Messina. Amal (Speranza) e Zaytuna (Olivo), le due imbarcazioni che partecipano a Freedom Flotilla 2016, hanno lasciato il molo già da un giorno e sono in navigazione nelle acque del Mediterraneo orientale, in direzione della Striscia di Gaza, dove dovrebbero giungere intorno ai primi di ottobre per violare, con un’azione diretta nonviolenta, il blocco aereo e navale che, dal 2006-2007, impedisce ai cittadini del porto palestinese di vivere dignitosamente.
È da quel periodo che, in seguito alla vittoria elettorale di Hamas nella Striscia, le forze armate dello stato di Israele hanno imposto un rigido embargo sulle merci e sulle persone e condotto operazioni militari di particolare efferatezza (una su tutte Piombo Fuso) che hanno fatto un gran numero di vittime civili e ridotto donne, uomini e bambini di Gaza a vivere da prigionieri in casa propria.
Contro questo stato di cose e per la cessazione delle violenze e della guerra a bassa intensità fra le milizie di Hamas e IDF (L’esercito di Israele), che ha come bersaglio principale la popolazione palestinese, si batte la Freedom Flotilla, una coalizione internazionale di attivisti con contatti e basi d’appoggio pressoché in tutti i paesi del mondo, che organizza dal 2010 la violazione simbolica del blocco della Striscia di Gaza con piccole flotte di pescherecci o barche da diporto.
La reazione di Israele alle operazioni della Flotilla non è stata mai amichevole. Negli anni scorsi le imbarcazioni sono state ogni volta attaccate dalla marina militare dello stato ebraico già in acque internazionali e poi sequestrate illegalmente, mentre gli attivisti sono stati trattenuti per giorni nelle basi militari a terra. Anche quest’anno non ci si aspetta nulla di buono.
“C’è una strana distorsione della legalità”, scrive la reporter israeliana Yudit Ilany sul diario di bordo della spedizione, “quando delle imbarcazioni rigorosamente civili, che non trasportano armi, sono intercettate a 70-100 miglia dalle coste di Gaza e sequestrate dalle unità militari israeliane. Se ciò accadesse a largo delle coste somale si parlerebbe giustamente di pirateria”.
I due equipaggi del 2016 sono però pronti a tutto. Fra un incontro pubblico e l’altro, a Messina, hanno trovato il tempo pure per effettuare esercitazioni di resistenza passiva durante le quali hanno meticolosamente studiato ogni possibile situazione di difficoltà e messo alla prova le capacità di affrontare le pressioni psicologiche, lo stress e anche eventuali violenze fisiche che ciascuna potrebbe subire. Ciascuna, perché la novità principale del viaggio di Amal e Zaytuna consiste nella composizione della squadra esclusivamente al femminile.
“Una barca delle donne per Gaza” è infatti lo slogan che ha fatto incontrare le attiviste di tutto il mondo nella città peloritana. Fra di loro cittadine israeliane di origine ebraica come Yudit Ilany, che fa la giornalista a Jaffa, e la coordinatrice del progetto, Zohar Chamberlain Regev, residente in Spagna; ma anche la deputata Maori neozelandese Marama Davidson, la campionessa olimpionica di pallavolo Leigh-Ann Naidoo, cittadina Sudafricana e – fra le numerose altre – l’attivista nord-irlandese Mairead Corrigan-Macguire, premio Nobel per la pace nel 1976, per il suo impegno nel processo di pace attraverso azioni di diplomazia dal basso.
“Qualunque approccio militare alla questione palestinese non può portare a nulla di buono“, ha scandito bene Corrigan davanti ai microfoni, ”bisogna che Israele si impegni a mettere da parte gli interventi armati per riconoscere il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione partendo dai diritti civili dei singoli. In questa direzione è determinante”, ha proseguito, “il supporto forte della comunità internazionale in tutte le sue espressioni. Degli stati come della società civile”.
A queste parole sembra fare eco un appello che qualche settimana fa un nutrito gruppo di intellettuali e politici israeliani ha rivolto ai propri concittadini e alle comunità ebraiche della diaspora. Nel documento, firmato fra gli altri dai noti scrittori David Grossmann e Amos Oz e dalla cantante Noa, viene preso di mira “il silenzio di Israele“ nell’approssimarsi del cinquantesimo anniversario dell’occupazione di Gaza e Cisgiordania a seguito della guerra dei sei giorni e si denuncia con parole forti (“il protrarsi dell’occupazione opprime i palestinesi (…) e corrompe le fondamenta morali e democratiche dello stato di Israele”) lo stallo del processo di pace. Un’autocritica tagliente a cui, da Messina, ha risposto con un’apertura di credito Mai Alkaila, rappresentante diplomatica in Italia dell’Autorità Nazionale Palestinese, tornata anche lei nella città peloritana per sostenere il viaggio della Freedom Flottilla.
“Salutiamo positivamente ogni iniziativa di pace proveniente da Israele e dai suoi cittadini, pur sapendo che le forze politiche della sinistra israeliana sono oggi in minoranza“, ha dichiarato l’ambasciatrice, sottolineando però come tocchi innanzitutto a Israele di “scegliersi una leadership che si ispiri – nella pratica quotidiana – ai valori della convivenza e del pacifismo”. Valori che per il momento sono affidati alle donne che con grande determinazione proveranno nei prossimi giorni a varcare i confini delle acque territoriali della striscia di Gaza portando il messaggio di speranza che viene dalle città dove Freedom Flotilla ha ricevuto il caloroso sostegno dei movimenti di solidarietà internazionale, delle forze politiche e di quelle istituzioni locali impegnate sul fronte del dialogo.
Significativa, a questo proposito, la presenza attiva del sindaco di Messina Renato Accorinti a tutte le iniziative a sostegno della Flotilla. “Non abbiate paura della fratellanza, della convivenza coi palestinesi” si è rivolto così, idealmente, Accorinti, al popolo di Israele, attraverso la telecamera di Al Jazeera. “Ringraziamo le donne di Freedom Flotilla, impegnate in un’azione di lotta intessuta d’amore, per averci dato l’opportunità di inviare un messaggio di solidarietà al popolo palestinese oppresso e insieme di invito alla fraternità agli israeliani” ha proseguito. “La nostra terra ha conosciuto anch’essa la guerra e la violenza. Oggi, però, proprio da noi vorremmo che arrivasse forte il richiamo alla possibilità che la terra sia di tutte e tutti coloro l’attraversano e l’abitano”.