Si accorciano le differenze tra testimoni e collaboratori di giustizia. In Italia l’argomento resta ancora da definire, nonostante tra le due figure rimanga sempre l’argine etico a discriminarne il contributo alle indagini. Brevemente. Il collaboratore stipula un contratto con lo Stato pur di offrire verità dall’interno di un’organizzazione malavitosa; il testimone di giustizia è invece colui che decide di contrastare da subito l’ombra della criminalità che si scaglia sulla propria vita e/o attività lavorativa. Una differenza che però relega questi ultimi su un piano inclinato se non addirittura secondario. Intanto, prende forma la tutela dei testimoni di giustizia anche sul piano lavorativo.
In questi giorni Palazzo Madama ha approvato un emendamento, nell’ambito del Decreto sulla Pubblica Amministrazione, che estende ai testimoni di giustizia la possibilità di essere inseriti nella Pubblica Amministrazione come già in vigore per vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Una conquista che raccoglie il plauso dei familiari dei testimoni di giustizia e di quanti si battono per garantire il rispetto di chi mette a rischio la propria vita per una battaglia spesso solitaria. “La gente non immagina neanche quanti sacrifici abbiamo dovuto affrontare noi e le nostre famiglie, afferma Giuseppe Carini, uno degli allievi di don Pino Puglisi. Per una testimonianza, abbiamo dovuto lasciare la Sicilia, abbiamo abbandonato le nostre occupazioni, gli studi. Ecco perché questa legge rende giustizia a persone che hanno pagato un prezzo altissimo pur di aiutare le istituzioni”.
“Era un passo necessario – afferma il Ministro Gianpiero D’Alia (nella foto), responsabile della PA e della Semplificazione – per completare l’atto di giustizia che lo Stato deve a chi non ha voltato la testa, anche a costo di enormi sacrifici personali, di fronte alla prepotenza delle organizzazioni criminali”.Si tratta anche di un atto di solidarietà importante e di incoraggiamento per coloro i quali hanno avuto il coraggio di denunciare fatti di criminalità organizzata che hanno comportato un sacrificio personale e famigliare.
Posizione che conferma gli impegni presi dal governo nel corso del Consiglio dei Ministri del 26 agosto scorso. In quella sede, il CdM aveva approvato, su proposta del presidente del Consiglio, Enrico Letta, e del Ministro Gianpiero D’Alia, un decreto legge recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni. Nel provvedimento, rientravano così 84 persone, di cui 16 siciliani. Nomi noti del movimento antimafia: dal già citato Giuseppe Carini, a Vincenzo Conticello, l’ ex titolare della focacceria San Francesco che ha denunciato i suoi estorsori. Da Valeria Grasso, anche lei impegnata contro i boss del pizzo, a Piera Aiello, la cognata di Rita Atria la giovane che decise di raccontare i retroscena della cosca trapanese all’allora procuratore Paolo Borsellino.
Già allora Ignazio Cutrò – presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia ed imprenditore agrigentino che con la mafia si scontra ogni giorno – aveva detto come il governo “aveva fatto un atto di giustizia, che riscatta anni di isolamento e di sofferenze”. Stessa soddisfazione adesso per l’approvazione dell’emendamento 7.2 al Senato. “I testimoni di giustizia e le proprie famiglie – dichiara il presidente Cutrò – sono grati agli uomini e alle donne di buone volontà che hanno riconosciuto nell’azione dell’ANTG un sincero e libero impegno nella lotta contro le organizzazioni criminali di stampo mafioso”.
In precedenza, Cutrò è stato anche oggetto di un disservizio da parte degli uffici di polizia di Milano. Una circostanza spiacevole che ha riportato a galla la disparità di trattamento dei testimoni di giustizia che lo stesso ha denunciato chiedendo al ministro dellʼInterno di “prendere posizione pubblicamente e riconoscere che i testimoni di giustizia devono essere trattati come gli altri, perché – afferma Cutrò – è un nostro diritto, visto che non siamo carne da macello né merce di scambio”.
Secondo le disposizioni approvate al Senato, le assunzioni previste per i testimoni di giustizia, avverranno per “chiamata diretta nominativa” e dovrebbero riguardare un’ottantina di persone, secondo quanto riferito dal viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico. L’obiettivo, spiega quest’ultimo, è quello di mettere in campo strumenti di premialità per i testimoni, in modo da incoraggiare atti di responsabilità civile in quei cittadini che hanno assistito a vicende criminose. La priorità, naturalmente, rimane comunque quella di garantire la sicurezza di queste persone, costrette nella maggior parte dei casi a lasciare il luogo dove vivono e lavorano e a rinunciare, di conseguenza, alla libertà di vivere una comune vita civile. Subiscono il trauma dello sradicamento e dunque è giusto, ricorda il viceministro, “sostenerli con un’opportunità occupazionale che consenta loro di ricostruire un proprio profilo professionale, superando la precarietà in cui spesso sono costretti a vivere”.
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