Venimmo per portare la gentilezza, ma non ci fu concesso di essere gentili. (Samuel Beckett)
A tutte donne mancate mamme e a tutti loro figli non nati.
Lo spunto nasce da una recente sentenza della Cassazione (Sez. Penale del 2 Aprile 2013) che ha confermato la condanna di un medico che si è rifiutato di prestare le cure mediche a una gestante appellandosi all’art. 9 della legge 194 del 1978 (legge sull’aborto).
La sentenza è entrata nel merito della vicenda per mettere un freno all’uso sempre più frequente di contrapporre l’obiezione di coscienza al diritto alla vita e salute della donna . In questo senso la sentenza è stata chiara : il medico obiettore di coscienza non si può esimere dal prestare assistenza prima o dopo l’interruzione di gravidanza, in quanto deve “assicurare la tutela della salute e della vita della donna anche nel corso dell’intervento di interruzione di gravidanza”.
Come uomo io sono il meno indicato ad affrontare il problema che una norma ormai datata pone alle donne, ai medici ed in genere a tutte quelle persone che hanno dovuto affrontare le paure, le tensioni e le conseguenze di una interruzione di gravidanza. Per questo motivo ho deciso di rivolgermi a Maria e le ho chiesto il permesso di raccontare le sua storia, convinto che nessuno meglio di lei potesse fare luce su un argomento cosi tanto delicato e allo stesso tempo tanto difficile d’apparire come un immagine sfocata, piena di luci e ombre.
Maria è una Suora di clausura dell’ordine delle carmelitane scalze ed il suo convento, di cui non farò il nome, è uno dei tanti che inaspettatamente si possono ancora trovare in Sicilia (se ne trovano a Palermo, Noto, Siracusa, Ragusa, Catania ecc…). Oggi Maria ha superato i cinquant’anni, una voce lieve e trillante, gli occhi rivolti sempre verso il basso come se dovesse addossarsi tutte le colpe e il peso del mondo, un ciocca di capelli di un nero intenso e corvino che affiora birbante dalla cuffia bianca che le cinge la testa, scende dolcemente da una fronte alta e spaziosa fino a risaltare su un viso tuttora roseo e latteo come a voler fare da pendant all’abito nero d’ordinanza. Una figura slanciata, unita ad un andatura elegante, fa intravedere una bellezza mediterranea che riporta alla mente le madonne del rinascimento fiorentino.
“Come tutte le donne, anch’io sono stata giovane e bella, ho amato e sono stata amata”. Mi parla da dietro le sbarre che dividono il suo ambiente da quello dei visitatori. Accanto a lei si trova la consorella, muta e silenziosa, presenza sempre necessaria quando s’incontra qualcuno che viene dal di fuori e dal mondo. Ha avuto il permesso di parlare dal prete che giorno dopo giorno, nello stesso ambiente dove si svolge l’incontro e dietro le stesse identiche sbarre, viene a recitare la messa e i vespri.
Con un pudore antico mi dichiara che in una età in cui le sue coetanee erano già sposate lei si è trovata a fare una scelta che le avrebbe cambiato la vita. “Quella cosa”: mi dice, non avendo neanche il coraggio di nominare la parola aborto. “ E’ stato solo un fatto, un mio peccato che come tanti altri ho commesso, e non sono qui a giustificarmi o a trovare delle scuse. “Quella cosa”: continua, è un gesto contro natura e non si tratta solo di Dio, della legge, della filosofia o della morale. Non si tratta della donna o del bambino non nato è qualcosa di più grande, una cosa che è alla base e a fondamento dell’umanità e del suo mistero”.
Come per l’istinto di sopravvivenza: prosegue accalorandosi, anche l’istinto alla maternità è alla base della vita umana o di quella animale. Davanti al suicida nessuno condanna, valuta o giudica, anzi vi è una certa simpatia che ci fa provare una pena infinita per quel definitivo arrendersi. Invece, davanti a quella cosa siamo tutti pronti a condannare la donna oppure condanniamo il non nato per essere apparso in un momento non voluto, non desiderato, non richiesto, magari il meno opportuno… per la vita, come se vi potesse essere un momento preferibile ad un altro per vivere.
Malgrado ciò, conclude scuotendo la testa e abbassando il tono della voce, rimane sempre una traccia di quella cosa e come per il tentativo di suicidio andato male ti ritrovi davanti allo specchio senza una gamba oppure con i segni delle lame che hanno tagliato i polsi allo stesso modo ti ritrovi con un pezzo della tua anima che non c’è più.
Non si faccia ingannare e non giudichi, mi dice con un rinnovato trasporto e enfasi, perché qualsiasi donna che abbia fatto quell’esperienza per quanto possa dire o pontificare, scusarsi e giustificare o attribuire al destino, al fato, alla storia e all’uomo quel suo gesto sarà sempre una donna senza un pezzo della sua anima che ha bisogno della stessa simpatia che siamo pronti a dare al suicida.
A quelle parole la consorella che era rimasta immobile e silenziosa si scuote dal suo torpore e con un gesto di una dolcezza infinita poggia la mano sulla spalla di Maria. Un gesto antico e atavico, una comunicazione tra donne che fin dall’antichità ha escluso per sua enunciazione naturale l’uomo.
Solo oggi e ripensando a quel gesto mi pento di non aver saputo tacere ma le parole di Maria, che mi avevano profondamente colpito, avevano bisogno di una spiegazione ulteriore. Perché la clausura ? Perché rinunciare alla vita del mondo ? Era forse un tentativo d’espiare o un’auto-carcerazione all’ergastolo ?
Non mi sono mai sentito così alieno in vita mia come quando ho sentito la mia voce risuonare in quel luogo di clausura intenta ad esporre i miei dubbi , un luogo che per definizione implica meditazione, serenità, pace e silenzio . Mi sono sentito addosso gli occhi di Maria che mentre cercava un barlume d’intelligenza, che sono sicuro non ha trovato, e nell’alzarsi per andare via mi rispondeva: potrei dirti che è stato un Prete, la mia guida spirituale d’allora, a convincermi che la clausura era l’unica risposta al grave peccato commesso, potrei dirti che è stata la pena d’amore dell’uomo che mi abbandonata a farmi rifugiare in queste mura e potrei dirti tante altre cose. Ma dimmi: mi dice mentre volta le spalle per avviarsi nel suo mondo, sinceramente pensi che una donna, una qualsiasi donna, possa rimanere chiusa per anni e anni in clausura senza amare profondamente qualcuno ? Io amo Gesù Cristo.
Pietro Giunta.