i colori della follia in mostra a Catania

Non più uomini ma automi, non più persone ma fantocci senza più tracce di dignità, sono loro i protagonisti indiscussi delle sculture di Antonio Ligabue e dei dipinti di Pietro Ghizzardi esposti al Castello Ursino di Catania per la “Mostra della Follia”.

Dal 22 sino al 23 Ottobre quadri, collage e documenti di grande valore storico e giudiziario saranno esposti in questa moderna e quanto mai innovativa rassegna d’arte inaugurata e promossa da Vittorio Sgarbi. Nel corso di un’interessante conversazione telefonica, il critico si è curato di illustrare ai nostri redattori le peculiarità dell’esposizione, con particolare attenzione per il legame fra squilibrio e inventiva.

«Ho cominciato a progettare la rassegna a Salemi – ci racconta Sgarbi – qualche anno fa. In quel periodo ne ero il sindaco ed è stato lì che ho creato il Museo della Mafia. Cesare Inzerillo, autore del museo ha ispirato, seppur indirettamente, l’idea della mostra di Catania. Le sue fotografie godevano di una capacità evocativa senz’altro notevole, così l’ho invitato a usare la follia».

«L’esposizione doveva essere allestita a Salemi – continua il critico – ma a questa, infine, si è preferita Matera. A Matera è seguita Mantova e adesso è il turno della Sicilia».

Una mostra itinerante, volta a regalare ai fruitori la possibilità di carpire l’estro sepolto dall’alienazione, l’inesprimibile creatività di una mente inferma.

«Sono convinto – dichiara Sgarbi – che chiunque possa comprendere il valore delle opere esposte. Sicuramente il fruitore medio ne sarà capace: in fondo si tratta di raccontare la condizione di profondo disagio che i malati psichiatrici hanno vissuto e vivono tuttora. Non è affatto inaccessibile».

All’occhio critico è dunque preferibile l’empatia, allo studio attento l’immedesimazione.

Ed è proprio questa la ragione che ha spinto i fautori della rassegna a esporre gli strumenti di coercizione usati nei manicomi prima del 1978: il visitatore avrà modo di conoscere le violenze a cui la legge 180 del 78, anche conosciuta come Legge Basaglia, ha messo fine.

Potrà farlo senza racconti strazianti o lunghi documentari, basterà volgere lo sguardo alle istantanee scattate ai pazienti segregati all’interno di vecchie case di cura: sguardi privi di vita, atrocemente lontani, quasi spaventosi. Volti scarni, cadaverici, segnati dalla malattia e dagli abusi.

 

(Se gli occhi spenti dei pazienti non bastassero a raccontare i supplizi subiti, di certo lo faranno i giganteschi e macchinosi apribocca o le famigerate camicie di forza che nessuno fra i ricoverati riusciva ad evitare)

Rinchiusi in spazi angusti, privati della loro umanità e costretti a vivere alle soglie della sostenibilità, i pazienti psichiatrici non erano che disperati casi clinici, fastidiosi e incontrollabili “errori di fabbrica” da sedare. Spesso trattati come cavie umane, venivano curati con l’uso dell’elettroshock e, nei casi più gravi, della lobotomia: storditi e lasciati in preda al loro dolore perdevano ogni forma di identità.

Eppure, le derive artistiche della follia non sono poche.

Lo sostiene anche Sgarbi, che ci ricorda grandi personalità dei secoli passati. «La pazzia ha due uscite: una drammatica, che conduce inevitabilmente all’isolamento e una volta all’esaltazione, responsabile dell’estro che caratterizza molti personaggi ritenuti folli. L’infermità mentale ha portato Van Gogh a dar vita a opere di eccezionale bellezza, a vivere una vita complessa ed intensa». 

Arte e squilibrio si compenetrano al punto da divenire una la conseguenza dell’altra.

Non resta, dunque, che valorizzare ciò che la follia è in grado di produrre, dimenticando criteri di giudizio conformi ai canoni scolastici e scrollandosi di dosso la sete di perfezione.

Fulcro dell’esposizione è la storia della Legge Basaglia, anch’essa alla portata di un pubblico che potrà così rivivere le tappe della chiusura dei manicomi in Italia, avvenuta appena trentotto anni fa. «La legge 180 è ormai storia – conclude Sgarbi – ed è giusto che sia così».