«[…] Vostra madre andava a pescare?
Sempre. E a parte che andava a pescare, portava pure i pesci con la barca a vendere nelle altre isole. Quello era il periodo in cui si comprava con la terra e con la pesca.
Voi andavate con vostra madre?
No, io allora ero piccola quando mia mamma andava a pescare, poi ci sono andata anch?io. Quando cominciai a crescere d’età quindi andavo anch’io a pescare e a coltivare la terra. […] Mia mamma lavorava perché m’aveva abbandonato, e quindi quando io ero piccola, mia nonna lavorava e mio nonno pure, E io mi sono cresciuta, per dire la verità, con la nonna e il nonno, perché mia madre se ne andava sempre a pescare per buscare un pezzo di pane, eh!
Vostro padre dov’era?
In Argentina. […] Eh, io ancora dovevo nascere, mi ha lasciato, insomma mia mamma era…
Aspettava?
Aspettava.
E non ne avete saputo più niente?
No. […] Si è sentito quando… nascevo io. E mi ha dato il nome. Le ha scritto e ha detto: “Mettici Maria” e con questo nome io ho tirato avanti sino adesso. […]
Vostra madre ha mai pensato di fare delle ricerche, di andare a cercarlo?
No, non l’ha cercato per niente! Perché ha saputo tutta la storia, no?, perché mia mamma aveva anche un fratello in Argentina e quello le ha raccontato tutto. Le ha detto che aveva un’altra donna, che conviveva con quella e basta.
Anche la nonna andava a pescare?
Quand’era giovane, quand’era giovane sì.
[…] La tartaruga la prendevate?
Qualche volta sì, ma qualche volta no. Perché prima ce n’erano abbondanti tartarughe, uno la mangiava una volta, due volte, perché poi era un pesce un po’ stuffante. Per me quando la nonna le portava a casa, c’era quella piccolina, perché ci giocavo. Le mettevo un fazzoletto in testa, e un pezzo di stoffa girata così e facevo una bambola.
Con la tartaruga piccola?
Sì. […]»
Una bambola con una tartaruga, pescata dalla nonna, in barca, con le mani. Una famiglia di sole donne, in una società che si mantiene comunque patriarcale. Siamo innanzi a una testimonianza che ha più il gusto del racconto – di un racconto dal sapore arcaico, quasi mitico, eppure siamo negli anni ’20, nelle così familiari isole Eolie – e che insieme ad altre dipinge i ritratti di queste “donne di mare”.
Una realtà diffusa e viva nelle Eolie fino al secolo scorso che però si sarebbe dileguata nella memoria del tempo, se non fosse stato per la Professoressa Maffei (antropologa e fiabologa, nonché studiosa di cultura marina) che le ha sapientemente raccolto e raccordato l’insieme di testimonianze in Donne di mare (edito da Pungitopo). E già. Perché a causa dell’analfabetismo non ne sarebbe rimasta che la sola memoria orale. Così pagina dopo pagina veniamo condotti sulla barca della Maffei sempre più nell’intimità di queste vite. Donne forti, spinte dal desiderio di superare la giornata e costruire un futuro per la famiglia e per se stesse; madri che andavano a pesca e poi, a volte, si spingevano fino a Palermo per vendere ciò che erano riuscite a guadagnarsi dalla barca. Incontriamo le pescatrici di tartarughe, le mogli che accompagnano il marito la notte in barca e l’indomani lavorano ai campi, le madri che partoriscono in spiaggia, donne così forti da trasformarsi in streghe che volano via sulla loro barca. Una realtà storica così singolare, lontana e separata già per la sua insularità, da suggestionare inevitabilmente.
Ed in egual modo appassiona la genesi del libro, attraverso le parole della Professoressa Maffei, con cui ho avuto il piacere di tenere una gradevolissima “conversazione-intervista” telefonica in merito al libro. Racconta che, impegnata in un altro studio, s’imbatte incidentalmente in queste “donne di mare” e rimane subito coinvolta e sconcertata da queste storie così incalzanti da sembrare, quasi, di chiedere espressamente, a gran voce, di essere restituite al territorio. Le donne di mare, rappresentano una singolarità nel Mediterraneo, una memoria localizzata che ha adesso modo di essere donata al patrimonio dei “Beni culturali immateriali”.
Un dono, dunque, il volume Donne di mare: regalato a chi?
E qui nuovamente è l’autrice a sviscerare una tensione che è vivibile per ogni lettore fin dalle prime pagine: la fascinazione per le imprese impossibili di queste donne, guidate da un profondo senso della famiglia e della collettività, si trasforma presto nel desiderio che queste singolari vicende divengano un valore di tenacia. Una Storia «che le nuove generazioni possano conoscere. Un messaggio anche a noi stesse».
L’augurio che le “donne di mare” possano salvarsi – riscatto per gli atroci sacrifici – come uno scorcio di bellezza che non sia perso nella volgarità del mondo attuale.
Macrina Marilena Maffei è autrice di libri e saggi di narrativa tradizionale e di antropologia del mare. Tra le sue opere: Capelli di serpe. (1995, Premio Scanno 1996); Achille e la tartaruga. Miti, usanze e rituali nella pesca della tartaruga nel Mediterraneo (1999); La tonnara di Procida nel racconto dell’ultimo rais (1999); La fantasia, le opere e i giorni. Itinerari antropologici nelle Isole Eolie (2000, Premio All’Opera “Costantino Nigra” 2001); I confini irreali delle Eolie. Spiriti e diavoli nella tradizione orale (2002; Distribuito con il quotidiano “Giornale di Sicilia” 2006); Tra reti e paladini. Sull’arte della pesca ad Anguillara (2002); La Grande Guida dei Musei del Mare del Mediterraneo. Dall’ingegno all’incanto (I ed. 1993; II ed. in collaborazione con R. Parisi, 2003), Timori di popolo e corse di santi. Sul rito dell’Affruntata a Dasà (2007); La danza delle streghe. Cunti e credenze dell’arcipelago eoliano (2008); Le polene. I volti del mare (2009). Donne di Mare (2013)