Trasparenza nel settore pubblico in affanno. Dopo lo sprint impresso dal parlamento il 31 ottobre 2012 con l’approvazione da parte della Camera dei Deputati dell‘attesa riforma anticorruzione (L. n. 190 del 6 novembre 2012, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13 novembre 2012, n.265, di seguito la “Legge 190”), volta ad aumentare la trasparenza nel settore pubblico. a distanza di poco più di un anno dall’entrata in vigore, la legge di riforma che introduceva nuove tipologie di reati legati al fenomeno corruttivo oltre a potenziare quelle già presenti nel Codice Penale, vede mutilarsi dallo stesso Governo uno degli strumenti nati proprio da quella legge: l’Autorità nazionale anticorruzione per la valutazione e la trasparenza nelle amministrazioni pubbliche.
L’Anac era nata sotto i migliori astri ma il bilancio dell’ente rispetto alle attese risulta assai discutibile ma non per demeriti propri.
Nonostante la corruzione sia più diffusa oggi che ai tempi di Tangentopoli il legislatore non riesce a sostenere con continuità gli sforzi messi in campo per andare incontro alle richieste di trasparenza. Ciclicamente, infatti, il legislatore ha provato a dotarsi di dispositivi che aiutassero l’azione del Governo nell’intaccare emergenze e casi limite venuti alla ribalta grazie ad inchieste giornalistiche, ad anticipare il lavoro dei magistrati, soprattutto nella corruzione nel pubblico impiego, laddove la burocrazia dei gangli amministrativi si presta – almeno in Italia – alle facili scorciatoie e al “dio tangente”, quest’ultima espressione resa celebre da Papa Francesco in uno dei suoi sermoni in Santa Marta.
Proprio per vigilare sulla pubblica amministrazione, la Legge 190/2012 instituiva l’ANAC, un ente già limitato in termini di organico e di mezzi, che si è vista togliere nel giro di poco tempo uno dei poteri principali dal Decreto del Fare dell’agosto scorso. Tale provvedimento ha sollevato, così, l’autorità dall’interpretare i casi di incompatibilità e inconferibilità delle cariche, trasferendo tale compito al Ministero della Funzione pubblica.
Appalti, sovvenzioni, assunzioni di personale, doppi incarichi e conflitti di interesse tornano sotto l’azione più politica di un ministero, rispetto ad un ente per necessità “indipendente”. Altra decisione, che nei fatti limita ad una mera funzione simbolica, se non di semplice Centro studi settoriale l’Anac, è stata quella di passare la valutazione delle performance degli enti pubblici all’Aran, l’agenzia con rappresentanza legale della pubblica amministrazione. La sfida di mettere in riga i circa 30 mila istituti pubblici, compresi ministeri, Regioni, Comuni, Asl (Asp e denominazioni varie), scuole e consorzi pubblici sembra destinata ad un ennesimo tonfo.
Nel primo rapporto ufficiale dell’Anac, pubblicato il 31 gennaio scorso, è dimostrato come la maggior parte dei comuni italiani non ha ancora nominato il responsabile della prevenzione della corruzione (richiesto dalla legge 190), figura che costituisce il perno fondamentale del nuovo assetto normativo in termini di prerogative e di conseguenti responsabilità (anche dinanzi alla Corte dei Conti). Dal rapporto dell’Anac emerge però come solo il 34% sembra essersi dotato di questo strumento di trasparenza. “La Cultura del rendere conto non è ancora radicata in Italia, ammette la presidente Anac, Romilda Rizzo. Inoltre, proprio per dare continuità ai proclami governativi sulla trasparenza, le amministrazioni dovevano provvedere ad inserire sul proprio sito web una finestra “Amministrazione trasparente”, capitolo dove dovrebbero essere specificate tutte le centinaia di voci legate a concorsi, gare d’appalto, bandi, avvisi e circolari. A questi – è d’obbligo – aggiungere i termini delle assunzioni, stipendi, assenze, doppi incarichi. In sostanza, un’informazione capillare sulla salute dell’ente pubblico.
Dall’Europa giungono a noi stime inverosimili per dimensione sul fenomeno della corruzione in Italia, una dimensione di 60 miliardi di euro. Un dato affidabile? A questa domanda la stessa Rizzo risponde con una certa riserva come “si tratti di stime che circolano da tanto tempo e la cui fonte è, probabilmente, un rapporto del 2008 della Banca Mondiale, nel quale si fa una stima sull’incidenza della corruzione sul Prodotto interno Lordo. L’autorità nazionale anticorruzione – nel recente rapporto – ha rilevato come il problema della misurazione sia un problema essenziale. Stime affidabili non sono molto diffuse”.”Non mi sentirei di sottoscriverlo”- aggiunge la Rizzo, in relazione al dato diffuso in questi mesi.
Gli ultimi governi hanno pagato il dazio di essere stati complici nella percezione dell’opinione pubblica dei maggiori sprechi nella gestione delle finanze pubbliche. La gestione non attenta e corretta delle risorse finanziarie pubbliche va però ricordato come spesso sia veicolata dagli enti locali, Regioni in testa e grandi metropoli. Nonostante i crescenti tagli e la riduzione di trasferimento, ciò che comunemente chiamiamo “sprechi”, costituiscono il terreno favorevole per patologie ben più gravi, perché dalle disutilità e quindi dai maggiori costi per le strutture pubbliche, Amministrazioni pubbliche in senso stretto e società da queste partecipate, si possono trarre le risorse che alimentano dazioni illecite con danno per la collettività contribuente.
Occorre dire, come la corruzione in Italia trovi più facilitazioni all’interno della stessa pubblica amministrazione che nelle assemblee legislative. La corruzione dei dipendenti pubblici e le truffe dei cittadini continuano a drenare le casse dello Stato provocando una vera e propria voragine nei conti. In Italia sono stati denunciati 5 mila dipendenti pubblici. La Guardia di Finanza ne ha lanciato l’allarme: “La corruzione costa all’Italia tre miliardi di euro”.
Non ci nascondiamo come il raffronto con 20 anni fa rischia di essere solo un alibi. Oggi la corruzione è liquida, diffusa ovunque e difficile da recuperare e lo Stato – tanto per cambiare – sembra aggiungere confusione su confusione.
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