Case e palazzi; le fondamenta del diritto in un’amministrazione abusiva.

I turisti guardano piazza Pretoria dall’altro lato di via Maqueda. Bellissima, nelle sue forme così semplici, così sfrontate nella loro trasgressione. Così disobbedienti al moralismo che pervade i corridoi di Palazzo Delle Aquile. I turisti scattano le loro fotografie, e la fontana è così bella. E le fotografie riprendono interamente la piazza deserta. Riprendono totalmente la fontana, e, aldilà di essa, una piccola macchia di colore, come se ci fosse qualcuno. Come se ci fosse qualche piccolo evento cittadino. I turisti zoomano la fotografia per agguantare la forma, il significato di quella macchia. Una macchia trasparente, come la presenza di chi, dall’altra parte della piazza, urla la propria sofferenza contro un’amministrazione seppellita sotto la spazzatura, i buchi di bilancio, gli scandali e la mafia. Di fronte al possente palazzo i giornalisti superano le figure evanescenti dei pochi senzacasa che ancora non mollano la lotta, e si gettano, con tutta la foga e la passione d’informare, sui politici di piazza (per distinguerli da quelli di palazzo), pronti anch’essi a sparare a zero contro sindaco e giunta, e dispensare i loro numeri di disagio e inefficienza. I senzacasa stanno in disparte, parlano fra loro. Non partecipano alla festa di microfoni e telecamere. Rosy non si fida più, ha perso ogni speranza. Non si fida più di chi decide assegna spartisce, di chi non si è mai fidata, e non si fida più di chi mette la sua bella faccia fra quelle altre espressioni che di bello hanno ben poco, di chi si fidava. Non si fida di chi gli è contro e di chi gli dice di essergli accanto, anche di chi gli è stato accanto davvero, almeno inizialmente. Mattia corre, salta, gioca. Sua madre lo guarda e spera che il suo futuro non sia a Casa Guzzetta. Sballottati da un albergo all’altro, hanno stretto con rabbia la maniglia di molte porte. Ma la porta del diritto per loro non si è mai aperta. Sono facce, storie, sono urla afone contro mura sorde. Mura che hanno visto i loro volti stanchi, che hanno osservato i loro sbadigli mattutini per un mese intero, quando loro davanti quelle mura ci dormivano. E i loro volti stanchi ci sono ancora lì davanti. Ma sono pochi. Pochi perché stremati, disillusi, sconfitti dalla burocrazia e dal malgoverno di palazzinari corrotti e audiolesi. Palermo oggi conta 13.000 senzacasa, molti dei quali assegnatari di immobili che non esistono. Numerosi immobili confiscati a Cosa Nostra, molti dei quali definiti dal Comune stesso in buono stato abitativo, sono in attesa di essere assegnati. Altri ancora sono assegnati a fantomatiche associazioni onlus per scopi sconosciuti, molto spesso violando la norma che prevede la dimostrazione da parte delle associazioni sociali di aver svolto attività propria nei due anni precedenti alla richiesta. Ma il palazzo non sente. Di pietra come le mani di un uomo di 60 anni, come le sue braccia, pilastri portanti di una dignità che è il tetto della coscienza. Mani e braccia, forgiate col lavoro e la sofferenza di chi suda e sgomita per guadagnarsi il pezzo di pane che a noi salta in bocca quasi magicamente a cena mentre guardiamo la tv.  La sofferenza di chi è assegnatario dal 1989 e non ha ancora una casa, di chi è costretto ad occupare un immobile abbandonato in condizioni fatiscenti e di chi si sveglia ogni mattina con l’immagine di un cesso accanto al proprio letto. Via Brigata Aosta è a due passi dal porto di Palermo, sono 11 anni che l’hanno occupata, e da 11 anni il Comune minaccia lo sgombero e promette gli alloggi. Francesco ha 14 anni, parla tranquillamente “du schifio chi c’è ddà”, e anche di chi non è venuto. Il proprio diritto alla casa non è un bisogno abbastanza  importante per mettersi un cappotto, uscire da casa e prendere tre autobus fino a piazza Pretoria. Non per tutti almeno. E come sempre le battaglie di pochi si tramutano nelle vittorie di tutti. Qui nella vittoria non ci crede più nessuno, ma nella battaglia si. Almeno chi è rimasto. Per loro il diritto alla casa rappresenta il diritto ad una vita dignitosa, il diritto ad un luogo di ristoro dalla realtà, ad uno spazio immune dagli attacchi del mondo esterno, dove rinchiudersi quando si è delusi da quello che c’è fuori, e da dove ripartire il giorno seguente. Per questo sono lì, loro che non hanno casa, a lottare contro il palazzo, così imponente nella sua struttura, così fermo sulle sue basi, con dei muri così spessi da non far penetrare la voce di chi soffre, di chi reclama un posto in questa città che non sembra averne per tutti. ma alla fine la manifestazione c’è stata, ed a qualcosa è servita. Oggi tutti hanno ottenuto qualcosa. I giornalisti hanno l’articolo pronto, i politici la loro faccia al telegiornale, e la gente un’altra amara delusione, e la consapevolezza che il palazzo non li sente. Fermo, sordo e cieco proprio come un palazzo. Vuoto. Si ritirano le bandiere, si arrotolano gli striscioni, si smonta la tenda e si parte. L’ingombrante camper del PD lascia la sua postazione e libera gran parte dello spazio della piazza, verso nuovi spazi di democrazia. La gente torna a…dove? A casa? Mah. È l’una, e quei pochi che c’erano se ne sono andati. Rimangono solo i turisti in una piazza bella e vuota, i turisti e le loro fotografie prive di macchie. Come non vi fossero mai state.