DI BELLEZZA E DI ACANTO

Se si insegnasse la Bellezza alla gente“…

Si tratta di una potente arma non violenta! Eh si perché la bellezza va resa risonante, dovrebbe  segnare il gusto e la coscienza di ciascuno, pungolarci al bisogno, palesarsi tra le cortine dei nostri occhi rivolti alle curve del guadagno, alle curve dei contagi che ci imprigionano in spazi reconditi del nostro Io tra fobie ed avversioni quotidiane poco serene, in cerca di un bersaglio.

Dovrebbe insegnarci e segnarci nelle strette cortine di degrado,  nei nuovi volumi senza accordo, o nei palazzoni scriteriati che deturpano e scompaginano la natura e la grammatica dolorosa di alcune nostre città. Si nasconde e sfiorisce, ove non accade, ove è resa complicata l’epifania estetica, nei luoghi in cui la gente non può accedere o sono un lusso per addetti ai lavori. Ma il senso della bellezza è potente, immortale, è ciclico,  si palesa come un fiore spontaneo, tenace,  che si fa largo, con fiori carnosi bianchi e spine pungenti.

Proprio come l’acanto che oggi si fa largo, fa capolino, attecchisce spesso, ove l’uomo non passa; e ci riporta alla memoria la spontaneità e l’ingenuità della bellezza. Un tempo era simbolo di purezza e resurrezione e divenne canone estetico per forgiare un ordine architettonico, quello corinzio. È tra gli ordini il più tardo, il più morbido, nasce a Corinto tra V e IV sec. A. C. si imposta su una gracile colonna e sboccia proprio nel punto in cui dovrebbe sostenere, e lo fa con stilizzate ed esili foglie.

Ma cosa ci sarebbe alla base di questa ispirazione? Vitruvio afferma che imiterebbe la bellezza della figura delle fanciulle, che per la loro tenera età hanno membra così sottili da prestarsi ad aggraziati effetti ornamentali. 

La tradizione sull’origine del capitello corinzio ci racconta di una fanciulla di Corinto, ormai in età da marito, morta a causa di un morbo. Dopo il funerale, la sua nutrice avrebbe raccolto tutti quegli oggetti, a lei cari in vita,  in un canestro deposto sopra la tomba, e coperto con una tegola,per conservare la memoria anche all’aperto. Ma il canestro fu casualmente appoggiato sopra una radice di acanto. Questa, schiacciata sotto il suo peso, all’inizio di primavera produsse foglie e viticci che, crescendo lungo i fianchi del canestro, furono costretti dagli angoli sporgenti della tegola a piegare la parte più alta delle loro fronde in forma di voluta.

Callimaco, passando nei pressi della tomba, notò quel canestro circondato da tenere fronde. Fu attratto dall’originalità di quella composizione e, colto dall’ispirazione, pensò di riprodurla sui capitelli delle colonne a Corinto, determinandone le proporzioni; dando vita al capitello ed all’ordine corinzio.

Ancora oggi insomma nell’aria spesso priva di vita e di vitalità che respiriamo l’ingenuo acanto ci ricorda che la genuina bellezza è pronta a coglierci ed a trasformarci.

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà.  perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore

Giuseppe Finocchio