Impreziositi dal blu cobalto del mare circostante, i silenziosi atolli mediterranei distanti pochi chilometri da Messina sembrano ridotti a caotici villaggi turistici per tutte le età. Le Isole Eolie, ormai meta di un irriverente e chiassoso turismo mordi e fuggi, erano in passato fra le più floride e rigogliose località della Sicilia orientale.
Se gli spettacolari litorali rocciosi oggi appaiono ricoperti da cumuli di spazzatura ed il colore cristallino delle acque è soltanto un vago ricordo, c’è chi si adopera affinché il ben noto arcipelago possa tornare all’antico splendore. Federica Tesoriero, coordinatrice del “Fondo per la preservazione delle Isole Eolie” (AIPF), ha formulato un programma volto alla salvaguardia delle risorse ed al recupero di una biosfera di cui non restano che poche tracce. Con la collaborazione del suo energico team, Federica promuove la sostenibilità agricola e lo sviluppo dell’agro-turismo: fra gli obiettivi figura anche la creazione della prima area marina protetta. Ce ne parla con ottimismo, sorridendo fiduciosa dopo soltanto un anno dalla nascita della fondazione. In fondo basta solo un po’ di impegno di in più, olio di gomito e forza di volontà, al resto penserà il mare.
Come e perché nasce l’AIPF?
“La nostra fondazione è giovane, nata poco più di un anno fa. È regolarmente registrata in Inghilterra e può operare solo ed esclusivamente sul territorio delle Isole Eolie. Il nostro compito è quello di raccogliere fondi e scegliere il progetto da finanziare, naturalmente legato alla nostra mission. Al momento stiamo lavorando alla creazione di un’area marina protetta: a partire da questo autunno cercheremo di coinvolgere i pescatori eoliani, dal momento che in tutto il mondo le aree marine protette funzionano solo se sono illuminate, vissute e gestite dai pescatori. Loro sanno bene dove e quando pescare ciascun tipo di pesce, riuscendo a rispettare i temi di sviluppo della fauna ittica.”
E quale sarà il prossimo obiettivo?
“Daremo avvio ad un percorso di concertazione, in cui occuperanno un posto di rilievo le iniziative volte a garantire un turismo etico. Le nostre sono isole che vivono principalmente grazie al denaro di visitatori e villeggianti, che popolano le Eolie solo per tre mesi l’anno. Non si può pensare ad un incremento, non nelle condizioni attuali almeno.
L’area marina delle Eolie non deve essere considerata un tentativo di chiudere un arcipelago, ma di valorizzare le risorse presenti con una grande attenzione per l’ambiente: non è ammissibile che orde di turisti sbarchino soltanto per fare man bassa di ricci ad Agosto, così come non si può permettere ancora che ovunque le barche si abbandonino ad ancoraggi selvaggi. Non fraintendetemi, le ordinanze ci sono ma è molto difficile persino venirne a conoscenza: spesso l’unica soluzione è informarsi con la Guardia Costiera, non esistono segnali visibili ai naviganti.”
Fra gli avventori “a basso impatto ambientale” di certo non figurano i turisti mordi e fuggi. Che fare per ridimensionare il problema?
“Beh, per quanto riguarda i cosiddetti barconi esistono poteri e dinamiche che esulano dal campo d’azione della nostra fondazione. Dal mio personalissimo punto di vista, questo genere di turismo è sintomo inequivocabile di un grande impoverimento culturale. Noi abitanti dovremmo chiederci cosa desideriamo offrire agli avventori e soprattutto che tipo di avventori desideriamo accogliere: questa gente entra nell’ottica dell’usufrutto spietato del territorio, ma non sta alla fondazione regolarne l’accoglienza.
Ciò che possiamo fare è educare la popolazione, instillare determinati codici di condotta che prendono le mosse dalle più basilari regole di buonsenso. È vero, in molti casi si disconoscono le normative, ma si tratta di semplice ragionevolezza: più che chiedersi è vietato? bisognerebbe chiedersi è giusto?”
Quale prevedi sarà la reazione degli isolani a questa nuova politica ambientale?
“Gli isolani sanno benissimo cosa è giusto fare: ad adottare un atteggiamento irrispettoso i tal senso sono le barche provenienti da fuori e soprattutto i mega yatch. In quest’ultimo caso la noncuranza, il menefreghismo sfiorano apici inimmaginabili e i controlli sono sempre carenti. Quest’estate abbiamo raccolto parecchie segnalazioni di comportamenti illegali perpetrati nel mare e non potevamo far altro che fare le dovute comunicazioni. D’estate il tutto funziona abbastanza bene, mentre nei mesi invernali il budget viene dimezzato e così la qualità dei controlli: mancano i fondi, una giusta programmazione ed una corretta comunicazione.”
Quanto un’iniziativa come la vostra potrebbe migliorare le condizioni del territorio?
“Innanzitutto saremmo inutilmente pretenziosi se pensassimo di poter migliorare le condizioni in cui versano le Eolie. L’una cosa che possiamo fare realmente è indicare una strada da percorrere, una via che conduca ad uno sviluppo un po’ più sostenibile di questo arcipelago. Ci auguriamo che con il tempo si rivolga una maggiore attenzione alle caratteristiche dell’ambiente ed alla sua fragilità: si tratta di isole vulcaniche, due crateri sono attivi e molti altri sommersi. Sinora è andata bene, le Eolie sono patrimonio dell’UNESCO, eppure negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad un progressivo impoverimento del mare, ad una spaventosa diminuzione delle specie ittiche e ad blocco produttivo per niente trascurabile. Le iniziative non sono mancate, ma si è trattato di opere individuali che apparivano volte alla valorizzazione del singolo più che finalizzate al bene comune. Ecco, ciò che si riscontra con più facilità è proprio questo: la mancanza di una prospettiva globale e collettiva, una percezione comunitaria dell’arcipelago.”
A questo proposito, spesso si sente dire che gli abitanti delle isole stentino a condividere i tesori delle proprie terre. Più che custodi di un bene comune, si atteggiano a gelosi proprietari.
“Penso che questo atteggiamento sia superato, ormai da qualche anno. Un tempo questo senso di possesso si traduceva anche in ossequioso rispetto, mentre adesso sono venuti meno l’uno e l’altro. Basti pensare al caso di Panarea, dove molti turisti lamentano la carenza di illuminazione nelle ore notturne. In casi del genere toccherebbe proprio agli isolani ricordare ai nuovi arrivati che nel lontano 1983, quando si pensò di realizzare una rete elettrica sull’isola, ci fu una manifestazione di tutti gli abitanti, capeggiata da Miriam Beltrami, in cui si chiedeva che l’impianto venisse realizzato sottoterra, non in superficie. La gente del luogo dovrebbe alzare gli occhi e guardare in su prima di parlare di illuminazione artificiale. Quale luce migliore di un cielo stellato? Ebbene, questo non succede.
Oggi pur di attirare il turismo, di proteggere i propri investimenti e di accumulare denaro ci si dimentica di proteggere la propria isola.”
Come si finanzia un’associazione come la vostra? Le istituzioni governative stanziano un budget per sostenere le vostre iniziative?
“No, affatto. I nostri fondi vengono tutti da privati, siano essi persone fisiche o aziende. Recentemente abbiamo portato avanti una campagna con Franco Manca, detentore di un franchising nell’ambito della ristorazione, a Londra. Ogni qualvolta un cliente ordinava un’eolian pizza, la catena donava 25 cent del ricavato alla fondazione: è stato un successo, siamo riusciti a raccogliere una cifra surreale ed abbiamo portato alla conoscenza del grande pubblico la nostra iniziativa.
In poco più di dodici mesi stiamo già raggiungendo un primo, fondamentale obiettivo: vincere lo scetticismo. Per molti la nostra era una causa senza futuro, l’area marina protetta era solo un miraggio, un ricordo lontano. Adesso invece persino le amministrazioni si stanno aprendo a nuove possibilità, considerando anche il vantaggio economico che ne potrebbero trarre, per niente trascurabile. Si tratta di mutare prospettive, abbandonare la prospettiva miope dietro cui ci siamo trincerati per molto tempo. Non è impossibile, ci vuole solo tanta determinazione e spirito d’iniziativa.”
Impreziositi dal blu cobalto del mare circostante, i silenziosi atolli mediterranei distanti pochi chilometri da Messina sembrano ridotti a caotici villaggi turistici per tutte le età. Le Isole Eolie, ormai meta di un irriverente e chiassoso turismo mordi e fuggi, erano in passato fra le più floride e rigogliose località della Sicilia orientale.
Se gli spettacolari litorali rocciosi oggi appaiono ricoperti da cumuli di spazzatura ed il colore cristallino delle acque è soltanto un vago ricordo, c’è chi si adopera affinché il ben noto arcipelago possa tornare all’antico splendore. Federica Tesoriero, coordinatrice del “Fondo per la preservazione delle Isole Eolie” (AIPF), ha formulato un programma volto alla salvaguardia delle risorse ed al recupero di una biosfera di cui non restano che poche tracce. Con la collaborazione del suo energico team, Federica promuove la sostenibilità agricola e lo sviluppo dell’agro-turismo: fra gli obiettivi figura anche la creazione della prima area marina protetta. Ce ne parla con ottimismo, sorridendo fiduciosa dopo soltanto un anno dalla nascita della fondazione. In fondo basta solo un po’ di impegno di in più, olio di gomito e forza di volontà, al resto penserà il mare.
Come e perché nasce l’AIPF?
“La nostra fondazione è giovane, nata poco più di un anno fa. È regolarmente registrata in Inghilterra e può operare solo ed esclusivamente sul territorio delle Isole Eolie. Il nostro compito è quello di raccogliere fondi e scegliere il progetto da finanziare, naturalmente legato alla nostra mission. Al momento stiamo lavorando alla creazione di un’area marina protetta: a partire da questo autunno cercheremo di coinvolgere i pescatori eoliani, dal momento che in tutto il mondo le aree marine protette funzionano solo se sono illuminate, vissute e gestite dai pescatori. Loro sanno bene dove e quando pescare ciascun tipo di pesce, riuscendo a rispettare i temi di sviluppo della fauna ittica.”
E quale sarà il prossimo obiettivo?
“Daremo avvio ad un percorso di concertazione, in cui occuperanno un posto di rilievo le iniziative volte a garantire un turismo etico. Le nostre sono isole che vivono principalmente grazie al denaro di visitatori e villeggianti, che popolano le Eolie solo per tre mesi l’anno. Non si può pensare ad un incremento, non nelle condizioni attuali almeno.
L’area marina delle Eolie non deve essere considerata un tentativo di chiudere un arcipelago, ma di valorizzare le risorse presenti con una grande attenzione per l’ambiente: non è ammissibile che orde di turisti sbarchino soltanto per fare man bassa di ricci ad Agosto, così come non si può permettere ancora che ovunque le barche si abbandonino ad ancoraggi selvaggi. Non fraintendetemi, le ordinanze ci sono ma è molto difficile persino venirne a conoscenza: spesso l’unica soluzione è informarsi con la Guardia Costiera, non esistono segnali visibili ai naviganti.”
Fra gli avventori “a basso impatto ambientale” di certo non figurano i turisti mordi e fuggi. Che fare per ridimensionare il problema?
“Beh, per quanto riguarda i cosiddetti barconi esistono poteri e dinamiche che esulano dal campo d’azione della nostra fondazione. Dal mio personalissimo punto di vista, questo genere di turismo è sintomo inequivocabile di un grande impoverimento culturale. Noi abitanti dovremmo chiederci cosa desideriamo offrire agli avventori e soprattutto che tipo di avventori desideriamo accogliere: questa gente entra nell’ottica dell’usufrutto spietato del territorio, ma non sta alla fondazione regolarne l’accoglienza.
Ciò che possiamo fare è educare la popolazione, instillare determinati codici di condotta che prendono le mosse dalle più basilari regole di buonsenso. È vero, in molti casi si disconoscono le normative, ma si tratta di semplice ragionevolezza: più che chiedersi è vietato? bisognerebbe chiedersi è giusto?”
Quale prevedi sarà la reazione degli isolani a questa nuova politica ambientale?
“Gli isolani sanno benissimo cosa è giusto fare: ad adottare un atteggiamento irrispettoso i tal senso sono le barche provenienti da fuori e soprattutto i mega yatch. In quest’ultimo caso la noncuranza, il menefreghismo sfiorano apici inimmaginabili e i controlli sono sempre carenti. Quest’estate abbiamo raccolto parecchie segnalazioni di comportamenti illegali perpetrati nel mare e non potevamo far altro che fare le dovute comunicazioni. D’estate il tutto funziona abbastanza bene, mentre nei mesi invernali il budget viene dimezzato e così la qualità dei controlli: mancano i fondi, una giusta programmazione ed una corretta comunicazione.”
Quanto un’iniziativa come la vostra potrebbe migliorare le condizioni del territorio?
“Innanzitutto saremmo inutilmente pretenziosi se pensassimo di poter migliorare le condizioni in cui versano le Eolie. L’una cosa che possiamo fare realmente è indicare una strada da percorrere, una via che conduca ad uno sviluppo un po’ più sostenibile di questo arcipelago. Ci auguriamo che con il tempo si rivolga una maggiore attenzione alle caratteristiche dell’ambiente ed alla sua fragilità: si tratta di isole vulcaniche, due crateri sono attivi e molti altri sommersi. Sinora è andata bene, le Eolie sono patrimonio dell’UNESCO, eppure negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad un progressivo impoverimento del mare, ad una spaventosa diminuzione delle specie ittiche e ad blocco produttivo per niente trascurabile. Le iniziative non sono mancate, ma si è trattato di opere individuali che apparivano volte alla valorizzazione del singolo più che finalizzate al bene comune. Ecco, ciò che si riscontra con più facilità è proprio questo: la mancanza di una prospettiva globale e collettiva, una percezione comunitaria dell’arcipelago.”
A questo proposito, spesso si sente dire che gli abitanti delle isole stentino a condividere i tesori delle proprie terre. Più che custodi di un bene comune, si atteggiano a gelosi proprietari.
“Penso che questo atteggiamento sia superato, ormai da qualche anno. Un tempo questo senso di possesso si traduceva anche in ossequioso rispetto, mentre adesso sono venuti meno l’uno e l’altro. Basti pensare al caso di Panarea, dove molti turisti lamentano la carenza di illuminazione nelle ore notturne. In casi del genere toccherebbe proprio agli isolani ricordare ai nuovi arrivati che nel lontano 1983, quando si pensò di realizzare una rete elettrica sull’isola, ci fu una manifestazione di tutti gli abitanti, capeggiata da Miriam Beltrami, in cui si chiedeva che l’impianto venisse realizzato sottoterra, non in superficie. La gente del luogo dovrebbe alzare gli occhi e guardare in su prima di parlare di illuminazione artificiale. Quale luce migliore di un cielo stellato? Ebbene, questo non succede.
Oggi pur di attirare il turismo, di proteggere i propri investimenti e di accumulare denaro ci si dimentica di proteggere la propria isola.”
Come si finanzia un’associazione come la vostra? Le istituzioni governative stanziano un budget per sostenere le vostre iniziative?
“No, affatto. I nostri fondi vengono tutti da privati, siano essi persone fisiche o aziende. Recentemente abbiamo portato avanti una campagna con Franco Manca, detentore di un franchising nell’ambito della ristorazione, a Londra. Ogni qualvolta un cliente ordinava un’eolian pizza, la catena donava 25 cent del ricavato alla fondazione: è stato un successo, siamo riusciti a raccogliere una cifra surreale ed abbiamo portato alla conoscenza del grande pubblico la nostra iniziativa.
In poco più di dodici mesi stiamo già raggiungendo un primo, fondamentale obiettivo: vincere lo scetticismo. Per molti la nostra era una causa senza futuro, l’area marina protetta era solo un miraggio, un ricordo lontano. Adesso invece persino le amministrazioni si stanno aprendo a nuove possibilità, considerando anche il vantaggio economico che ne potrebbero trarre, per niente trascurabile. Si tratta di mutare prospettive, abbandonare la prospettiva miope dietro cui ci siamo trincerati per molto tempo. Non è impossibile, ci vuole solo tanta determinazione e spirito d’iniziativa.”