Un detto recita: “meglio dieci assassini in libertà che un solo innocente in prigione”. Noi parleremo di quel “solo” innocente, oggi un’icona dell’errore giudiziario, che per 22 anni ha guardato la propria vita scorrere e perdersi dietro le sbarre di una cella. Da innocente.
22 anni. 8030 giorni. 192.720 ore. Da innocente.
Giuseppe Gulotta, accusato all’età di 18 anni della strage di Alcamo Marina. Sottoposto a torture e minacce per confessare quei due omicidi mai commessi. 22 anni di vita in cambio della fine dell’interrogatorio.
Assolto perché vittima di errore giudiziario, dopo decenni da assassino, decide di riabilitare, perché recuperare è impossibile, quegli anni persi per sempre. E’ così che Giuseppe, alla soglia dei 60 anni, investe parte dei 6,5 milioni di risarcimento per dar vita alla fondazione che prende il suo nome e, con esso, tutta la volontà di non sprecare ulteriormente quegli anni che non torneranno più.
Noi de ilcarrettinonews.it abbiamo raggiunto telefonicamente l’avvocato Baldassarre Lauria, direttore responsabile della Fondazione che a settembre inaugurerà la sua sede a Firenze, sul Lungarno delle Grazie. Con lui ripercorriamo non la storia passata di Giuseppe, quella che non tornerà più, ma cosa quella storia ha permesso che avvenisse: la costituzione della prima fondazione italiana a difesa delle vittime di errore giudiziario.
Cominciamo a capire cosa rappresenta e come funziona la fondazione.
La fondazione è l’unico ente che prende a cuore le vittime della giustizia. E’ stata voluta fortemente da Giuseppe Gulotta, prende il suo nome perché l’ha finanziata utilizzando parte del suo risarcimento danni. E’ l’unica fondazione in Italia che si occupa di vittime degli errori giudiziari. E’ importante sottolineare come la fondazione abbia già ottenuto il riconoscimento del Governo italiano. Importante perché in Italia le fondazioni, a differenza delle associazioni, hanno bisogno del riconoscimento del Governo per essere operative. Siamo dunque a tutti gli effetti un ente pubblico. La sua attività è coadiuvata dal lavoro di professionisti del settore, tra cui l’avvocato di Giuseppe Gulotta, Pardo Cellini.
Attualmente la fondazione sta seguendo casi per cui si presume si siano verificati errori giudiziari?
Stiamo già trattando casi che riteniamo essere frutto di errori giudiziari. Un esempio è quello di Lucia Bartolomeo di Lecce, condannata all’ergastolo per l’omicidio del marito, sta scontando da 8 a 10 anni. Noi riteniamo, sulla base delle prove che abbiamo acquisito, che si tratti di errore giudiziario. Un altro caso è quello di Maurizio Tramonte, condannato per la strage della piazza della Loggia a Brescia del 1974, recentemente estradato dal Portogallo. La fondazione segue poi numerosi altri casi, magari meno noti, ma altrettanto importanti per le vittime.
Come opera nello specifico la fondazione?
La fondazione non segue ogni singolo caso personalmente, ma contribuisce a dare una copertura finanziaria a quei soggetti che, pur vittime di errore, non hanno i mezzi finanziari per fare emergere la verità. Il problema della revisione è che spesso i condannati che hanno già affrontato spese non indifferenti, si trovano abbandonati e nell’impossibilità di percorrere questo percorso di revisione.
Cosa rappresenta per Giuseppe questa fondazione?
A sentir Giuseppe, questa fondazione lo aiuta a dare un senso alla sua vita. Una vita sprecata. Sta recuperando una dignità che non aveva più. Ormai Giuseppe è un’icona. Quando va in visita nelle carceri viene acclamato come fosse una star. Non si considera ovviamente una star, ma è sicuramente una vittima come tante. La sua persona incarna la possibilità di risollevare e correggere l’errore giudiziario.
Giuseppe ha una missione , alla soglia del 60 anni ha come obiettivo la diffusione di cosa sia il dramma delle vittime della giustizia. In secondo luogo aspira a dare una speranza a coloro che vivono la sua stessa storia. Chi non è a contatto con la realtà carceraria probabilmente non ne comprende il senso di scoraggiamento. Ma per chi è vittima di errori giudiziari, vivere in carcere è peggio della pena di morte.
A proposito della vita da ergastolano, cosa ne pensa del carcere ostativo? Ha una sua utilità, o rischia di andar contro il principio della rieducazione?
Accolgo con piacere la domanda. Al momento, insieme con partito radicale, stiamo promuovendo una proposta di legge di iniziativa popolare per l’abolizione del carcere ostativo. Una tipologia di pena che a nostro sommesso parere è una pena incostituzionale perché va a violare quella che è la finalità educativa e di reinserimento sociale del carcere. E’ un regime che annienta la dignità dell’uomo. E’ una pena che è stata più volte censurata in sede di Corte europea dei diritti dell’uomo. In Italia abbiamo circa 1200 ergastolani condannati al 41bis, un regime introdotto all’indomani della stragi di mafia, una reazione emozionale dello Stato a fronte di quella che era una grave emergenza. Ma sono passati quasi 30 anni e il fenomeno sta assumendo una dimensione inquietante a fronte delle libertà costituzionali.
E’ dunque possibile affermare che, da oggi, la vittima dell’ errore giudiziario ha un amico in più. Una fondazione che garantisce ciò che viene negato: la possibilità di essere ascoltato. La possibilità di non vedersi strappare via l’unica cosa che fa andare avanti: la speranza. Speranza per chi ancora vive l’incubo e per chi, come Giuseppe, sente che la sua vita non è stata del tutto sprecata. Anzi per nulla.
GS Trischitta