In Italia, quasi un terzo delle donne in età adulta ha subito una violenza almeno una volta nella vita, 150 l’anno la media delle vittime uccise per mano del partner. Potrebbero dunque aggirarsi tra i quattro e i sei milioni gli uomini che praticano violenza nei confronti delle loro compagne, che spesso, non sono le uniche vittime.
Con l’espressione violenza assistita si fà riferimento a quegli episodi specifici all’interno dell’ambiente familiare durante i quali i bambini sono testimoni di maltrattamenti e violenze fisiche, psicologiche o sessuali subite da una figura di riferimento. Più di 400 mila ad oggi i casi denunciati.
Giovanna Cardile aveva solo 5 anni quando suo padre la costrinse vittima oculare dell’omicidio della mamma e della nonna. Pedagogista, tre lauree umanistiche, coautrice insieme con Giovanna Sciacca, Dott.ssa in Scienze Politiche, del libro “Due vite in una, storia di una rinascita”. Le due si incontrano durante il corso “Donne, politica e istituzione” tenutosi all’interno dell’Università degli Studi di Messina e decidono insieme di trattare in maniera autobiografica due problematiche che costituiscono tabù forti come la violenza e malattia oncologica.
In relazione ai suoi studi, quali possono essere i fattori determinanti nello svliluppo di atteggiamenti violenti?
<<La prima societa è la famiglia, l’educazione senza dubbio è uno dei fattori principali, ma la matrice è senza ombra di dubbio la predisposizione caratteriale dell’individuo. Un individuo debole sarà sempre assoggettato al volere e ai modi recepiti nell’ambiente familiare, a maggior ragione all’interno di una famiglia patriarcale o matriarcale, come lo era quella del mio parde biologico. Sarebbe troppo semplice però dare la colpa solo alla famiglia. Inoltre esistono casi in cui la violenza viene fuori perché rappresentata da un istinto innato, ma viene repressa se la questa interviene.>>
A Giovanna Sciacca che ha approfondito nel corso dei suoi studi il rapporto tra preadolescenti e media, abbiamo chiesto in che relazione essi incidono nello sviluppo di pratiche violente.
<<Ritengo che abbiano un ruolo determinante, una parte fondamentale del tempo dei ragazzi è occupata dalla relazione coi media, l’assoggettamento in questo caso porta il bambino a confondere il virtuale con il reale. Innumerevoli i casi che lo dimostrano, eppure si fa ancora troppa poca attenzione e se ne sottovalutano gli effetti. Strettamente legato a tal proposito la polemica sull’ uso delle armi senza giuste limitazioni e controlli. >>
Quanto è importante l’armonizzazione d’intervento educativo e formativo alla scoperta di madri e figli vittime di abusi?
<<Fondamentale l’utilizzo di una terapia che coinvolga insieme mamma e figlio. Purtroppo, l’implicita connessione tra la violenza subita dalle madri e le gravi conseguenze a breve e lungo termine, di tipo comportamentale e cognitivo sui figli, non è ancora un dato acquisito né da gran parte degli operatori dei servizi territoriali, né tantomeno dall’opinione pubblica. L’assenza di un osservatorio nazionale sul fenomeno, poi, rende ancor piu difficile la vita a chi lavora sul territorio.>>
Secondo il Rapporto spettatori e vittime (2011). “In italia le analisi che riguardano l’ambiente familiare come possibile foriero di patologie, anziche di tutela, devono confrontarsi con un assetto culturale e societario fortemente teso alla difesa di una idea, una immagine di famiglia quale luogo privato e positivo per definizione. “
<<È certamente così.>> Interviene Giovanna Cardile.
<<Indissolubilmente l’dea della famiglia è legata ad una sfera che ognuno di noi preferisce mantenere privata, per se, sono affari nostri, i panni sporchi si lavano in casa. C’è una netta differenza tra la concezione di famiglia italiana rispetto al resto d’occidente, all’estero ho potuto constatare un’apertura mentale in ambito concettuale, familiare, non indifferente. >>
Fra nord e sud italia?
<<Solo una questione di pregiudizio, il sud, al nord, è un luogo comune e viceversa. >> taglia corto la dott.ssa Sciacca.
Secondo indagini istat solo il 9% degli abusi viene denunciato. Al primo posto il fattore economico.
G.S.<<Faccio riferimento al libro di Serena Dandini “Ferite a morte” ove attraverso una desamina trasversale del fenomeno viene fuori che non è facile denunciare principalmente per un fattore psicologico: non è tanto difficile prendere coscienza della violenza, quanto l’ammettere un fallimento. A questo spesse volte si aggiunge il fattore economico, molte donne non hanno la possibilita, non sono indipendenti per fare una cosa del genere e le strutture di supporto sono mal distribuite sul territorio. Infatti laddove è piu attivo il servizio, sono visibili i centri, e in maggior ragione se ne parla aumenta il numero delle denuncie. >>
Tipica delle donne inoltre la tendenza ad assumersi ogni colpa e responsabilità sino a convincersi che la violenza sia meritata. È proprio in questi casi che non c’è niente di meglio che chiedere aiuto.
G.C.<<Quando poi la questione degenera e finisce in tragedia senti dire “avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti” bugie. Tacere è molto meno doloroso. E se sono le madri a sentirsi tante volte così incatenate nel silenzio si pensi ai bambini. Io non potevo fare niente, avevo 5 anni e credevo, o speravo, fosse un brutto sogno. Alla morte di mia madre e mia nonna la mia famiglia mi spogliò d’ogni cosa e tentò di separarmi da mio fratello. Volevano solo me. Ma non mi volevano per davvero. Poi mi innamorai, follemente di quell’uomo, mio padre adottivo, non appena lo vidi in quella stanzetta di tribunale. Mia madre mi ha partorita, lui mi ha rimessa al mondo. Mi ha fatto cambiare idea sugli uomini! Se non avessi avuto lui sarei rimasta da sola, in una casa per giovani o in collegio. Spesso i bambini vittime rimangono soli, sono notevoli le mancanze in ambito assistenziale. Per non parlare dei criteri di adottabilità e meccanismi d’adozione che andrebbero sicuramente alleggeriti o sfoltiti.>>
Assistere a uno o più atti di violenza nei riguardi di una persona cara fa si che il bambino perda la fiducia negli affetti, stenti a riconoscere i concetti di rispetto e intimità. Educatori e figure professionali specifici possono aiutarlo a ristabilire le linee guida perdute e riportare i parametri il più vicino possibile alla normalità.
<<È sempre consigliabile avvalersi di figure specifiche in relazione all’esperienza, mio papà era un pediatra, amava i bambini e amava anche me, sono stata fortunata. È stato paziente con me e con semplicità mi ha riportata alla vita, finchè la sua malattia non ha avuto il sopravvento, li ho dovuto io, con pazienza prendermi cura di lui. Da sola.>>
Rispetto al passato si parla con piu facilità di malattia oncologica ma spesso il pregiudizio o l’incapacità di rapportarsi al malato e alla patologia stessa allontanano amici e parenti, che trovano sempre meno opportuno relazionarsi con l’evolversi del disturbo. Questa, sottolineano le autrici la ragione che le ha spinte e accomunate nel raccontare e raccontarsi.
<<Ho una storia simile a quella di Giovanna Cardile, relativa alla seconda parte del nostro racconto: mia mamma è morta per un tumore undici anni fa, poi ho perso negli anni seguenti parecchie persone a me care, entrambe abbiamo voluto mettere in evidenza una fase della nostra esistenza in cui ci siamo ritrovate sole, ma non per questo abbiamo perso la speranza. >>
Prossimo progetto di G. Cardile, ci anticipa, il dottorato di ricerca in Scienze Gastronomiche.
<<Con il supporto del Prof. Duco approfondiremo la relazione tra alimentazione e cancro. La fruizione di cibi preziosi come l’olio, il vino, il pesce azzurro e la frutta secca, può stabilizzare i disturbi legati alla patologia e rallentarne le fasi evolutive, ne ho avuto io stessa la prova, a mio padre avevano dato quattro mesi di vita, è stato con me quattro anni ancora.>>
In cantiere per la Sciacca, un nuovo romanzo ed il progetto “Donne che fanno lavori da uomini”.
Giovanna Romano