Spunta una strada che porta ai giovani

Si intitola “Strada che Spunta” la nuova, curiosa raccolta di Alli Traina, presentata a Palermo. Vengono narrate le vicende di nove “minori autori di reato”, adolescenti palermitani cui non è stato concesso il privilegio dell’infanzia, giovani ancora imberbi rimasti vittime di una società che ha preferito lapidarie sentenze ad una più umana accettazione.

L’autrice, tenace e fiera idealista, ha scelto di destinare parte dei suoi guadagni al finanziamento di diverse borse-lavoro, riservate ai giovani entrati nel circuito penale.

Pochi giorni dopo la presentazione del libro abbiamo incontrato Alli, nella sua abitazione palermitana. Sorseggiando un caffè e spiluccando qualche biscotto, ci ha svelato cosa si cela dietro la sua ultima fatica letteraria.

Cosa ti ha spinto a credere in questi ragazzi? Perché meriterebbero una seconda possibilità?

“La mia fiducia nelle loro possibilità nasce in seguito a un lungo percorso di conoscenza. All’inizio sapevo davvero poco su ciò che avrei scritto, ero piena di appunti, di notizie prese qua e là e prima di conoscere i rotagonisti dei miei racconti avevo messo a ognuno la sua etichetta: mi aspettavo di incontrare un ladro, un violento, un rapinatore. In realtà ho incontrato semplicemente ragazzi. Ascoltare le loro storie mi ha aperto gli occhi su quanti ingiusti pregiudizi ci siano nei loro confronti. Adesso sono fermamente convinta che, con le giuste opportunità, sarebbero davvero capaci di cambiare vita.”

Parlando dei protagonisti delle tue storie, scrivi “È la società in debito con loro, non il contrario. Tutti noi non siamo innocenti nei loro confronti”. Cosa potrebbe fare la società per saldare il suo debito?

“Dobbiamo cominciare a pensare che la vita di questi ragazzi ci riguarda, sin dal principio. Bisognerebbe prevenire i reati, non soltanto porvi rimedio: lo si potrebbe fare intervenendo sui quartieri definiti “a rischio”, valorizzandoli e migliorando le loro scuole. A volte commettere un crimine equivale a lanciare un grido d’aiuto, un appello disperato rivolto a chiunque possa salvare questi ragazzi dalla strada, da un avvenire incerto, da un futuro affatto promettente.  Sarebbe necessario anche potenziare i centri di aggregazione giovanile: ne sono rimasti solo sei a Palermo, sin troppo pochi. Eppure il loro lavoro è imprescindibile: riescono a portare la bellezza nei quartieri che da sempre sono abituati alla bruttezza. Se vivi in un posto brutto, lo diventi anche tu.”

Le vicende che racconti rappresentano anche un’implicita ma chiara denuncia del fenomeno della dispersione scolastica, di atteggiamenti discriminatori e ghettizzanti da parte degli stessi docenti. Cosa suggeriresti agli insegnanti che si imbattono nei cosiddetti “soggetti difficili”?

“Ho massimo rispetto per gli insegnanti: sono figure chiave all’interno della società ed il loro lavoro è molto sottovalutato, purtroppo. Talvolta però i docenti non sono preparati ad affrontare alcune, particolari realtà, risultano inadeguati. Forse sarebbe opportuno che venissero scelti docenti con una predisposizioni ed inclinazioni diverse, pronti a confrontarsi con ragazzi non proprio condiscendenti, disposti a non arrendersi, a perseverare. Suggerirei inoltre ai professori di dare importanza a ciascuno di loro, di prestare alle loro storie l’attenzione che meritano e di portare alla luce i talenti di ognuno. Dovrebbero imparare a conoscerli, riscoprire la loro individualità.”

 Hai incontrato personalmente i protagonisti delle tue storie, hai parlato con ciascuno di loro, hai ascoltato ciò che avevano da raccontare. Dopo averli incontrati, pensi che la vita in comunità e le strategie di riabilitazione siano servite? È cambiato davvero qualcosa?

“È innegabile che esperienze lavorative e percorsi di formazione formulati su misura abbiano avuto esiti più che positivi: hanno consentito ai ragazzi di relazionarsi con una realtà diversa, di godere di opportunità sino a poco tempo prima impensabili.  Si tratta però pur sempre di esperienze a termine: Quando finiscono, tutto torna come prima, almeno nella maggior parte dei casi. Sarebbe bello poter garantire un immediato inserimento nel mondo del lavoro, ma le aziende risentono della crisi economica e e sono pochi i casi in cui l’esperienza termina con un’assunzione. Del resto non è questa la finalità principale del progetto, bensì quella di provare a realizzare un cambiamento nelle prospettive e nelle consapevolezze del singolo ragazzo. Iniziative come queste nascono per mostrare ai giovani che esistono anche altre vie, per far sì che conoscano realtà differenti.”

È proprio Palermo ad essere al centro dei tuoi racconti. Come mai? Pensi che altrove le cose siano diverse?

“È indubbio che Palermo sia una città particolare: è un luogo unico, con caratteristiche irripetibili, nel bene e nel male. Io ho un forte legame con Palermo, è la mia città, ho sempre cercato di carpirne l’essenza e credo che non la si possa cercare unicamente centro cittadino. Bisogna tornare a guardare la città come un unico luogo e non come un contenitore di mondi distinti e separati.”