FRIDA KAHLO: I SELFIE DEL NOVECENTO

Una delle mode più diffuse del XXI secolo è quella dell’autoscatto. O forse “Selfie”, perché con il termine autoscatto ormai si rischia di essere obsoleti. L’autoscatto si propone un compito molto difficile: cercare di unificare due distanti realtà. Ciò che si è e ciò che non si è. I Selfie ,che volenti o nolenti sempre autoscatti sono, hanno letteralmente invaso i Social Network. Fotografie diverse dalle altre, perché non dimostrano chi si è veramente, ma chi si vuole sembrare di essere. Non mostrano le emozioni che le persone provano in quell’istante (pregio assoluto della fotografia), ma quelle che vogliono dimostrare di provare. Non fermano più nel tempo risate e lacrime di gioia, ma sorrisi artefatti. Non le mille rughe di un volto felice o di uno irritato, ma volti distesi e perfetti, distinti lavori di filtri ed effetti che sanno fare molto bene ciò per cui sono stati creati.

Ma riprodurre se stessi ha origini lontane. Ai tempi in cui ancora le emozioni non venivano nascoste, e in cui gli artisti con la pittura cercavano di riprodurre il mondo per quello che era, non per quello che non era.

In Messico, alla fine della sanguinosa rivoluzione del 1917, quando molti artisti, incaricati dal governo messicano, si dedicavano a dipingere murales per riprodurre il celebre momento storico e molti altri utilizzavano la propria arte come denuncia sociale, una donna in piccole tele di 30cm dipingeva se stessa e la propria realtà. Il soggetto delle opere di Frida Kahlo era se stessa. Le sue orme nella cultura e nella pittura del primo Novecento sono divenute indelebili. Una personalità artistica profondamente influenzata dalla figura del padre Carl Wilhelm Kahlo, fotografo professionista che le insegnò a ritoccare le fotografie con il pennello e a coltivare la tecnica dell’inquadratura fotografica.

Ma la vita con Frida si comportò in malo modo. Quella della pittrice fu una vita dura, piena di sofferenze fisiche e dolori. Un incidente segnò profondamente tutta la sua vita rendendola paralizzata, ferite che una giovane Frida si porterà dietro per tutta la vita. Vi sono profonde differenze fra i quadri in cui riproduce sé stessa e i moderni autoscatti. Frida ebbe la capacità di trasferire attraverso la tela agli spettatori sentimenti, emozioni e dolori. Sofferenza per i mali fisici, gioia per la vita e voglia di vivere coesistono in tele di piccole dimensioni. La sofferenza e i dolori sono legati alla rappresentazione del proprio corpo martoriato, voglia di vivere e gioia dai colori che essa riproduce, in contrapposizione spesso con le cruenti scene di sofferenza rappresentate. Nonostante la vita non le diede mai tregua, fu una persona allegra, intelligente, ironica, piena di vita, estroversa, che riuscì nell’ardua impresa di trasmettere questa personalità esplosiva ed energica, unita alla sofferenza e ai dolori.

La sua è un’autobiografia pittorica, intenta a tramutare in colori e disegni stati d’animo ed emozioni. Frida non si nascondeva dietro sorrisi o stati d’animo non suoi. Rappresentava se stessa nella sua autenticità e naturalità. Lunghe e folte sopracciglia nere e sguardo fisso rivolto allo spettatore, quasi a voler dire “Io sono così”.

Cominciò a dipingersi durante la lunga degenza in ospedale. Uno specchio sulla parete del letto così che potesse vedersi. “ Dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono la persona che conosco meglio” soleva dire. Ma non usò la pittura solo per rappresentare se stessa, ma anche le proprie disabilità. Mentre il suo corpo sanguinava e si riduceva allo stremo, lei era intenta a riprodurlo attraverso l’arte. Non disdegnava neanche di riprodurre i terribili apparecchi ortopedici al cui supplizio doveva sottoporsi. Ma il suo volto non cambia mai. Sempre fisso allo spettatore, nessun segno di dolore, nessuna lacrima. Frida era cosciente che il dolore non era parte di lei, che la donna che cedeva al dolore non era lei. Il volto era quello della vera Frida, sempre lo stesso in ogni autoritratto. Perché la vita cambiava, i dolori aumentavano, cedevano, permanevano ma lei era sempre se stessa. Una donna che amava. Sposò per ben due volte Diego Rivera, con cui condivise la passione per l’arte e l’attivismo politico nel partito comunista. Frida definiva Rivera “il suo inizio, il suo universo, il suo amico , amante, e marito”.

Gli autoritratti di Frida sono ammirati in tutto il mondo e ritenuti tra i più celebri esempi di surrealismo. La sua arte non era il prodotto di una cultura che incita a desiderare di essere in modo diverso, a nascondersi dietro maschere di apparente felicità e soddisfazione, ma il prodotto di una cultura, centro focale della scena artistica latino-americana del primo Novecento, che mirava a rappresentare la realtà per com’era, per quanto crudele e cruenta fosse. E Frida tutt’ora è ritenuta il simbolo di questa cultura. La stessa ribadiva “Pensano che io sia una surrealista, ma non lo sono mai stata, perché io ho sempre dipinto la realtà, la mia realtà”. Una realtà che i moderni autoscatti non conoscono e non conosceranno mai, e dalla quale saranno sempre distanti.

Maria Cristina  Palumbo