Da dove veniamo? Cosa ha dato origine alla vita? Un notevole passo in avanti si è compiuto grazie allo studio di due fisici di Messina che hanno sfruttato le potenzialità della scienza computazionale per fornire un ulteriore elemento alla teoria che vede la vita provenire dalla ‘non vita’, l’organico dall’inorganico.
Franz Saija, ricercatore dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Messina (ICPF-CNR) e Antonino Marco Saitta, professore di fisica alla Sorbona di Parigi.
Due amici, due colleghi, ma soprattutto due fisici che hanno fatto della ‘curiosity driven research’ (ricerca guidata dalla curiosità) il proprio modus operandi. La curiosità e la passione per la ricerca li ha condotti a interrogarsi nuovamente sull’esperimento del 1953, con il quale Stanley Miller dimostrò in laboratorio come fosse possibile ricostruire il processo chimico che portò alla formazione degli aminoacidi (i mattoni fondamentali della vita, di cui sono costituite le proteine) sottoponendo a continue scariche elettriche il cosiddetto ‘brodo primordiale’ di darwiniana memoria, composto da molecole inorganiche. L’eccezionalità dell’esperimento di Miller fu dovuta all’individuazione di una serie di sostanze organiche fra cui la glicina, il più semplice dei 20 aminoacidi che costituiscono le proteine. La scoperta ebbe ovviamente una grande risonanza, scatenando dibattiti e nuovi interrogativi ancora oggi stimolanti.
Come spesso accade per ogni grande scoperta, la casualità ha condotto i due fisici nel campo della biochimica, così come ci racconta Franz Saija: “Un pomeriggio guardavo con mia figlia un documentario sull’esperimento di Miller. Io e Marco eravamo a conoscenza dell’esperimento per pura cultura personale, essendo fisici e non biochimici. In quel periodo, però, lavoravamo in un ambito che ci permetteva di usufruire di strumenti computazionali e teorici utili a ripetere l’esperimento e abbiamo così pensato di provarci. Dopo un’approfondita ricerca bibliografica per verificare che nessuno ci avesse già pensato, abbiamo pianificato la ricerca. Utilizzando le risorse computazionali del centro di calcolo della Sorbona e servendoci di metodi numerici basati sulla meccanica quantistica, abbiamo riprodotto al calcolatore elettronico l’esperimento di Miller, simulando con dei campi elettrici molto intensi (50 milioni di Volt) i fulmini dell’atmosfera primordiale, e innescando, quindi, quelle reazioni chimiche che portarono alla transizione dall’inorganico all’organico. Il poter simulare l’esperimento di Miller con un supercalcolatore ci ha permesso di analizzare i diversi passaggi che stanno alla base delle reazioni chimiche scatenate dagli enormi campi elettrici in gioco e che nessuno aveva compiuto finora. Dopo mesi di calcolo, che computazionalmente parlando rappresentano solo poche decine di picosecondi (un picosecondo è un millesimo di miliardesimo di secondo), abbiamo notato il legame fra due carboni e la formazione di un protoaminoacido. Quest’ultimo rappresenta un elemento chiave di tutto lo studio, poiché il legame carbonio-carbonio è il legame fondamentale della chimica organica. Sotto l’effetto di un campo elettrico potentissimo, semplici molecole inorganiche, come acqua, ammoniaca, metano, azoto e monossido di carbonio si erano legate portando alla formazione di molecole organiche, ovvero molecole formate da Carbonio, Azoto, Idrogeno e Ossigeno. La glicina è una di queste.”
La conferma tramite uno studio di simulazione numerica di quanto riscontrato in laboratorio da Miller 60 anni fa, costituisce un tassello fondamentale dell’intricato puzzle del passaggio dall’inorganico all’organico.
Ma la scoperta dei due fisici non si ferma qui. Come ci spiega ancora il prof. Saija: “Il nostro lavoro indica una strada diversa per arrivare alla glicina rispetto all’esperimento di Miller. Noi abbiamo individuato una molecola che, a nostro avviso, potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale nel processo che porta da molecole semplici, quindi metano, acqua, ammoniaca e idrogeno, agli aminoacidi. Questa molecola inorganica è la formammide, che contiene il carbonio, l’azoto, l’ossigeno e l’idrogeno: i quattro elementi fondamentali della chimica organica. Potrebbe essere lo step intermedio tra l’ipotetica scarica del fulmine e la formazione della glicina. Peraltro, nelle recenti settimane questa nostra ipotesi è stata corroborata da alcuni studi sperimentali condotti da altri team di ricerca internazionali”
Quella che, per i non addetti ai lavori, potrebbe sembrare una scoperta interessante solo da un punto di vista chimico e dallo scarso riscontro pratico, ha in realtà notevole rilevanza anche in altri ambiti scientifici. Potrebbe infatti avvalorare la tesi di quanti sostengono la panspermia, ovvero la provenienza dallo spazio delle molecole all’origine della vita. Tracce di formammide sono infatti state ritrovate in alcune protostelle, così come in alcuni meteoriti. Da qui il grande interesse da parte dell’astrobiologia nei confronti dell’esperimento di Saija e Saitta che potrebbe comprovare l’importazione sulla terra di sostanze, quali la formammide, formatesi tramite l’impatto di meteoriti o altri corpi extraterrestri.
L’esperimento non ha però interessato solo il mondo dell’astrobiologia. A conferma della grande portata della scoperta a livello interdisciplinare, l’interesse viene anche dalla comunità dei geochimici. Una delle tante ipotesi vede queste reazioni avvenire non nel brodo primordiale di darwiniana memoria, ma sulla superficie dei minerali. Infatti, è noto che dei campi elettrici estremamente intensi, ma molto localizzati sono presenti in natura proprio sulla superficie delle rocce che si trovano nelle profondità della terra. Tali campi potrebbero aver provocato la reazione chimica che portò alla formazione degli aminoacidi.
Ovviamente, come sottolinea il prof. Saija, gli esperimenti di cui si parla non sono da intendersi nel senso tradizionale del termine: “quando si parla di questo genere di esperimenti si intende l’esperimento numerico, che può essere considerato oramai a tutti gli effetti il ‘terzo paradigma della scienza’. Una volta c’erano due strade che lo scienziato poteva percorrere per comprendere i fenomeni naturali: l’esperimento eseguito in laboratorio, e la teoria che interpretava i risultati o suggeriva altri esperimenti”. Oggi, la ‘terza strada’ è costituita dalla scienza computazionale. Una branca che sfrutta le potenzialità dei calcolatori elettronici ‘figli’ dell’attività di ricerca che portò, durante la seconda guerra mondiale, alla produzione della bomba atomica. Anche chiamata simulazione numerica, la scienza computazionale consente di riprodurre al calcolatore elettronico esperimenti i cui risultati sono ardui da interpretare o impossibili da eseguire in laboratorio. Senza la simulazione numerica dunque, sarebbe stato impossibile per Saija e Saitta riprodurre la potenza dell’ipotetico fulmine e, di conseguenza, giungere alla straordinaria scoperta.
Un’ulteriore conferma dell’eccellenza messinese nell’ambito della ricerca in fisica riguarda la tecnica numerica che ha permesso di simulare con eccezionale dettaglio l’esperimento di Miller. Tale metodo, noto come simulazione Car-Parrinello, fu elaborato nella prima metà degli anni ’80 da Roberto Car e Michele Parrinello alla Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (SISSA) di Trieste e rappresenta un fiore all’occhiello della ricerca italiana. Proprio Michele Parrinello, messinese, è riconosciuto come uno dei fisici viventi più illustri al mondo. Il Prof. Parrinello è uno scienziato di acclarata fama mondiale che nel corso della sua eccezionale carriera di fisico teorico e computazionale, partita proprio da Messina, ha ricevuto una quantità di premi e di riconoscimenti assolutamente rimarchevole. Da diversi anni candidato al Nobel, è attualmente professore di scienze computazionali sia al Politecnico federale di Zurigo, sia all’Università della Svizzera italiana di Lugano.
Gaia Stella Trischitta