Caso Scarfo’, condanna definitiva per (don) scotto

Seppure la VI sezione della Cassazione abbia confermato la condanna a un anno, con pena sospesa e non menzione, nei confronti di don Antonio Scordo, accusato di falsa testimonianza per la difesa la vicenda giudiziaria non può ritenersi completamente conclusa. Sentenza definitiva per il sacerdote, che avrebbe mentito nel processo al branco che stuprò per anni la giovane di Taurianova, Anna Maria Scarfò. All’inizio dell’anno, la Cassazione ha confermato le condanne sugli aguzzini della giovane.

 La Suprema Corte infatti, ha confermato ciò che aveva stabilito la Corte d’Appello di Reggio Calabria, che aveva riformulato le condanne emesse in primo grado a Palmi, ma che aveva riconosciuto la responsabilità penale di Antonio Cutrupi, Maurizio Hanoman, Giuseppe Chirico, Antonio Cianci (7 anni di reclusione) e Fabio Piccolo (7 anni e 8 mesi). Una storia di violenza e degrado, maturata ormai circa 15 anni fa a San Martino di Taurianova, borgo dell’entroterra calabrese nella fascia tirrenica della provincia di Reggio Calabria. Il “branco” per anni avrebbe abusato della giovane Anna Maria, usandola persino come merce di scambio. Ma Anna Maria troverà la forza di uscire dalla solitudine e di denunciare: da quel momento inizierà una lunghissima battaglia giudiziaria in cui alcune persone risultano già condannate in via definitiva.

 Il tentativo delle difese, nel corso di tutto l’iter processuale, sarà sempre quello di demolire il narrato, sofferto ma dettagliato, di Anna Maria Scarfò, tentando di screditare la figura della giovane Anna Maria, come se la giovane soffrisse di manie di persecuzione e avesse provato a strumentalizzare i fatti, anche attraverso la scrittura di un libro, in cui, però, non farà altro che raccontare gli anni delle violenze, fisiche e mentali.

 Eppure da quei racconti emergerà sempre la sofferenza di Anna Maria Scarfò, la solitudine e l’emarginazione. Lei che dai suoi concittadini verrà bollata come “puttana” perché scherzava con quelli che sarebbero diventati poi i suoi aguzzini. Lei che verrà “condannata” da una società maschilista in cui, sostanzialmente, si sarebbe cercata il dramma in cui verrà coinvolta. Lei che pagherà psicologicamente e fisicamente gli anni di violenze. Lei che non troverà sostegno neanche nel parroco del luogo, don Antonio Scordo, ora condannato definitivamente per falsa testimonianza.

 L’avvocato Antonino Napoli che, insieme all’avvocato Guido Contestabile, difende il sacerdote ha, infatti, comunicato, dopo essersi consultato con il proprio assistito, che “nonostante occorre attendere le motivazioni della sentenza della Suprema Corte, avverso la pronuncia della Cassazione la difesa ricorrerà certamente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo poiché riteniamo che nel processo contro don Antonio siano stati violati i diritti stabiliti dalla Convenzione”.

 “Siamo fermamente convinti -ha continuato l’avvocato Napoli- dell’innocenza di don Antonio poiché vi è una chiara omissione da parte dei giudici nella valutazione della scansione cronologica degli eventi: don Antonio è stato chiamato a deporre in un processo che ha visto imputati alcuni giovani per violenze sessuali di gruppo che sarebbero state commesse negli anni 2001 e 2002 mentre la confidenza, che il prete avrebbe ricevuto da parte della ragazza abusata e per la quale ha subito il processo, sarebbe avvenuta nel periodo di Pasqua del 1999. E’ evidente che nel 1999 la giovane vittima non avrebbe potuto conosce né riferire a don Antonio i nomi delle persone che l’avrebbero poi violentata nel 2001-2002”.

 “Nel presente giudizio, inoltre, riteniamo -conclude Napoli- che siano state violate le norme che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica in quanto il segreto ministeriale, previsto dall’art. 4, n. 4, dell’accordo di Palazzo Madama del 1984, è posto a tutela, non solo del diritto alla riservatezza del confidente di cui si percepisce il segreto, ma anche – e soprattutto – della dignità del ministero sacerdotale e dell’indipendenza della Chiesa Cattolica quale ordinamento distinto e autonomo rispetto a quello dello Stato. L’incapacità della Corte di Cassazione di cogliere il senso e la portata della disposizione pattizia è stata causa di un’erronea applicazione della normativa sul segreto ministeriale a cui, speriamo, la Corte EDU saprà fornire una definitiva interpretazione sovranazionale vincolante per la magistratura italiana.”

 

Claudio Cordova Fonte http://ildispaccio.it/