La morte infatti è, come si dice, la parte più difficile e importante della vita – afferma l’onorevole Pd – e appartiene tutta intera alla persona. Ogni morte è singolare, lo è anche negli eventi drammatici che possono colpire una intera collettività. Anche in quel caso si celebra l’incontro di una persona con la sua propria morte. Chi ne è esterno, è inevitabile e giusto che rimanga tale. Per questo ritengo assurdo legiferare e giuridicizzare il fine vita come evento astratto e generale. Credo che basti dire ciò che l’ordinamento già afferma: No all’anticipazione e no al ritardo, No all’eutanasia e no all’accanimento terapeutico”.
Diversa invece è l’opzione portata avanti dal centrodestra a cui fa eco la stampa vicina alla Gerarchia, dove è stato fin dall’inizio chiaro l’appello affinché si ponesse fine alla giurisprudenza cosiddetta creativa, “che sta introducendo – si legge su Famiglia Cristiana – surrettiziamente nel nostro Paese arbitrarie derive eutanasiche”.
Il dibattito è assai complesso e la tentazione di taluni di rievocare una contrapposizione tra laici e cattolici non rende un buon servizio al nostro Paese, dove il contributo del sentimento religioso non può essere sottomesso alle scelte laiciste così come qualsiasi credo non può contestualmente orientare le scelte del legislatore chiamato invece alla rappresentanza di tutte le opinioni presenti nell’opinione pubblica senza favorirne il predominio particolare di una opzione etico-sociale sulle altre. In questo caso assisteremmo all’imporsi di uno stato cosiddetto “etico” che allontanerebbe l’Italia dall’Europa dei diritti, per collocare la nostra democrazia vicino a quelle forme di governo a direzione prevalentemente religiosa, sconfessando soprattutto l’impegno diretto degli stessi credenti nel panorama politico che, come insegnavano i politici cattolici del secolo scorso, devono rispettare la laicità delle Istituzioni non rinunciando alla propria identità.
Il testo approvato è comunque un segno che stabilisce delle regole certe all’approssimazione dei casi umani consumatisi in questi anni con un’opinione pubblica forse ancora non abbastanza matura per esprimersi sul fine vita, senza cedere alle sirene dell’una o dell’altra opinione.