L’era di Cosa Nostra è tramontata. La vecchia mafia, quella terroristica, che spargeva sangue e terrore ha finito il suo tempo. Ora sullo sfondo c’è un nuovo tipo di criminalità organizzata, che sembra quasi impalpabile e difficilmente riconoscibile. Non puzza di pecorino, ha abbandonato i vestititi sudici ma soprattutto. “Odora di buono e di potere”.Questa realtà, è raccontata da giornalista Giacomo Di Girolamo, nel suo ultimo libro Cosa Grigia, che unisce alla scrittura tipica del saggio,del reportage, del romanzo, l’attenzione del cronista d’inchiesta, cercando di far luce su quelli che sono gli eventi odierni, in cui “lo spazio opaco tra legale e illegale si è fatto sistema, ha propri meccanismi, regole, una sua autonomia alla quale devono sottostare anche gli stessi mafiosi”. Alla luce della ribalta, insomma ci sono nuovi personaggi, che hanno adottato metodi malavitosi, ma nello stesso tempo sono dotati di menti raffinatissime. La mafia è cambiata, ma non è cambiata il modo di rappresentarla e di combatterla. Le pagine del libro, quindi, offrono un nuovo punto di vista e pongono al lettore una domanda sottintesa: “Stiamo forse sbagliando direzione?”
Nel suo libro racconta la mafia in una veste nuova. La rappresenta con un colore: il grigio. Cosa racchiude questa sfumatura?
Cosa Nostra non c’è più, sta morendo. Al suo posto c’è una “cosa” nuova, senza forma, senza un’identità precisa, che io chiamo Cosa Grigia, perché è l’evoluzione dell’area grigia. Una volta indicavamo con questa espressione tutta quell’area di professionisti, imprenditori, politici che erano al servizio di Cosa nostra, approfittavano della loro vicinanza ai boss per arricchirsi. Oggi quest’area è uscita dall’indeterminatezza, si è fatta una”Cosa”: una criminalità organizzata con proprie regole, una propria struttura (mentre Cosa nostra aveva una struttura verticistica, Cosa Grigia utilizza il modello della rete) e che ha nel suo essere indefinita, nebbiosa, grigia, appunto, il suo punto di forza, perché si muove nel confine tra illecito e illecito, perché utilizza le risorse pubbliche in maniera distorta.
“Cosa grigia i soldi non li estorce se li fa dare direttamente dallo Stato”. Come è avvenuto questo passaggio di livello e cosa significa per l’economia martoriata del Sud?
Mentre Cosa nostra aveva nell’estorsione uno dei reati tipici, che servivano oltre che a finanziare l’organizzazione anche a controllare il territorio, Cosa Grigia non ha bisogno di rubare o chiedere i soldi con violenza perché è fatta da professionisti che hanno imparato come farsi dare direttamente ciò di cui hanno bisogno. In questo senso, la truffa allo Stato è ormai istituzionalizzata. La legge 488, ad esempio, e tutte le altre leggi che dovrebbero aiutare le imprese del Sud servono nella stragrande maggioranza dei casi ad arricchire reti di imprenditori, politici e professionisti senza scrupoli che riescono ad intercettare finanziamenti milionari. Negli anni è stata alimentata l’idea che il Sud sia una delle zone più povere d’Europa.Non è vero. Dati alla mano, la Sicilia e il Sud Italia sono zone dove arrivano finanziamenti a pioggia di tutti i tipi, dall’Unione Europea ascendere, solo che l’utilizzo di queste risorse è assolutamente distorto. Le grandi opere sono il segno distintivo della criminalità organizzata. Che cosa sta succedendo con il ponte sullo Stretto di Messina?
Cosa Grigia è specializzata nelle grandi opere. Ma, a differenza della vecchia mafia, che aveva nel calcestruzzo e nel ciclo del cemento una delle sue leve, Cosa grigia ha capito che è un affare fare le cose, ma è un altro affare soprattutto non farle. Perché il vero business non è la costruzione, è l’intera gestione della filiera, della burocrazia, delle consulenze, dei passaggi. Il Ponte sullo Stretto è l’emblema di questa visione, perché come racconto nel libro il vero affare le imprese coinvolte lo hanno raggiunto non costruendo il Ponte, quasi fosse un gioco di prestigio.
L’antimafia sta diventando per qualcuno il luogo per auto garantirsi un’immagine da paladino della giustizia. Quanti Ciro Caravà pullulano in Italia e perché secondo lei l’antimafia è diventata inefficace?
L’antimafia oggi, intesa come insieme di movimenti, sigle, associazioni e persone che fanno della lotta alla mafia la loro ragione d’essere, è oggi un ombrello che dà riparo a tutti, indistintamente, senza alcuna capacità critica di analizzare e contestualizzare fenomeni, situazioni e persone.Molti imprenditori, oggi, sono convinti che entrare in un’associazione antiracket sia il modo migliore per evitare che la Finanza bussi alla propria porta. Così come molti politici, di tutti i partiti, sbandierano un’antimafia di facciata, perché fa comodo, dà visibilità. L’antimafia ha perso efficacia perché contro Cosa Grigia non è attrezzata, non lo è il suo linguaggio, il suo apparato retorico.
Com’è fare informazione in provincia di Trapani e soprattutto cosa significa fare “giornalismo residente”?
Fare informazione nel territorio in cui vivi è difficile, perché racconti spesso storie che riguardano persone che poi incontri in piazza o al bar, perché sei sovraesposto, perché vieni considerato lo “stravagante” del posto, quello che vuole cercare di capire le cose. Però per me non è né difficile né impegnativo né incosciente. E’ semplicemente, normale. Io lo chiamo, appunto, giornalismo residente: raccontare ciò che si ha accanto. Io mi occupo di mafia perché vivo nella provincia più mafiosa d’Italia. E’ una scelta non eroica, ma, diciamo, di prossimità.
La mia grande ambizione, ogni giorno, nella professione, è dimostrare tra l’altro che si può essere giornalisti di provincia, senza però essere provinciali.
Claudia Benassai