Caselli e Ingroia: due uomini, la storia del mio Paese

Oggi è il ventunesimo anniversario dell’attentato a Paolo Borsellino e così decido di sentire coloro

i quali hanno permesso, col loro lavoro, che quella memoria rimanesse un fatto vivo, che non venisse

dispersa.

Con il procuratore Caselli ci inseguiamo per l’intero giorno poi, finalmente, dopo le 17,00 di oggi,

riusciamo a dare completezza all’intervista. È quasi l’ora della strage di Via D’amelio, registro

mentalmente il dato: mi sembra un segno positivo per me e per la mia terra, così endemicamente

abituata a vivere di segni.

Dottore Caselli, nell’immediatezza delle stragi Palermo ebbe un sussulto di dignità: a

guardare le immagini dei funerali sembra di assistere alla cronaca di una rivolta. Oggi,

invece, registriamo un silenzio rassegnato, pesante, come se ci fossimo abituati a tutto. Quali sono i suoi ricordi personali?

Esita un breve momento prima di rispondere, al telefono penso alle immagini che scorrono davanti

agli occhi della sua memoria, di quello che ha vissuto e provato. So che certe cose appartengono al

sentire più intimo di ciascuno di noi.

I ricordi sono tanti, ma è in quel clima che matura e si concretizza la mia decisione di trasferirmi a

Palermo per guidare la procura. L’Italia viveva un’emergenza e io ho sentito il dovere di continuare

l’operato di Falcone e di Paolo Borsellino. E poi voglio ricordare quel clima, la positiva reazione di

popolo che fu decisiva per la resistenza al potere mafioso. Quella resistenza ha consentito di non

soccombere, di rialzare la testa. L’azione della magistratura e una rinnovata coscienza da parte della

società civile hanno prodotto risultati enormi in termini di arresti eccellenti, l’istruzione di processi

al potere mafioso, al sequestro di ingenti capitali. Ed è grazie a quella resistenza che possiamo

parlare, ancora oggi, di questo.

Cosa le ha lasciato Palermo?

Beh, sette anni a tinte forti. Palermo io l’ho dentro in modo indelebile e l’ho vissuta con la

consapevolezza di avere servito il mio paese”. Nella sua voce, adesso, ci sono le note, la forza di

una passione mai sopita.

Lei è vissuto sette anni qui a Palermo, mentre la sua famiglia è rimasta a Torino. Ci sono mai stati momenti in cui ha pensato di piantare tutto e tornarsene nella sua città?

No, mai! Quegli anni sono stati difficili per me, ma soprattutto per la mia famiglia che viveva

a distanza le vicende che mi riguardavano. La distanza spesso ingigantisce le difficoltà, è vero;

ma non c’è mai stato un solo momento in cui io abbia pensato di venire meno ai miei compiti in

Sicilia.

Ciascuno di noi ha un compito da assolvere in questa vita, una specie di testamento

immateriale. Lei cosa pensa che lascerà alla storia di questo paese?

Questo non tocca a me di dirlo, ma agli storici. Penso il senso del giusto, la necessità di compiere il

proprio dovere interfacciato all’interesse pubblico.

Tutti abbiamo un sogno nel cassetto. Lei sognava di diventare magistrato quando era un

ragazzo?

Per prima cosa ho pensato alla laurea, mi sono iscritto a giurisprudenza ma non avevo deciso già

cosa fare. È nel corso degli anni universitari che ho maturato la scelta di entrare in magistratura.

 

Antonino Ingroia lo raggiungo di mattina, accoglie me e le mie domande con fresca disponibilità.

Dottore Ingroia quali sono i suoi ricordi di quelle maledette giornate, quelle delle stragi?

Quelle sono giornate indimenticabili, cruciali per la vita di tutti, per Palermo ma anche per l”Italia

intera. Particolarmente per me che ho avuto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino come maestri.

Cosa è accaduto dopo le stragi a Palermo? Quell’onda di sana ribellione oggi sembra

scomparsa.

È accaduto che dopo i delitti politico-mafiosi degli anni ’80, dopo la “primavera siciliana” e le

stragi tutto è stato seppellito, insabbiato; si è via via isolata la magistratura, la si è accerchiata.

Qual è il ricordo più caro che ha di Paolo Borsellino?

La generosità! Umana e istituzionale. Negli anni ’90 quando subii le prime minacce e mi fu

assegnata la prima scorta, Paolo Borsellino visse tutto questo come una sua sconfitta personale, con

la sensazione di non essere riuscito a proteggere fino in fondo i suoi collaboratori.

È noto che lei era il pupillo di Borsellino. Eppure le vostre convinzioni politiche erano

opposte. Litigavate mai per questo? 

Ride di gusto adesso.

Si, capitava di litigare, ma senza mai valicare i limiti del rispetto reciproco. E infatti ogni anno, per

il suo compleanno, gli regalavo un libro sulla storia del fascismo.

Che cosa sognava di diventare Antonino Ingroia da giovane?

Quando ero molto piccolo, diciamo un bambino, l’archeologo. Anche se poi mi è toccato di scavare

in ben altri terreni che mi hanno portato fino a De Mauro per esempio. Poi, qualche anno dopo, da

ragazzo, sognavo di diventare regista cinematografico. E qualcuno, con malizia, ha poi detto che i

miei processi sembravano la sceneggiatura di un film.

Qual è il libro che maggiormente la rappresenta?

“Cuore di tenebra” di Joseph Conrad.

Chissà a chi attribuisce il volto di Kurtz? Tengo per me la domanda. Mi è sufficiente avere la

convinzione che i semi messi a dimora dopo quelle morti disumane sono, oggi, due magnifici

alberi. E, si sa, è grazie alle radici degli alberi che si scongiurano le frane.

Serafina Ignoto