Le denunce di Pippo Fava nel documentario realizzato con il regista Vittorio Sindoni nel 1980 sono presentate sotto forma di interviste, commenti e ricostruzioni teatrali. Sulla scena vengono portati i passaggi salienti che hanno sancito l’evoluzione di Cosa Nostra da mafia a rurale a urbana, ma quello che colpisce maggiormente è la rievocazione di quei momenti come i primi maxi processi in cui boss e gregari venivano assolti in massa. La mafia si imponeva prepotentemente e la macchina della giustizia non riusciva a impedirne l’inarrestabile avanzamento. A distanza di tanti anni quindi quelle immagini fanno ancora riflettere e acquistano toni assai amari quando la voce fuori campo annuncia che uno degli autori del documentario, Pippo Fava, è stato assassinato da quella stessa mafia che attraverso il suo giornalismo coraggioso aveva denunciato. Noi de ilcarrettinodelleidee.com abbiamo sentito il parere del regista Vittorio Sindoni, per offrire al lettore, il punto di vista di chi attraverso la macchina cinematografica ha fissato quei momenti storici cruciali.
Secondo lei com’è la Sicilia che viene raccontata attraverso la cinepresa e soprattutto qual è l’immagine della mafia che viene veicolata?
Bene come nei capolavori di Pietro Germi (“In nome della legge”, “Divorzio all’italiana”, “Sedotta e abbandonata”), di Damiano Damiani (“Il giorno della civetta” “La piovra”), di Francesco Rosi (“Salvatore Giuliano”), di Alberto Lattuada (“Il mafioso”), di Camilleri (“Montalbano”), di Giuseppe Tornatore (“Nuovo Cinema Paradiso”, “L’uomo delle stelle”, “Malena”, “Baaria”). Questi autori hanno dato molto e hanno avuto altrettanto dalla Sicilia che è la regione più rappresentata sugli schermi del cinema e della televisione del nostro Paese. Male con i “derivati” che in qualche modo hanno avuto tanto e hanno dato poco e male alla Sicilia. L’immagine della mafia non sempre viene veicolata come il cancro malefico della nostra terra. Spesso il mafioso, soprattutto nelle recenti fiction televisive, viene, anche se non intenzionalmente, rappresentato come un personaggio carismatico, affascinante. Col paradosso che qualche capobastone si è lamentato che a lui non è stata dedicata una fiction. Lo accontenteranno sicuramente in nome del “sacro auditel”.
Nel suo documentario viene descritta l’escalation criminale fino agli anni ’80. Se oggi dovesse tornare a descrivere la mafia. Come la descriverebbe? Secondo lei è cambiato qualcosa dal periodo delle stragi?
“Da Villalba a Palermo. Cronache di mafia” è una docufiction che, come dice il titolo, ha come fonte la cronaca. Comincia con la cosiddetta “mafia agricola” di don Calogero Vizzini e Genco Russo e finisce con la “mafia del cemento” di Luciano Liggio e dei Corleonesi. Io non sono un “mafiologo”. Mi sono occupato di mafia in questo progetto di Raitre perché ho incontrato Pippo Fava. Oggi non saprei descriverla perché accanto a me non c’è quel grande giornalista che è stato Pippo Fava. Dal periodo delle stragi qualcosa sta cambiando. Ma i protagonisti veri prima durante e anche dopo le stragi continuano ad essere i mafiosi. Non c’è bisogno né di attori né di cronisti di mafia.
Il tono dei “Siciliani” colpisce lo spettatore quando si racconta che l’autore è stato ucciso. Cosa si ricorda di Pippo Fava?
La sua onestà intellettuale. La voglia di raccontare la verità sulle contraddizioni della nostra terra. Con tanto affetto e tenerezza per i più deboli e tanta rabbia per quei malavitosi palesi ed occulti, con la cravatta e i colletti bianchi.
Chi ha ereditato la tensione morale di questo professionista dell’informazione?
Nessuno col coraggio e l’ingenuità di Pippo Fava. Quel coraggio e quella ingenuità che lo hanno portato alla sua tragica fine.
Claudia Benassai
In seguito il link al film in oggetto: http://youtube.com/watch?v=e6qg6TgnFbk