Come eri vestita?

Nel Kansas da qualche giorno è presente una mostra dal titolo “What Were You Wearing?”  “Com’eri vestita?”. È un’esposizione di abiti accanto ai quali sono stati montati dei pannelli con una storia di abuso realmente accaduta. Quei vestiti sono simili a quelli indossati dalle donne al momento dello stupro; abbigliamento quotidiano, vestiti normalissimi come jeans, magliette, maglioni, tute. Una mostra che ha l’obiettivo di sradicare il pregiudizio comune “se l’è andata a cercare” dimostrando che spesso le donne non hanno dei vestiti succinti, come si è soliti pensare, quando vengono abusate. Ma una minigonna può diventare davvero un’autorizzazione alla violenza sessuale? Siete convinti davvero che esistano dei “lasciapassare”, dei “permessi” per stuprare un uomo, una donna o un bambino?

La cronaca quotidiana è continuamente dedita a scrivere di violenze sessuali e psicologiche; a volte, purtroppo, quasi non fa più notizia la storia di una donna abusata sul posto di lavoro, un uomo in discoteca, una donna sul taxi. A proposito di attualità, un caso invece che fa scalpore, probabilmente per i suoi protagonisti popolari, è il caso del conosciuto produttore americano. Infatti, se Harvey Weinstein era uno sconosciuto, adesso non lo è più di certo. Da circa una settimana i media italiani e internazionali parlano a proposito degli abusi sessuali che il suddetto produttore avrebbe esercitato su decine e decine di donne. Alcune di queste hanno avuto il coraggio di denunciarlo, altre no. Alcune sono state elogiate per averlo fatto, altre rese colpevoli di non aver denunciato, giudicate colpevoli di “esserci state” e di aver sfruttato il rapporto sessuale ai fini dell’avanzamento di carriera. Tanti nomi noti, tra cui anche l’italiana Asia Argento contro la quale la maggior parte della popolazione ha puntato il dito, non riservando all’attrice la possibilità di alcun sentimento di solidarietà e sostegno se non da parte di pochi. Mi chiedo perché. Rifletto sul motivo per il quale la nostra società sembra fare fatica a mostrare sostegno ad una donna o ad un uomo che subisce violenza. Sembra quasi che esista un rifiuto nel concepire che un essere umano, di sua spontanea iniziativa, possa costringere un altro essere umano a rapporti sessuali. E così devono essere trovate delle spiegazioni plausibili e purtroppo, spesso, le cause dell’abuso vengono “eticamente” affibbiate alle vittime. È il caso del “se l’è andata a cercare”, “l’ha istigato”, “è colpa sua perché avrebbe dovuto usare degli abiti più consoni”, “mi dispiace però avrebbe dovuto prestare più attenzione”. Diventa quindi molto più semplice, molto più economico cognitivamente semplificare il tutto con delle categorizzazioni, con dei pregiudizi che alla base hanno degli stereotipi di genere che si insinuano nella coscienza collettiva e che fanno davvero fatica ad essere superati.

Lungi dal fare di tutta l’erba un fascio, l’arte della comprensione sembra un po’ sconosciuta al genere umano.  A differenza dell’arte del processare. Mettere su dei processi senza delle basi, delle prove conclamate, diventa l’hobby di chi si prende la briga di mettere bocca su fatti appresi un po’ qua e un po’ la. I social network poi diventano luoghi di fervide arringhe.  Quanti però conoscono davvero il vasto e complicato ambito della violenza sessuale?

In quanti sanno che alla violenza sessuale ci sono molti modi di rispondere? Reazioni che sono prettamente individuali e soprattutto IMPREVEDIBILI.

Per citare brevemente un esempio, conoscete il frozen fright? La mente sperimenta uno stato di paralisi: in pratica la vittima giace senza riuscire a difendersi, senza riuscire a fuggire. Il violentatore continua fino a quando decide di smettere. È ovvio che questo stato potrebbe essere facilmente scambiato come un consenso da parte della vittima allo stupro ma ricordiamo che ogni caso è soggettivo, ogni caso di violenza deve essere approfondito per capire le reali dinamiche. Il frozen fright è solo una delle possibili reazioni sperimentate allo stupro; e il dopo? Flashback, il rivivere l’esperienza dello stupro, le emozioni provate, disturbi del sonno, sensi di colpa, sensi di vergogna, disturbi nella sfera alimentare, compromissione della vita privata e tanti tanti tanti altri vissuti che caratterizzano la vita di donne e uomini dopo un abuso.

Si è mai davvero riflettuto sull’individualità delle donne che sono state giudicate colpevoli? Si è mai davvero provato a chiudere gli occhi e a metterci nei panni di quelle donne? A provare empatia verso chi ha subito una violenza? Avete pensato ad uno scenario possibile? Avete davvero preso in considerazione il fatto che esistano donne che non riescono a denunciare perché si vergognano? Perché hanno paura di essere esattamente giudicate come sta succedendo in questa baraonda americana? Non metto in discussione il fatto che possano esserci persone che acconsentano ad un rapporto sessuale con uomini di potere ai fini di una carriera brillante, ma non metto in discussione neanche il fatto che molte donne e molti uomini vengano stuprate e stuprati sperimentando un sentimento di impotenza, come se quella fosse l’unica realtà possibile, una realtà da cui non è possibile fuggire. Una realtà di cui si arrivano ad accettare situazioni impensabili. Com’è possibile? E invece lo è. Intrecci psicologici ed emotivi, temperamento e personalità, vissuti esperienziali costituiscono la base di un’individualità che non è sempre facile da comprendere. Meccanismi di difesa che si presentano con insistenza e che contribuiscono alla costruzione di un realtà a sé: è il caso della negazione ovvero quando la nostra mente, pur di sopravvivere, nega che stia succedendo qualcosa.

Perché allora continuiamo a chiedere come sia possibile che esistano molte donne che non denunciano i soprusi subiti? Ci si scaglia contro le vittime, perché? Perché le vittime diventano ancora una volta carnefici? Carnefici e colpevoli di non essersi comportati come chi o come cosa vorrebbe? Andiamo più a fondo. Andiamo più nel profondo. Impariamo a sperimentare sentimenti di sostegno verso chi subisce delle violenze che inevitabilmente si traducono in traumi che altrettanto inevitabilmente caratterizzeranno la vita di uomini e donne che dovranno trovare l’energia e la forza necessaria a superare e ad imparare a convivere con questo vissuto.

“Com’eri vestita?”

 “Non è importante”.