Dottor Caselli, durante il Salone del libro di Torino, ha rilasciato una dichiarazione forte, dicendo che la lotta alla mafia è finita. Da cosa nasce questa affermazione?
Non mi ricordo di aver detto “la lotta alla mafia è finita”. E’ una sintesi giornalistica che, mi dispiace, ma non corrisponde al mio pensiero. Io ho sempre detto, e ripeto in questo momento, che la lotta alla mafia è ancora lunga, difficile, in salita, ma è in corso. Ventuno anni fa le stragi volevano travolgerci, trasformare la nostra democrazia in un narcostato, in uno stato-mafia, in qualche cosa caratterizzato da una forte presenza dominante del potere corleonese-stragista e noi, invece di essere travolti, di essere spazzati via, siamo riusciti, stando tutti insieme, facendo squadra in quel biennio magico, a dare un forte segnale. La forte resistenza partita da Palermo è stata creata dalla società civile, che ha riempito le piazze della città, non solo con i lenzuoli bianchi e in collaborazione con le forze dell’ordine e la magistratura. Oggi, la mafia è sempre un problema, ma siamo qui, a cercare di affrontarlo e risolverlo ancora una volta. Questo è il senso del mio pensiero e diverso è il discorso che ho fatto.
Quel biennio magico di una ventina di anni fa ci ha portato molto vicini alla vittoria, per usare un linguaggio un po’ sportivo. Sembrava proprio fatta, anche se è chiaro che mi riferisco a Cosa Nostra siciliana, e non a tutte le mafie. Arresti come mai in precedenza: Riina, Bagarella, Brusca, Aglieri, i fratelli Graviano, Spatuzza, Vito Vitale, Sinacori. L’elenco finirebbe domani mattina se continuassimo a farlo: 650 condanne all’ergastolo – chiaramente parlo dei processi celebrati a Palermo, quando ero a capo della procura, quasi sette anni. Diecimila miliardi delle vecchie lire di beni confiscati ai mafiosi. I processi, poi, si sono celebrati con un’intensità e una continuità senza precedenza, e con imputati eccellenti: la spina dorsale del potere mafioso, le coperture e le collusioni. E’ stato in quel momento che sono cominciate le difficoltà. Prima, tutto andava bene, ma a partire da allora le cose sono peggiorate. I pentiti sono diventati un problema. Come anche i magistrati che li gestivano. Sul banco degli imputati, invece dei mafiosi e dei loro complici, sono finiti, appunto, gli imputati eccellenti, che qualcuno non voleva che fossero sfiorati da indagini incisive, per quanto riguardava la loro responsabilità. Sembrava fatta, il traguardo vicino e invece tutto è ricominciato a essere in salita e il traguardo stesso si è allontanato, però la lotta non è finita, sta continuando, ma con difficoltà, perché c’è sempre qualcuno che mette i bastoni fra le ruote e che non si assume le sue responsabilità. Parlo ad esempio di chi continua a intrattenere amorevoli rapporti con i mafiosi, invece di guardarsi bene dal farlo, e parlo dei compagni di cordata che non sanno bonificare questa cordata, eliminando le mele marce, e fanno finta di niente. Finché questo ruolo politico delle collusioni e delle complicità non sarà tranciato, la lotta alla mafia continuerà, ma sarà sempre difficile e indebolita.
Cosa è cambiato nel modus operandi mafioso in questi anni. Molti dicono che la mafia si è inabissata.
Molte cose sono cambiate in vent’anni e per fortuna la mafia ha abbandonato la strategia stragista. Ha scelto il cono d’ombra, cercando di non fare notizia, di uscire dalle luci della ribalta. Se uccidono, uccidono prevalentemente con la lupara bianca. Ma operando in questo cono d’ombra, la mafia è diventata sempre più una mafia d’affari. I mafiosi sono molto ricchi, per la quantità di denaro che accumulano con mille attività illecite: traffico di armi, di stupefacenti, di rifiuti tossici e ancora estorsioni e rapine, sequestri di persona e appalti truccati. Mille attività che producono denaro sporco, di cui quindi non possono godere, perché devono trasformare il potere d’acquisto da potenziale a effettivo. Un’impresa criminale che diventa sempre di più un’impresa economica, con l’espansione della mafia dalle regioni di appartenenza ad altre zone del nostro paese, come il centro-nord, perché il riciclaggio riesce meglio dove, nonostante la crisi, il denaro ancora circola, e quello sporco dei mafiosi può mimetizzarsi con quello pulito e il riciclaggio avere maggiore probabilità di andare a buon fine.
Lei ha toccato una nodo cruciale, quello del denaro sommerso del sistema mafioso. Quali sono i provvedimenti urgenti per dare una vera battuta d’arresto al sistema?
Bisogna dotare polizia, carabinieri, guardia di finanza, la magistratura di più mezzi e risorse. Ma, soprattutto, bisogna creare una nuova cultura. Ancora oggi è diffuso il principio pecunia non olet, l’importante, cioè, è fare degli affari e far sì che la macchina dell’economia giri, poi, se ci sono delle componenti opache, si dice: “Pazienza, quando le cose andranno meglio vedremo di intervenire”. Bisogna invece dire “no”, perché domani sarà troppo tardi. L’economia pulita sarà progressivamente inquinata da quella sporca, cambiando le regole della concorrenza a danno di coloro che non sono mafiosi e dei mafiosi non sono nemmeno complici. Ci sono dei paradisi fiscali, mille attività che avvengono con forme di contiguità e interessi comuni fra illegalità e strutture che dovrebbero essere legali, ma che invece facilmente si lasciano corrompere. Bisogna che la legalità torni ad affermarsi, perché il nostro paese non vive un bel momento, perché in Italia chi sbaglia non paga, soprattutto se conta, e se ha sbagliato può sempre sperare che arrivi un condono o uno scudo fiscale: tutte cose che facilitano l’economia illegale e non solo quella mafiosa. Di questo brutto discorso si parla tanto, ma di concreto non si fa nulla. Bisognerebbe prendere provvedimenti che introducano le norme antiriciclaggio e che proibiscano il voto di scambio e puniscano il falso in bilancio.
Il nostro paese sta vivendo un momento delicato, in cui la lotta alla mafia non sembra tra le priorità dell’agenda politica. Qualche giorno fa si era avanzata l’ipotesi di ridurre le pene per il concorso esterno in associazione mafiosa. Qual è il suo pensiero a riguardo?
Questa è stata una proposta semplicemente incredibile, tanto che mi ero proprio rifiutato di commentarla. Ho fatto bene, perché non ha senso spendere parole per una cosa che non sta né in cielo né in terra. Ma a essere importante non è il fatto che la proposta sia stata presentata e poi ritirata, ma che il messaggio sia stato lanciato. E’un cattivo segnale per chi vuole che gli strumenti della lotta alla mafia siano affinati e non indeboliti.
Lei è stato vittima di una legge ad personam. Cosa avrebbe fatto se avesse occupato quel posto alla procura antimafia?
Non lo so, perché non ho mai detto che quel posto spettasse a me. Ho detto che mi spettava, come cittadino, il diritto di partecipare secondo le regole vigenti e senza che queste a partita in corso venissero modificate, estromettendomi dal concorso stesso e quindi da un mio diritto. Non è democratico il fatto che per ben due volte a concorso aperto siano state cambiate le regole. Se cambiano non devono farlo per uno soltanto, come è successo a me.
Se poi devo pagare il processo Andreotti… nonostante le menzogne che si dicono in giro, la Corte di Cassazione ha sostenuto fino al 1980 la colpevolezza dell’imputato per aver commesso il reato di associazione a delinquere con Cosa Nostra. Delitto commesso, ma prescritto, per cui la dichiarazione di colpevolezza non è stata seguita dalla condanna. L’imputato, però, ha ricorso in Cassazione, e io in cinquant’anni di magistratura un imputato che ricorre in Cassazione non l’ho mai visto: se qualcuno ricorre in cassazione vuol dire che non è stato assolto. Parlare di assoluzione significa truffare il popolo italiano. Credo di essere l’unico magistrato al mondo che sia stato colpito da una legge contro la persona perché ha fatto il proprio lavoro. E io credo di averlo fatto bene. Come simbolo dovrei essere orgoglioso, come cittadino un po’ meno.