7.000 morti, 300.000 feriti di cui 20.000 sono i disabili gravi prodotti ogni anno dalla circolazione di 36milioni di autovetture sulle strade Italiane. A questa guerra non dichiarata lo Stato risponde poco e male, e dopo ogni incidente grave al dolore per i morti si unisce l’esasperazione dei vivi. Costretti a barcamenarsi tra l’individuazione dei responsabili e la loro punizione, tra la richiesta di un’equa giustizia e il risarcimento di un danno che spesso non riesce a coprire neanche le spese funerarie o le spese mediche delle vittime.
Anche l’Europa si è resa conto che in Italia è più facile morire per un incidente stradale che per morte naturale, tanto che ci ha richiesto di ridurre del 40% in dieci anni le paurose cifre sopra riportate. In altri termini è come dire che l’Europa si aspetta e prevede che in Italia nei prossimi dieci anni ci saranno ben 70.000 morti da incidente stradale e 3 milioni di feriti con 200.000 disabili gravi. Chi sa se il Ministro Tremonti, il quale dichiarava che 2.700.000 invalidi civili son un impedimento alla competitività dell’Italia, se li è fatti beni i conti di quanto ci costano ogni anno le vittime della strada ?
Le famiglie delle vittime i conti se li sono fatti. A chi non è capitato di vedere a lato della strada un mazzo di fiori, una croce o solo un piccolo biglietto?
Vite spezzate per colpa di quattro i fattori principali: velocità eccessiva (causa di circa un terzo degli incidenti), consumo di droga o alcol (la guida in stato d’ebbrezza provoca 10 mila vittime all’anno), mancato rispetto dell’obbligo di indossare cintura di sicurezza o casco, diversi livelli di sicurezza offerti dai veicoli.
Ma tutto ciò non basta e non è sufficiente a colmare la perdita di una persona cara, non bastano le statistiche e le analisi o i risarcimenti economici e l’individuazione dei colpevoli.
Non basta sapere che guidare è un’attività pericolosa, anzi proprio il saperlo fa aumentare la nostra rabbia di fronte a livelli di sicurezza che sono stati disattesi o quando lo stesso guidatore aumenta il pericolo e il rischio mettendosi alla guida in stato d’ebbrezza.
Tutti siamo stati giovani e l’incoscienza, la non conoscenza delle regole e una mancanza di educazione alla guida o di prevenzione del rischio, ci ha portato molto spesso a sottovalutare i pericoli insiti nel guidare ma questo non ci giustifica, ne diminuisce le nostre responsabilità.
Siamo stati tutti solo molto fortunati. E lo siamo ancora oggi, se guidiamo, dal non aver ancora ammazzato nessuno. Perché è questo il problema. Quello di non poter dire in anticipo se quando prendiamo una macchina causeremo un incidente o meno, se ci saranno feriti o morti, se sarà colpa nostra o di altri.
Si comprende allora la rabbia di un padre o di una madre che vedono spezzata la vita di un loro caro non da un’attività pericolosa, da una circostanza imprevedibile, ma da un guidatore drogato o ubriaco. Si comprende l’insoddisfazione di fronte a uno Stato che invece di punire i responsabili si nasconde davanti a teorie giuridiche e di diritto tali da comportare di fatto l’impunità.
Oggi chi causa un incidente grave con morti commette un omicidio colposo dovuto, quindi, a negligenza, imperizia o imprudenza (le generali qualificazioni della colpa giuridica). Se l’incidente è commesso da persona ubriaca o drogata non si commette un omicidio volontario, (se ti metti alla guida, compi cioè un’attività pericolosa, ubriaco o drogato è come voler causare “volontariamente” un incidente) commetti solo un omicidio colposo aggravato.
Tutto questo nasce dal concetto giuridico di “colpa cosciente” e “dolo eventuale” In altri termini per commettere un reato non colposo c’è bisogno dell’elemento psicologico, cioè la volontà di commetterlo, il dolo appunto, ( se prendo la macchina è metto sotto volontariamente il mio rivale in affari commetto omicidio volontario e se invece lo investo perché improvvisamente attraversa la strada fuori dalle strisce bianche commetto, salvo prova contraria, omicidio colposo).
In diritto per dimostrare la responsabilità di qualcuno si usa un procedimento presuntivo, si guarda cioè alla rappresentazione psicologica dal comportamento concretamente posto in essere dall’autore del fatto; utilizzando questo criterio di valutazione dovremmo dire che vi è colpa cosciente ogni qual volta si riesca a dimostrare, che il responsabile di un fatto delittuoso ha previsto l’evento ricollegato alla sua condotta e ciò nondimeno abbia agito, nella consapevolezza errata che l’evento non si sarebbe verificato: un possibile esempio è proprio quello di chi guida in stato d’ebbrezza sicuro di non investire nessuno, magari perché confida nella propria capacità di reggere l’alcol o nella bravura d’autista. Ed infatti la colpa cosciente non attiene alla valutazione della condotta oggettiva, cioè al fatto materiale posto in essere ( guidare da ubriaco o drogato), ma attiene all’elemento psicologico, cioè all’atteggiamento presente al momento del fatto nella mente di chi agisce. (si vuole provocare un incidente o no).
L’elemento distintivo del dolo eventuale, invece, è “l’accettazione del rischio di produrre il fatto”. In altri termini mentre nella colpa cosciente è indifferente se l’evento si compie, nel dolo eventuale il colpevole accetta il rischio di produrre il fatto. L’esempio di scuola è quello del rapinatore che fuggendo all’impazzata dall’inseguimento della Polizia accetta il rischio di poter ferire o uccidere chi si trovi sulla traiettoria della sua guida. Quindi per raggiungere lo scopo (fuggire) accetta il rischio di produrre l’evento-reato.
La difficoltà di fare rientrare le ipotesi di guida in stato d’ebbrezza o sotto stupefacenti nel concetto di dolo eventuale nascono dalle interpretazioni che di volta in volta la Cassazione ha dato delle due figure. E’ ovvio che qualificare come omicidio volontario i reati commessi nelle ipotesi di guida in stato d’ebbrezza o sotto stupefacenti sarebbe più opportuno e più aderente alla istanze che vengono dalla società civile e dalle associazioni di categoria.
Abbiamo allora il dolo indiretto o eventuale che ricorre quando l’agente nel compiere l’azione si rappresenta una determinata conseguenza del suo comportamento, conseguenza voluta come probabile e possibile, viceversa nell’ipotesi di colpa cosciente il soggetto si pone in una concreta situazione di indifferenza rispetto all’evento, sperando che esso non abbia a realizzarsi. Da ultimo, il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell’evento; questa nel dolo eventuale si propone non come incerta ma come concretamente possibile e l’agente ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l’evento rappresentato, mentre nella colpa cosciente la verificabilità dell’evento rimane un’ipotesi astratta, che nella coscienza dell’autore non viene concepita come concretamente realizzabile e pertanto non è in alcun modo voluta.
Questo è ancora oggi lo stato della dottrina giuridica mentre il legislatore proprio perché non è riuscito a tracciare una moderna è più aderente figura di dolo eventuale si è limitato a considerare la colpa cosciente come un aggravante dell’omicidio colposo escludendosi, per tal via, qualsivoglia ipotesi d’omicidio volontario nel sinistro stradale con vittima mortale. Ne discende che ancor oggi l’art. 589 del c.p. (intitolato Omicidio colposo) prevede che
“Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sei anni.
Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.
Il 22 Giugno a Roma, il convegno Nazionale Vittime della Strada tenta di dare risposte concrete e mi fa piacere riportare, in conclusione, il frontespizio della Brochure del convegno ““Fermare la strage stradale e dare giustizia ai superstiti” Un obiettivo che richiede un cambiamento culturale, etico ed organizzativo, e ripropone la necessità di uscire dalla sottovalutazione del reato e del danno, dando il giusto nome al sinistro stradale: non più incidente ma crimine. Aspetti che chiamano in causa il potere politico e giudiziario, perché la legge sia adeguata alla gravità dei fatti e venga amministrata per assicurare lo sviluppo della civiltà”.