Giorgio Napolitano viene rieletto alla Presidenza della Repubblica superando il quorum di 504 voti. Plauso del Parlamento riunito in seduta comune e sui banchi del Pd il segretario dimissionario Pier Luigi Bersani si scioglie in lacrime. Fine del match in casa Dem. In Piazza i 5Stelle gridano al “golpe”.Dal suo blog appello agli italiani: “Tutti a Roma” contro la mossa targata Bersani-Berlusconi e Monti di confermare al Colle Giorgio Napolitano. Poi la retromarcia di Beppe Grillo per la paura che la piazza scappasse di mano.
Beppe Grillo sta scendendo a Roma per capeggiare la manifestazione di protesta che da questo pomeriggio si è radunata davanti a Montecitorio. L’arrivo è previsto per la notte, appuntamento domani con la stampa per i dettagli. Cordoni a difesa del vituperato “Palazzo” con beneficio di inventario nel prosieguo della cronaca dei tg. La piazza all’ombra dell’obelisco di Psammetico continua ad essere animata dalla gente accorsa, nonostante la retromarcia dei 5Stelle dopo le dichiarazioni dello stesso proprio leader. Golpe è la parola che più ridonda tra i manifestanti, riportando alla memoria fatti meno piacevoli rispetto ad un’elezione democratica di un uomo come Giorgio Napolitano da più parti definito di “garanzia”, garanzia che non piace sicuramente ai 5Stelle perché lascia passare per quel Governissimo di cui forse non solo Grillo ha timore (il voto in Parlamento nei diversi scrutini ha testimoniato le divergenze interne ai partiti per accordi di sorta).
Proprio nella sinistra italiana si è consumata la tragedia peggiore. Dimissioni al Nazareno del segretario PD Pierluigi Bersani e prima ancora della Presidente dell’Assemblea nazionale Rosy Bindi, prodiana delusa ed esclusa – lo ha ricordato anche lei- dalle mosse del partito da un mese a questa parte.
Oggi, poi, la new entry Fabrizio Barca, attuale ministro per la Coesione territoriale, ha dato l’ulteriore viatico al progetto dei Democratici, schiarandosi tra il Pd, i ‘giovani turchi’ e i vendoliani.
Nel campo berlusconiano, la scelta della rielezione di Napolitano al Quirinale è sembrata fin dall’inizio l’unica carta per assicurare un profilo istituzionale bipartisan a tutte le forze politiche ed in particolare al Presidente Silvio Berlusconi. La scelta in via dell’Umiltà coincide con la strategia e la strategia del Pdl era proprio quella di far leva sulle tensioni interne al centrosinistra, con renziani filo ‘larghe intese’, ‘redivivi dalemiani’ ex bersaniani e la sinistra del partito incantata dalle sirene dei Cinque Stelle e della candidatura del giurista Stefano Rodotà.
738 voti per la rielezione di Napolitano basterebbero a mettere fine ad una prassi istituzionale che in questi giorni non ha dato un’immagine nobile al Paese. La voce accorta ma non meno imbarazzata della Boldrini durante il primo scrutinio (quello per intenderci in cui comparivano preferenze per il porno attore Rocco Siffredi e la showgirl Valeria Marini) dimostra come il clima nell’emiciclo fosse a dir poco legato a quelle forme celebrative di democrazia consegnateci con la nascita della Repubblica.
Il dato politico è abbastanza immediato: la democrazia italiana, quindi il Parlamento, ha deciso di conservare lo ‘status quo’ affidandosi a chi ha saputo reggere le sorti del Paese e della stessa classe politica italiana in un settennato nato non proprio con ampi consensi (cfr. Elezione Giorgio Napolitano, giusgno 2006)ma capace di disinnescare spinte secessioniste, spirali giustizialiste e mosse neo-plebiscitarie pericolose.
L’esito faticato ma confortante permetterà adesso il prosieguo delle scelte che contano: governo, riforme condivise e iniezione di fiducia e lavoro nelle vene degli italiani. Nonostante questo, c’è chi parla di sciagura e rovina tanto da spingersi a parentesi storiche da sovrapporre al dato odierno.
Allusioni da parte del cosiddetto Palazzo per una “Marcia su Roma” dai richiami avanguardisti del primo fascismo o “colpo di Stato” denunciato dai seguaci di Grillo?
“Io sto andando a Roma in camper. Ho terminato la campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia e sto arrivando. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese”. Così il leader dei 5Stelle provava la carta più congenita agli italiani: la Piazza, appunto. Luogo simbolico di battaglie vere e necessarie, in cui storie e vicende umane si sono consumate ma tutte entro la legalità e il rispetto delle Istituzioni. Invece, nel computo di Grillo il Paese, con la rielezione di Napolitano, scivola nella sciagura tanto da invocare la mobilitazione dei tanto declamati cittadini per poi ricordare a se stesso ben più miti considerazioni.
Intanto rintoccano le campane del torrione del Quirinale. L’Italia nei fatti si avvia al Presidenzialismo. Complice il carisma del Presidente della Repubblica.
‘Il dentro’ ritrova la sua dimensione o meglio la sua quadra, ‘il fuori’ incorona i nuovi media dando prova alle istanzte che ritengono come le forme tradizionali della democrazia italiana forse necessitano di un rinnovamento.
Capire il futuro di strumenti di partecipazione attiva dei cittadini è ciò che consegna alla politica l’empasse di questi giorni. La mobilitazione nell’accezione comune dovrebbe essere quel contributo di azioni che giovano alla Patria. In genere, vince chi si muove prima rispetto all’immobilismo e al conservatorismo dei partiti, insegnavano ai giovani della Fgci o agli stessi rampolli democristiani nelle elezioni studentesche. La storia recente ci insegna che le piazze sono state occasione utile al Paese per ritrovarsi su valori e contenuti di unità e coesione. Bandiere – oggi sostituite da slogan e cartelloni – più o meno ascrivibili a storie politiche, rappresentano comunque sentimenti di cui tener sempre conto.
La scelta dei grillini può cogliere il malumore della gente per un rinnovamento annunciato, abbozzato nell’elezione di Boldrini e Grasso alla guida delle due Camere e disatteso dagli accordi di vertice ma va riconosciuto a uomini come Stefano Rodotà, Romano Prodi, Franco Marini e Anna Maria Cancellieri l’essersi consegnati ad un Parlamento di uomini e donne un tantino confusi su ruoli e prospettive che alla propria disponibilità per un incarico di responsabilità, di prestigio e di mediazione ha sancito la rottura di sostegno e solidarietà interna dei partiti e penalizzato chiunque avesse voluto escludere una parte politica a favore dell’altra.
“Il dissenso va espresso nelle sedi istituzionali” commentava in queste ore Stefano Rodotà prendendo le distanze dalla mobilitazione aggiungendo: “Oggi c’è una vicenda faticosa e difficile che si è conclusa, come in tutte le vicende è legittimo discuterne in democrazia, anzi occorre partire dalla premessa che sono vicende a cui va riconosciuta legittimità democratica, rivolgo un saluto al rinnovato Presidente della Repubblica”.Non a caso il capogruppo Cinque Stelle al Senato Vito Crimi ha tentato in queste ore di sciogliere la manifestazione invitando la folla a recuperare serenità ma l’enfasi prodotta da dichiarazioni precedenti non poteva non generare “effervescenza” tra militanti, contestatori e delusi. Grillo stesso fa di tutto per non arrivare in quella stessa piazza, consapevole che quei toni accesi sarebbero sfociati anche in atti violenza e va riconosciuto all’attivista Grillo un gesto di distensione tardivo ma apprezzabile.
Si conclude oggi il ‘killeraggio politico’ di un Parlamento che nel dispositivo costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato ha saputo trovare l’occasione per regolare i conti tra correnti e schieramenti.
“Dieci piccoli indiani” è forse la lettura consigliata a tutti alla fine di questa settimana italiana.