La storia di Francesca Morvillo precede quella che lo stragismo le ha voluto conferire dinnanzi al nostro Paese e che, in occasione dell’anniversario della Strage di Capaci, riportiamo con particolare interesse alla memoria.
Dotata già di un tessuto familiare fortemente connotato da sentimenti di giustizia e dedizione all’impegno civico, entra come il padre Guido e il fratello Alfredo in magistratura, ottenendo importanti incarichi: giudice del tribunale di Agrigento, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Palermo, Consigliere della Corte d’Appello di Palermo e componente della Commissione per il concorso di accesso in magistratura.
Una figlia, per la quale ogni padre non avrebbe mai potuto tacere il suo orgoglio. Dimostrando di avere particolari doti umane e professionali, tratti distintivi di un’esistenza vissuta con volto limpido e allo stesso tempo austero, Francesca Falcone è stata capace di coniugare le proprie scelte di vita con il rigore morale necessario ad un ruolo assegnantole da un destino che le avrebbe riservato non poche apprensioni nel tratto di vita comune accanto al compagno di vita, il giudice Giovanni Falcone.
Di Francesca Morvillo conosciamo la professione, il suo essere donna coraggiosa e protagonista di una stagione di riforme che, in qualità di componente della magistratura minorile, ha vissuto in prima persona negli anni ottanta del secolo scorso. Anni in cui intervenire sulla podestà genitoriale era quasi impossibile e dove i reati minorili portavano con se l’inquietudine, l’incapacità di intervento incisivo, la scarsità degli strumenti operativi che l’impegno civile e filantropico di Francesca riuscivano comunque a rendere sopportabile, proprio per la delicatezza maturata nell’esperienza sulle devianze giovanili.
Raggiunto al telefono nel suo ufficio di Procuratore capo della Repubblica di Termini Imerese, Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, risponde alle domande dirette a ritrarre un profilo diverso della sorella, rispetto all’immagine diffusa di colei che la stampa ha collocato in “chiaro-scuro” tra le vittime della mano mafiosa, nonostante di Giovanni conoscesse le paure e le travagliate riflessioni. Non una compagna silente, non una compagna distante dal pericolo che giorno per giorno sfidava il marito.
Dott. Morvillo, in occasione del 23 maggio, il nostro giornale vorrebbe andare oltre il dato commemorativo. Partendo dalla figura di sua sorella, lei pensa che i media potrebbero fare di più nel ricordare la figura di Francesca Morvillo?
Ritengo che sia giusto così invece. Le persone vanno ricordate per ciò che hanno fatto in vita. Il dottore Falcone, il dottore Borsellino e le persone che sono morte per mano mafiosa come Rocco Chinnici vengono ricordate in modo particolare non per la tragica fine a cui sono andati incontro ma proprio per il contributo che hanno dato in vita. Mia sorella ha perso la vita in un attentato mafioso come tante altre persone, quindi merita di essere ricordata, sotto questo aspetto, come tutte le vittime di mafia.
Sua sorella aveva la percezione di rischiare la vita restando accanto a suo marito?
Vede, vivendo accanto ad una persona come il dott. Falcone, che viveva scortato svolgendo un’attività di contrasto alla mafia, una certa consapevolezza dei rischi c’era. È inutile negarlo. Resta il fatto che queste sensazione siano state superate dalla realtà nel quotidiano, dove non ci si poteva permettere di stare a pensare al fatto che uscendo col marito non potesse andare incontro ai pericoli connessi ai ruoli ricoperti. Certamente non sono mancati mai momenti in cui questa percezione del rischio c’era.
Francesca Morvillo era anche lei magistrato, questa sua funzione secondo lei poteva darle una consapevolezza ancora maggiore del lavoro del giudice Giovanni Falcone?
Probabilmente si. Essendo un’addetta ai lavori, indubbiamente questo le consentiva di essere bene informata e poter ben capire il significato del lavoro di suo marito.
Dott. Morvillo, lei di recente ha dichiarato che le normative antimafia andrebbero riformate perché non sono efficaci. Cosa intendeva nello specifico?
Molti di noi hanno chiesto un adeguamento della normativa a ciò che è emerso sempre dalle indagini. Da più parti si chiede la modifica del famoso articolo 416-ter, si chiede di intervenire sul concorso esterno cercando di trovare una soluzione a questa forma di reato atipica, si chiede di predisporre una norma, anche di carattere amministrativo, finalizzata anche ad evitare il pericolo di infiltrazioni tra le pubbliche istituzioni. Abbiamo chiesto tanti interventi risolutivi e necessari perché derivano dall’analisi oggettiva delle caratteristiche del fenomeno mafioso e di quale è il pericolo derivante dalla presenza di Cosa nostra e di tutti i suoi interessi in qualsiasi settore della società civile, come il mondo economico e quello politico. È inutile fare congressi, se non si passa alla seconda fase di ogni prospettiva se non si pongono in essere modifiche in tal senso e ad oggi non trovano alcun segnale di disponibilità da parte della politica per accogliere queste richieste.
Tant’è che il nuovo governo sembra non avere in agenda il tema del contrasto alle mafie. Secondo lei questo che segnale è?
Ma guardi, il nuovo governo sembra avere dei compiti piuttosto circoscritti. Non sembra un governo dal quale ci si possa attendere interventi su tutto ciò di cui il paese ha di bisogno. Sembrerebbe un governo nato per raggiungere degli obiettivi già predeterminati in base a degli accordi tra le forze politiche. Sarebbe molto positivo se fin da subito anche questo governo dimostrasse la forza di occuparsi di questi problemi, con interventi veloci ed immediati. Francamente, non possiamo ogni anno commemorare le vittime e dire in buona sostanza “siamo sempre allo stesso punto”. Dubito che rientri però fra i compiti che questo governo si è autoassegnato.
Secondo lei, il fatto che spesso si considerino altre tematiche come prioritarie (ad es. in questo momento bisogna dare lavoro alle famiglie) lascia però intendere che con la lotta alle mafie non si mangi, cosa che invece il contrasto alla mafia al contrario creerebbe automaticamente nuovi posti di lavoro?
Non c’è dubbio del fatto che il governo abbia dei problemi nel settore dell’economia, problemi enormi sotto gli occhi di tutti. Ciò non significa che il Governo non debba occuparsi anche di altri problemi che riguardano altri settori della vita del nostro paese ugualmente importanti sotto l’aspetto dell’economia. Anche perché – chiosa il Procuratore capo Morvillo – se si rilancia il lavoro e l’occupazione uno degli aspetti indiretti è quello di diminuire la tentazione di tanta gente di trovare da vivere col delitto o col reato. Dando opportunità di lavoro si spera che la gente anziché andare a cercare il capo mandamento che gli offra un facile arricchimento, si trovi il lavoro.
Secondo lei invece gli scorsi governi hanno inteso la lotta alle mafie come la mera cattura di latitanti, piuttosto che disinnescare il potere economico della criminalità organizzata?
La lotta ai latitanti, va da sè, che è da attribuire esclusivamente all’impegno delle forze dell’ordine e di certi uomini particolarmente dotati di professionalità e dedizione al lavoro. Credo che i governi in questo settore poco c’entrano. Se di meriti di parla, questi vanno solo alle forze dell’ordine sulla cattura dei latitanti.
I reparti speciali nella cattura dei latitanti sono stati depotenziati dagli ultimi governi. C’è un pò una “doppia personalità” nelle istituzioni tra l’intenzione dichiarata di contrastare la mafia e gli strumenti sempre più limitati messi in campo?
Io le posso dire che il livello di professionalità e della capacità di contrastare il fenomeno mafioso delle forze dell’ordine non mi risulta sia stato indebolito. Nel territorio che conosco, quello palermitano, noi abbiamo il grande onore di avere una polizia giudiziaria di altissimo livello che continuamente con il loro lavoro consentono di raggiungere risultati brillanti. Non passa settimana che la stampa non dia spazio ad operazioni antimafia con arresti importanti.
Un’ultima domanda Dott. Morvillo. Nelle commemorazioni che ricorrono ogni anno, cosa le da più fastidio?
È abbastanza noto questo argomento. C’è molta retorica e in certi momenti la propensione a farsi vedere prevale sull’impegno concreto. È inevitabile che la presenza dei vertici istituzionali e i politici non impressioni nessuno, quello che conta sono le azioni concrete. I nostri politici locali dovrebbero – al di là del colore politico proprio perché conoscono i problemi della criminalità mafiosa – farsi carico di proposte politiche che diano seguito al loro impegno nella società.