Consultori: sempre meno e con meno personale

Il primo rapporto nazionale sui consultori familiari fotografa una realtà in preoccupante regresso: sono il 30% in meno di quelli previsti, sono calati del 10% in due anni, solo 1 su 4 ha un organico completo di tutte le figure professionali. Mentre le Regioni sembrano occuparsene soprattutto in modo ideologico, per farne una bandiera pro o contro l’aborto.

I consultori hanno 35 anni, ma non stanno tanto bene. Nelle realtà in cui sono diffusi nel territorio e hanno personale adeguato, funzionano e rispondono ai bisogni delle donne e delle famiglie. Ma negli ultimi anni sono diminuiti di numero, quasi 200 in meno nell’ultimo biennio, e lottano una cronica carenza di organico che ne limita gli interventi e ne vanifica spesso lo spirito.

E’ questo il responso del primo Rapporto nazionale pubblicato dal Ministero della Salute,Organizzazione e attività dei consultori familiari pubblici in Italia – anno 2008. L’indagine si è basata su una ricognizione anagrafica effettuata alla fine del 2007, finalizzata a creare undatabase completo di recapiti, caratteristiche e presenza di spazi dedicati ai giovani, e su una successiva verifica degli aspetti organizzativi, strutturali, tecnologici e di attività, svolta dal coordinamento interregionale della Commissione salute della Conferenza Stato-Regioni.
Per effettuare la ricognizione il Ministero, in accordo con le Regioni, ha predisposto due schede per la rilevazione dei dati, una sugli aspetti normativi e gestionali allo scopo di delineare un quadro aggiornato delle normative vigenti nelle varie realtà regionali, e la seconda per illustrare gli aspetti strutturali, organizzativi e di attività dei singoli consultori familiari nelle varie Regioni italiane.
I consultori familiari vennero istituiti nel 1975, con la legge 405, con lo scopo di assicurare informazione e assistenza psicologica, sanitaria e sociale per la maternità, la paternità e la procreazione responsabile. Furono poi inclusi nel 1978all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, e successivamente nel Progetto Obiettivo Materno-Infantile (POMI).
Tre i dati più vistosi che emergono dall’indagine, il primo è che soltanto in sei regioni (Piemonte, P.A. Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche e Sicilia) le Asl hanno un capitolo di bilancio vincolato per l’attività dei consultori familiari, condizione indispensabile per la programmazione economica e progettuale delle attività dei consultori. Le carenze riscontrate a livello di risorse, sedi, tecnologie, organici hanno origine anche da questo aspetto che sembra puramente amministrativo.
Il numero delle strutture è sensibilmente inferiore a quello previsto dagli strumenti di programmazione, ma soprattutto continua a diminuire: da 2.097 consultori attivi nel 2007 si è scesi a 1.911 nel 2009, quindi ben 186 strutture sono state soppresse o accorpate. Il rapporto tra consultori e abitanti è sceso a 1 ogni 31.197, ben lontano dall’ipotesi prevista nella legge 34 del 1996, che prescriveva (e finanziava) l’attivazione un consultorio ogni 20mila abitanti nelle aree urbane (ogni 10mila nelle aree rurali, secondo il POMI) per un totale di almeno 3.000 in Italia: un divario rispetto alla realtà odierna superiore al 30%. Quasi irrilevante è la presenza dei consultori privati, in tutto un centinaio, in prevalenza espressione di confessioni religiose e quindi poco attivi in materia di sessualità e contraccezione.
Uniche regioni in contro tendenza sono Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Sardegna che fanno registrare un incremento nel 2009. Il Piemonte, con 176 consultori attivi, presenta un calo minimo (-3 rispetto a due anni prima) ed è al quarto posto per numero totale dietro Emilia Romagna, Sicilia e Toscana, ma nel rapporto con la popolazione è soltanto nono con 1 struttura ogni circa 25.000 abitanti, mentre al primo posto c’è la Valle d’Aosta che per rendere i servizi fruibili in un contesto disagevole ha realizzato 1 consultorio ogni 6.000 cittadini.
Oltre alla riduzione delle strutture emerge costante il dato della carenza di personale
Per lo svolgimento delle sue attività il consultorio dovrebbe avvalersi, di norma, di un organico multidisciplinare tra le seguenti figure professionali: ginecologo, pediatra, psicologo, ostetrica, assistente sociale, assistente sanitaria, infermiere pediatrico, infermiere professionale. 
Nell’indagine, relativamente al personale si è riscontrata, nella maggior parte dei casi, l’assenza delle equipe consultoriali complete (così come previste dal Progetto Obiettivo Materno Infantile). 
Nel 4% dei casi sono presenti le 8 figure professionali su elencate, nel 21% ve ne sono 6- 7; nel 45% sono 4-5 e nel 23% da 1 a 3. 
Le figure più presenti sembrano essere, rispettivamente, quella dell’ostetrica, dello psicologo, dell’assistente sociale e del ginecologo, ma in molti casi non sono presenti contemporaneamente nello stesso presidio, così da rendere spesso difficile l’attività di equipe. 
Tra i consulenti, il legale è presente Valle d’Aosta, Trento e Lazio con una presenza dell’84%, mediamente presente (38%) in Piemonte, quasi assente nella maggioranza delle regioni. Così come l’andrologo, facile a trovarsi in Valle d’Aosta e Lazio, quasi mai altrove.
La carenza di alcuni ruoli così come la presenza “ad ore” di diverse figure professionali, continua la ricerca, comporta una notevole frammentazione dell’assistenza consultoriale, anche perchè le varie figure professionali sono spesso costrette a svolgere la loro attività in maniera discontinua ed in più sedi. I problemi legati alle carenze di risorse economiche e di personale si ripercuotono, insomma, direttamente sull’attività ed in molte realtà il servizio all’utenza e, quindi, l’orario di apertura del consultorio, viene garantito a scapito del lavoro d’equipe.
Nonostante ciò, nella maggior parte dei casi si è lontani da un nastro orario di apertura continuativo: tra le varie regioni, si è riscontrato una omogeneità nell’apertura mattutina dai 3 ai 5 giorni alla settimana, mentre quella pomeridiana si riduce ad 1 o 2 giornate ed è molto rara anche l’apertura nel giorno di sabato. 
La qualità della sede consultoriale è giudicata dagli operatori buona in un caso su due, mentre la dotazione informatica è presente ma in pochi casi inserita in una rete intranet predisposta a scambiare dati, condividere informazioni e facilitare la comunicazione tra diverse strutture, e quasi mai in grado di effettuare direttamente prenotazioni di interventi specialistici. 
Il servizio consultoriale ha da sempre un ruolo importante nella prevenzione e nelladiagnosi dei tumori genitali femminili. Dalla ricerca si evince che ad eccezione della RegioneVeneto dove praticamente non vengono effettuati pap test, in tutte le altre Regioni c’è una partecipazione molto alta a questo tipo di screening.
La legge n. 194/78 ha ampliato la gamma di competenze del consultorio familiare assegnandogli un ruolo importante in materia di interruzione volontaria di gravidanza.
A questo proposito, l’indagine si sofferma sull’effettuazione di colloqui e sul rilascio delle certificazioni.
Ad eccezione della Valle d’Aosta, i colloqui preliminari nella quasi totalità dei consultori delle Regioni sono effettuati con una alta percentuale. Percentuale che però cala notevolmente se si considerano i consultori che forniscono documenti/certificazioni IVG: un segnale inquietante, che non viene però ulteriormente elaborato dalla ricerca. 
Sono infine molto ridotti gli incontri post- IVG, addirittura assenti in molte Regioni: si tratta di visite di controllo sanitario, ma anche di un momento che potrebbe essere importante per l’elaborazione del vissuto e l’offerta di un metodo anticoncezionale.
Il rapporto non indaga il dato fondamentale della percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario né delle misure organizzative con cui i consultori affrontano queste problematiche, da sempre oggetto di forti tensioni. Allo stesso modo non vengono prese in considerazione le collaborazioni con il volontariato, tema altrettanto scottante e al centro oggi di aspre polemiche in varie regioni che stanno assumendo indirizzi fortemente antiabortisti come Lazio e Piemonte. In ogni caso, l’eterna disputa su questo tema monopolizza da tempo il dibattito politico sui consultori, mettendo da parte le molte problematiche che questo rapporto invece ha il merito di sollevare.
Significativi i dati sulla fruizione da parte delle donne migranti dei servizi relativi alle nascite, all’interruzione di gravidanza e in generale alla salute riproduttiva, soprattutto nel Centro-Nord dove si registrano valori di gran lunga superiori alla media nazionale. Anche se la popolazione migrante accede ai servizi soprattutto per rimediare a gravidanze indesiderate, e infatti è passata in dieci anni dal 7,4% al 31,6% del totale degli aborti, tuttavia è rilevante il numero delle donne straniere assistite durante il percorso nascita (quasi il 15% del totale) anche se mediamente iniziano i controlli più tardi delle italiane (quasi il 18% dopo il terzo mese), quindi c’è sicuramente molto da fare per agevolare l’accesso di questa popolazione.
Una parola merita la scarsa attenzione mostrata dalla ricerca, pure ricchissima di dati, alla partecipazione dell’utenza alla gestione, un tema così importante nei primi anni di attuazione della legge che istituiva i consultori.
Anche se la ricerca, per ammissione degli autori va considerata una fotografia sfocata, un punto di partenza per avviare un monitoraggio ancora parziale e incompleto di questi servizi, vengono comunque riportate utili considerazioni conclusive. La valutazione di sintesi è che purtroppo i consultori familiari non sono stati, nella maggior parte dei casi, né potenziati né adeguatamente valorizzati.
“In diversi casi l’interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenze il mancato adeguamento delle risorse, della rete dei servizi, degli organici, delle sedi. Contemporaneamente, si è spesso parlato dei consultori familiari solamente per sottolineare carenze ed inadeguatezze, senza approfondire i motivi che hanno causato tali limiti”. In ogni caso, conclude il rapporto, “prerequisito fondamentale di un processo di riqualificazione dei servizi consultoriali dovrebbe essere il completamento degli organici, calcolato in modo oggettivo sui carichi di lavoro, e, possibilmente, la loro stabilizzazione”.