Donne l’8 marzo, donne tutti giorni…

QUANDO ANCHE L’ORGOGLIO D’ESSER DONNA DIVIENE UNA “MERCE”…

Sempre puntuale e molto attesa, anche quest’anno ritorna la “Giornata internazionale della donna”.

Il primo “Woman’s day”, in realtà, non si tenne l’8 marzo bensì il 28 febbraio (negli Stati Uniti), in ricordo di una tragedia che assunse un significato storico e politico di ben più ampia portata: la morte, nel 1911, di 146 operaie dell’industria tessile “Cotton” di New York, bruciate vive nel corso di un incendio scoppiato nello stabilimento proprio nel corso di un’occupazione indetta per scioperare contro le terribili condizioni cui le donne erano costrette a lavorare.

Solo nel 1975, designato dalle Nazioni Unite come “Anno internazionale della donna”, le organizzazioni delle donne di tutto il mondo hanno celebrato l’8 marzo la prima “Giornata internazionale della donna”.

Ancora oggi l’8 marzo dovrebbe rappresentare un’occasione irripetibile:

1- per sollecitare la Comunità internazionale a rivolgere maggiori attenzioni alle problematiche di milioni di donne nel mondo cui continuano a essere negati i diritti umani, sociali ed economici più essenziali;

2- e per ricordare a noi stessi che ancora oggi, in Italia, molte donne (più di quanto la coscienza comune abbia cognizione…) non festeggeranno affatto l’8 marzo, continuando a subire discriminazioni e soprusi ad opera di uomini senza scrupoli incapaci di considerarle semplicemente “esseri umani” al loro pari!

L’impressione, però, è che in pochi abbiano ancor presente il significato più autentico di questa Giornata.

L’8 marzo ha perso tutta la sua valenza sociale e culturale dal momento in cui, nell’immaginario collettivo, si è trasformato:

–          da una “celebrazione” a sostegno delle rivendicazioni (passate e presenti) dei diritti delle donne;

–          ad una “festa” come tante altre, inglobata nel tritacarne del marketing e del consumo!

La condizione della donna è indubbiamente migliorata, in Occidente, rispetto ad un non lontano passato.

Il lavoro delle donne, per secoli svolto solo tra le mura domestiche e scarsamente considerato (ritenendosi un mero “dovere sociale”), oggi proietta le donne anche al di fuori della famiglia, consentendo loro di realizzarsi compiutamente anche come persona (non solo come moglie ubbidiente, madre affettuosa e casalinga operosa).

Nonostante i progressi raggiunti, tuttavia, l’essere donna resta una condizione non facile nella nostra Società, ancora intrisa di un ormai trito “maschilismo” (inteso come “forma mentis”, come posizione di forza e superiorità dell’uomo).

Nell’ambito lavorativo, ad esempio, la piena “parità” tra i sessi è ancora lontana dall’esser raggiunta, essendo il lavoro femminile regolarmente meno retribuito, più frustante e scarsamente incentivante.

Il lavoro della donna fuori dall’ambito familiare (il più delle volte necessario per far quadrare i bilanci domestici), inoltre, si risolve spesso in un “doppio sfruttamento” della stessa (“dentro” e “fuori” casa), continuando a gravare solo sulla stessa il carico domestico e la cura dei figli (oltre che degli anziani genitori).

Gli episodi di violenza che hanno come vittima le donne (soprusi ed abusi, violenze fisiche e/o psicologiche…), inoltre, non fanno parte di un retaggio del passato, bensì perdurano in una Società tuttora profondamente “maschiocentrica”.

Si potrebbe dire che, superato il mito della “razza dominante” (quella bianca), permane ancora quello del “sesso dominante” (quello maschile)!

Per questo persistono ancora spietate forme di emarginazione e asservimento delle donne, che non di rado sfociano in veri e propri crimini (come lo stupro e lo stalking).

Detto questo, che senso ha continuare a celebrare le “pari opportunità” della donna in un Paese in cui (secondo gli ultimi dati Istat):

–                      “6 milioni 743 mila” donne (dai 16 ai 70 anni) hanno subito violenze (di cui “1 milione 150 mila” solo nel 2006)?

–                      “1 milione 400 mila” ragazze sono state vittime di violenza sessuale (prima dei 16 anni)?

–                      “2 milioni” di donne, solo nel 2008, sono state vittime di violenza domestica?

–                      “900 mila” donne hanno subito ricatti sessuali per essere assunte o per ottenere avanzi di carriera?

–                      E circa “100 donne” generalmente muoiono ammazzate ogni anno per mano del marito o del convivente?

Che senso ha festeggiare l’impagabile ruolo svolto dalle donne nella nostra società
nel momento in cui una donna:

–                      per lavorare (salvo che mostri le irrinunciabili doti di “avvenenza” e “sottomissione” al capo, e che accetti un salario “inferiore” a quello del proprio collega) vede sovente sbarrare le porte da una “casta maschile”, sempre pronta a fare ostruzionismo?

–                      Per divenir madre deve programmare i tempi della propria maternità in funzione delle superiori esigenze del mercato (salvo che non voglia rischiare di essere licenziata, essendo considerata ogni donna in dolce attesa solo come un “peso” per ogni azienda privata)?

–                      Se desidera realizzare il sogno della maternità, anche ricorrendo alla fecondazione assistita (e senza recarsi in una clinica estera), deve subire sulla propria pelle una legge “maschilista” in materia (la n. 40 del 2005), che rende tale intervento più difficile, invasivo e rischioso per la sua salute?

–                      Oppure, se si reca in un ospedale pubblico dopo aver dolorosamente scelto di interrompere una gravidanza indesiderata o rischiosa, può ulteriormente subire la “violenza psicologica” di medici obiettori di coscienza pronti a colpevolizzarla?

Se la donna può ritenersi già soddisfatta per le grandi “conquiste di libertà” ottenute negli ultimi decenni, allo stesso tempo molte restano le “odiose discriminazioni” nel rapporto uomo-donna.

Per questo molti altri passi avanti (anzitutto “culturali”) occorrerà ancora attendere prima che si possa sensatamente parlare di piena “parità di diritti e opportunità” tra i generi…