Che vita da … cani!

L’esasperazione dei residenti di contrada Mulinello che per protesta decidono di incatenarsi ad una panchina pubblica; la risposta degli animalisti che minimizzano i disagi e tuonano: «senza di noi ci sarebbero centinaia di cani per le strade»; la proprietaria del terreno su cui sorge la struttura abusiva vittima del paradosso secondo cui, indagata per maltrattamento di animali, ha comunque l’obbligo di mantenimento della struttura e dei cani stessi; il comune che non ha il becco di un quattrino per adeguare il canile abusivo alle normative vigenti e continua a tergiversare nella speranza di ottenere qualche finanziamento regionale o europeo; una vicenda giudiziaria che si trascina da un po’ di tempo senza comunque aver sortito l’effetto, finora, di stemperare i malumori dei residenti e migliorare le condizioni delle bestie, le quali, stando agli atti giudiziari, sembrerebbero vivere in condizioni non ottimali, rinchiuse in gabbie di fortuna o legate agli alberi, spesso denutrite e malaticce per mancanza delle risorse economiche necessarie a garantire il loro benessere nonostante lo zelo della proprietaria e degli animalisti.

Eccoli qua gli ingredienti di una vicenda, quella del canile abusivo di contrada Mulinello, che definire fuori controllo suona un po’ come un eufemismo. In gioco c’è la salute degli animali, certo, ma anche quella degli uomini: più di una volta – anche qui gli atti giudiziari e le relazioni dei veterinari del distretto di Patti parlano chiaro – su alcune bestie sono stati riscontrati casi di leishmaniosi, malattia trasmissibile all’uomo attraverso puntura di insetti. Senza contare l’allarme zecche, soprattutto d’estate: è di pochi giorni fa la denuncia del signor Giuseppe Crifò per una zecca attaccatasi al cuoio capelluto del figlioletto di appena due anni. Il referto del pronto soccorso è inequivocabile. Ad oggi il sindaco assicura che non ci sono rischi per la salute umana e che la situazione è sotto controllo. Ma anche se così fosse resta per i residenti l’inferno provocato dai latrati e dai miasmi di oltre cento cani ammassati a pochissima distanza dalle loro abitazioni.

 

Le ragioni dei residenti

Che si arrivasse ad eclatanti forme di protesta era abbastanza prevedibile. Dopo lo slittamento al 19 luglio dell’udienza preliminare relativa alla vicenda del canile abusivo di contrada Mulinello, alcuni residenti esasperati hanno deciso di incatenarsi ad una panchina di piazza Mario Sciacca per destare l’attenzione di chi finora sembra averli trattati con troppa indifferenza. Si tratta di Febronia Mollica e dei coniugi Antonino Orlando e Giulia Del Sorbo, questi ultimi cognati di Anna Chiodaroli, proprietaria dell’area su cui insite la struttura abusiva posta sotto sequestro. I tre risultano tra i firmatari degli esposti attraverso cui, già a partire dal 2009, venivano denunciati inquinamento acustico dovuto ai continui latrati degli oltre cento cani e gravi rischi per la salute umana a causa delle precarie condizioni igienico sanitarie della struttura. Esposti che avevano fatto scattare le indagini cui seguì, ad ottobre 2012, il rinvio a giudizio per Giuseppe Venuto e Francesco Gullo, all’epoca sindaco e vicesindaco del comune di Patti, per Anna Chiodaroli e per il veterinario Vincenzo Pantano.

Ma ad oggi, a prescindere dai risvolti giudiziari della vicenda, sembra che nulla sia cambiato: i cani, in forza del provvedimento di sequestro con “obbligo di mantenimento”, sono ancora lì e i residenti non sanno più a che santo votarsi. «Due volte l’anno veniamo in questa casa di campagna per trascorrere qualche settimana di relax, ma la nostra abitazione si trova a pochissimi metri da questo fantomatico canile. Ci dispiace per le condizioni in cui versano i cani e per nostra cognata che certo da sola non può gestirli tutti. Ma soprattutto ci dispiace per noi stessi: a causa dei continui latrati non dormiamo la notte, gli odori sono insopportabili, gli escrementi sparsi dappertutto e non siamo nemmeno liberi di girare nella nostra proprietà perché ci sono sette cani sciolti che scorazzano nei paraggi. Siamo segregati in casa nostra, chiediamo solo  giustizia». Questi i commenti dei coniugi Orlando, i più penalizzati tra i residenti per la loro estrema vicinanza alla struttura abusiva. «Magistratura e amministrazione comunale facciano qualcosa per tutelarci», è il grido di allarme dei due.

Sulla questione è intervenuto anche il legale dei residenti, Claudio Calabrò: «Si tratta di animali soggetti a denutrizione e malattie, ci sono relazioni di medici veterinari che attestano la leishmaniosi di alcune bestie. Non si vuole fare terrorismo ma vi è una gravissima situazione igienico sanitaria, senza contare che gli animali abbaiano ventiquattro ore al giorno. Nel 2010 – ha ricordato Calabrò – venne presentato un esposto alle autorità, un altro risale all’anno scorso e in merito a questo è in atto un procedimento penale aperto di cui tuttavia, a distanza di un anno dalla presentazione dello stesso, non si ha più notizia ed è stato addirittura annotato a carico di ignoti». Silenzio assoluto e indifferenza delle istituzioni. Questa la denuncia dell’avvocato difensore dei residenti, il quale ha anche dichiarato: «Tra i vari capi di imputazione a carico della Chiodaroli c’è il maltrattamento di animali. Il paradosso è che col provvedimento è stata nominata custode dei cani la medesima signora, che forse in tutta questa storia è la meno colpevole».

La reazione degli animalisti

All’indomani dell’eclatante protesta messa in atto dai tre residenti di contrada Mulinello sono intervenuti sulla questione, in una conferenza stampa congiunta, Daniela Faranda, presidente della sezione pattese di “Animalisti siciliani ambiente” e Anna Chiodaroli, custode dei cani e proprietaria del fondo su cui sorge la struttura abusiva. «I cani di cui con estrema difficoltà la signora Chiodaroli si prende cura sono in tutto centoquattro. Immaginate cosa potrebbe accadere in città se la signora per un qualsiasi motivo non potesse più accudirli», ha dichiarato la Faranda durante la conferenza stampa. «Dovremmo ringraziarla – ha aggiunto la presidente dell’associazione animalista – perché svolge un servizio sociale a titolo gratuito spinta unicamente dal suo amore per i cani». Stigmatizzato il gesto compiuto dai coniugi Orlando e dalla signora Mollica: «Facile organizzare simili manifestazioni per evidenziare la presenza abusiva di un canile, senza però valutare le difficoltà che ci sono per risolvere la questione legata al randagismo. E’ vero che esiste un canile non autorizzato nel terreno della signora Chiodaroli, ma più che una sua scelta si è trattato di una condizione creatasi nel tempo dal continuo abbandono di cani da parte di persone incivili».

Spiegazione, questa, che sembrerebbe comunque non tenere nella giusta considerazione gli estremi disagi, di natura oggettiva e incontrovertibile, vissuti dai residenti della contrada e probabilmente dai cani stessi. Ed infatti, ha ammesso la stessa Faranda, «proprio per cercare di dare vita ad  una corretta tutela dei cani, considerato che abbiamo la disponibilità della signora a concedere il suo ettaro di terreno, stiamo cercando di trovare delle soluzioni finanziarie per la costruzione di un canile rifugio in grado di poter garantire la massima prevenzione sanitaria per i cani e nello stesso tempo qualsiasi sicurezza ambientale per gli stessi residenti». Circostanza che al momento, sulla scorta degli atti giudiziari emersi a seguito delle indagini, sembra non essersi realizzata.

E che dire dell’altra circostanza davvero paradossale secondo cui la Chiodaroli, imputata del reato di maltrattamento di animali, è stata lo stesso incaricata della custodia dei cani? «Ho sempre fatto tutto a mie spese – ha dichiarato la signora – senza ricevere nessun contributo e con l’aiuto  saltuario di  qualche  associazione animalista. Alla fine mi sono ritrovata con tutta l’area del canile sotto sequestro e per di più con una recente richiesta di rinvio a giudizio per maltrattamento. Il colmo in questa vicenda è che nonostante questa accusa mi hanno affidato ugualmente il compito di accudire i cani in attesa di  trovare delle strutture idonee».

Ma i cani sono davvero i soliti centoquattro? O nei mesi il loro numero è aumentato? La stessa Chiodaroli ha affermato di averne trovato degli altri nei mesi scorsi e di aver rinvenuto pochi giorni fa uno scatolone con  «ben otto cuccioli appena nati». Ma se così fosse si paleserebbe il rischio concreto di non rispettare fino in fondo il provvedimento di sequestro, andando illegittimamente ad introdurre nella struttura nuovi animali. Insomma, la situazione parrebbe un po’ fuori controllo e per di più di soluzioni a breve termine nemmeno se ne discute.

 

La questione approda in aula consiliare

Ognuno ha le sue ragioni e tutti – sindaco, animalisti e residenti – sono convinti di averne da vendere. E tuttavia a margine dei lavori consiliari, durante i quali  è stata affrontata l’esplosiva questione del canile abusivo di contrada Mulinello, emerge la nitida consapevolezza che nessuno ha la più pallida idea di che sentieri percorrere per  rendere meno infernale la vita dei residenti e più dignitosa quella delle bestie e della proprietaria del terreno su cui sorge la “baraccopoli” canina. La faccenda sembra così assumere contorni sempre meno chiari, a parte – come si diceva – un’unica certezza: non sapere proprio cosa fare.

Intanto in aula i residenti si sono presentati sfoggiando delle magliette con su stampate le foto delle bestie e le frasi: “Per il sindaco prima i cani dopo le persone” e “Questo vuol dire essere animalisti?”. Parlano di «intollerabile mistificazione» e rimettono al centro il loro diritto ad un’esistenza tranquilla e serena, minata ad oggi dai continui latrati, dalla presenza di escrementi «fin sotto le finestre» delle loro abitazioni, dalla «gravissima situazione sanitaria registrata sui luoghi, asseverata dai sopralluoghi dei Nas, dai carabinieri di Patti, dalle numerose relazioni dei medici veterinari, dalla stessa Procura della Repubblica di Patti». E si torna a puntare il dito contro l’amministrazione, anzi contro il primo cittadino accusato di «minimizzare una situazione ambientale ed igienico sanitaria da terzo mondo», soprassedendo sulla circostanza secondo cui all’interno della struttura siano stati «sepolti oltre 50 cani». Inoltre lo stesso Aquino, in qualità di sindaco, «era stato informato – affermano i residenti – sin dal luglio 2011, da parte del responsabile del Servizio Igiene e Sanità Pubblica di Patti, che per eliminare del tutto il pericolo per la salute pubblica fosse necessaria la bonifica totale e definitiva del sito in questione».

Dai banchi dell’aula consiliare Prinzi stigmatizza gli «interventi tampone» e invita consiglio e amministrazione ad un’azione congiunta: «Bisogna agire uniti e portare avanti una battaglia che approdi al trasferimento immediato dei cani da quel sito». Anche per Fortunato «gli interventi tampone sono solo un palliativo» e mette in guardia dal rischio che un’altra concentrazione canina, composta da circa venti bestie e presente nei pressi della vecchia fabbrica Caleca, possa ancora aumentare di unità e fare in modo che di nuovo la situazione sfugga di mano.

Dal canto suo il sindaco fa spallucce, ribadisce «nessun rischio per la salute», esprime solidarietà ai residenti di cui comprende «lo stato d’animo e l’esasperazione», ma avverte: «Con gli strumenti a disposizione possiamo fare ben poco e con le risorse ridotte a lumicino anche il servizio veterinario ha spesso difficoltà a garantire microchippatura e sterilizzazioni». Sugli adempimenti c’è totale serenità: «Abbiamo ottemperato a tutti gli obblighi, abbiamo stipulato una convenzione col canile di Castanea e rinnovato quella per l’utilizzo dell’ambulatorio veterinario». Sul futuro della struttura di Mulinello c’è poco da dire: «Non possiamo fare granché, a parte sperare di ottenere dei finanziamenti per la costruzione di un canile in un altro luogo». Allo stato dell’arte esistono due progetti: uno riguarda un canile comunale, ma servirebbero dai 500 ai 600mila euro; l’altro, che dovrebbe sorgere ad Oliveri, è intercomunale ed il progetto è stato redatto per conto del consorzio Tindari-Nebrodi. Ma anche qui c’è da fare i conti con l’esiguità delle risorse  economiche.

Trasferire i cani in altro sito? Nemmeno a parlarne: in Sicilia e Calabria tutte le strutture sono sature. «Al momento l’unica via è quella della sensibilizzazione affinché i cittadini smettano di abbandonare i cuccioli nelle vicinanze della struttura», spiega il sindaco. Nel frattempo si punterà alla realizzazione di una piccola struttura modulare per attuare un graduale trasferimento dei cani dall’attuale sito. Soluzione che naturalmente comporterà un’ulteriore dilatazione dei tempi. E per residenti si prospetta un’altra estate infernale. 

Giuseppe Giarrizzo