Non è facile oggi parlare del popolo palestinese, di Gaza e della sua Striscia. I potenti mezzi d’informazione che abbiamo a disposizione indirizzano i nostri giudizi, i nostri gusti e anche le nostre opinioni. Oggi le immagini che vanno per la maggiore sono quelle dei migranti che muoiono in mare e dei bambini annegati e approdati sulle spiagge di questa Europa che dimentica.
Le immagini della Siria bombardata e della tragedia dei bambini sottratti alle macerie dalle bombe, sporchi di polvere e scioccati allo stesso modo di quelli sottratti alla morte nel recente terremoto di Amatrice. Stessi bimbi, ma polvere diversa.
Immagini della Striscia di Gaza nessuna, da anni e anni. Abbiamo visto qualcosa, per chi se lo ricorda, uno specchio di mare blu nel 2010 quando la Freedom Flotilla per Gaza tentò di rompere via mare il blocco israeliano che dopo la guerra dei 6 giorni del 1967 ancora oggi stringe la striscia di Gaza come un pitone che toglie il respiro.
Dopo, solo alcune immagini di macerie e carrarmati nel 2014, quando Israele chiuse i tunnel che consentivano ai membri di Hamas, considerata in occidente e in parte dell’oriente un’organizzazione terrorista, di entrare e uscire da Gaza e rifornirsi, tra le altre cose, di armi. I famosi “Qassam”, razzi che venivano lanciati poi in territorio Israeliano. Altre fonti, invece, vedevano in quei tunnel anche un’occasione di commercio che il popolo palestine usava per sopravvivere, essendo soggiogato, anche commercialmente, da Israele da una parte e dall’Egitto dall’altre parte dei suoi confini. Allora, per non sbagliare, Israele bombardò i tunnel in ambedue le situazioni. Ed è proprio per non dimenticare il dramma di circa 1 milioni e 800 mila persone, il popolo della Striscia, che anche quest’anno Messina è stata scelta dalla Freedom Flotilla Italia come ultima meta europea prima di tentare di forzare pacificamente, anche quest’anno, il blocco israeliano.
Sino a lunedì 26 le due barche, Amal (Speranza) e Zaytouna (Ulivo) della Flotilla, e il suo equipaggio di sole donne (composto da premi Nobel, parlamentari e attiviste) rimarranno ormeggiate al molo della “passeggiata a mare”. Collaterali, ma non meno importanti, le numerose iniziative che in questi giorni gli organizzatori hanno previsto. E, forse, la più importante è stata la presentazione che si è tenuta alla Feltrinelli Point di un libro edito nel 2015 dalla casa Editrice DeriveApprodi, “Gaza e l’industria Israeliana della violenza” (pagg. 336, euro 16,00), scritto a tre mani da Bartolomei Enrico, volontario nei territori palestinesi occupati e docente a Macerata, Carminiati Diana, professoressa di Storia e associata presso l’Università di Torino e Tradardi Alfredo, fondatore di ISM-Italia, un movimento di solidarietà internazionale.
Relatrici della serata sono state Alessandra Minniti, (docente) che ha curato gli aspetti storici del libro e Giulia Carmen Fasolo (editrice, anche se non del libro in questione), a cui abbiamo chiesto di parlarci del libro e più in generale della situazione dei palestinesi e del popolo della striscia, dopo i falliti accordi di pace di Oslo che avevano visto la nascita, non portata a compimento, di uno Stato Palestinese.
Perché ci consiglia di leggere il libro Gaza e l’industria Israeliana della violenza?
Perché è una rappresentazione fotografica, lucida e obiettiva del passato e del presente della Striscia di Gaza. Da una parte una trattazione storica dall’Impero Ottomano al governo di Hamas del 2006 e dei successivi periodi. Dall’altra un’analisi affrontata con lucidità delle motivazioni storiche alla base della “questione palestinese” e del perché questo popolo sia costretto a vivere in uno spazio “ristretto”, non solo geograficamente ma anche di vita. Il libro affronta anche tutte le operazioni militari dell’esercito israeliano, tra cui ad esempio l’operazione “Margine Protettivo”. Ma anche della distruzione dei tunnel che in un primo momento erano usati dai palestinesi per eludere i blocchi degli israeliani e rifornirsi di beni primari e poi, in un secondo momento, si sono trasformati in mezzo per rifornire di armi Hamas. Ciò non toglie che la loro distruzione da parte di Israele si avvenuta sia quando servivano per fornire di risorse primarie la popolazione, sia quando servivano per le armi. Tutto questo corredato da una corposa documentazione di supporto e di una accurata bibliografia.
Nel libro quanta responsabilità si riconosce ad Hamas e perché il popolo palestinese la preferì al percorso di pace rappresentato da Harafat?
Nel libro si dice chiaramente che Hamas è considerata un’organizzazione terrorista e si indicano quali sono le Nazioni che in tal modo l’hanno considerata. Si parla degli Stati Uniti, della Russia, della Francia, dell’Unione Europea, ecc. Per il resto il percorso di pace, come spiegato con chiarezza nel libro e come indicato dagli storici non miopi, è assolutamente “falso”, come falsi sono stati gli accordi di Oslo che hanno semplicemente fatto due cose. La prima confermare il potere nelle mani di un unico popolo, quello israeliano, e secondo aumentare questo potere. Del resto, sappiamo bene come i due accordi di Oslo in realtà fossero tanti piccoli negoziati che per realizzarsi avrebbero impiegato un tempo importante tra incontri, conferenze, summit ecc, e pur riconoscendo colpe e ragioni da entrambe le parti avevano un solo scopo, quello di non realizzarsi.
Oggi i palestinesi si appoggiano ancora ad Hamas o sono anche loro vittime di Hamas?
La risposta non è semplice, perché si rischia di banalizzare una questione che è molto complicata e complessa, anche perché gli attori che emergono, da Hamas a tutti gli altri, non sono altro che elementi e attori del sistema del potere. Per il resto, il popolo Palestinese vuole innanzitutto la libertà, concetto che racchiude nel termine di “sumud” (continuare a vivere nella propria terra, ridere, godersi la vita, innamorarsi, sposarsi, avere figli, difendere i valori…). Infatti, se si chiede a un palestinese se vuole Hamas, lui risponde che vuole sumud. Però, è anche vero che Hamas nel 2006 ha ottenuto 74 seggi su 132 e quindi 56% delle preferenze, quindi probabilmente c’è una fetta di popolazione che approva Hamas perché in essa ha visto una maggiore libertà rispetto a quella che gli poteva essere concessa dagli accordi di Oslo.
Il popolo palestinese vuole la libertà o vuole la pace?
Per il popolo palestinese i due concetti sono la stessa cosa. La libertà vuol dire avere la pace, la libertà vuol dire avere lo spazio che gli è stato sottratto con violenza. Il fatto che un popolo sia stato “asfissiato” e colpito militarmente da decenni è un fatto storico che gli occidentali dimenticano. Quasi quasi spacciano Israele per vittima e la Palestina quale carnefice, come se la questione fosse ridotta soltanto ad Hamas. Io vorrei precisare che per i palestinesi la pace è la libertà e che la libertà è la pace. Del resto, se vogliamo banalizzare e dire che la libertà è solo lo spazio e un pezzo di terra lo possiamo anche fare. Se evitiamo di dire che la pace degli accordi di Oslo è assoggettarsi ad Israele, dimenticando che sta diventando la palestra per tutte le guerriglie che ci sono e ci saranno in Occidente, siamo non solo miopi ma proprio ciechi e neghiamo la storia. Tutto questo, pur ripreso dal libro, viene confermato dall’ONU che dichiara che un milione e ottocento palestinesi sono costretti a vivere in 360 chilometri quadrati. Per intenderci: in uno spazio grande quanto la città di Enna.
Torniamo al libro, come si compone?
Il libro si compone di undici capitoli. Inizia con il concetto d’identità profuga che si deve riconoscere anche ai Palestinesi, prosegue con i diversi processi di pace (accordi di Oslo e altri) come dovevano essere e come sono stati disattesi, continua con l’economia e segue con la documentazione di un genocidio, come confermato anche dall’ONU sino ad arrivare all’industria della violenza israeliana. Quello dell’industria della violenza (gli armamenti prodotti e venduti da Israele) lo vediamo con i nostri occhi in tutte le fiere internazionali, dove Israele riesce a vendere di più perché ha potuto testare i suoi sistemi d’arma e le tecnologie militari sul popolo palestinese. Del resto, queste sono tutte cose documentate e il libro è fornito di un’ampia bibliografia che consente a chi vuole approfondire l’argomento di avere una mappa di riferimento.
@PG