Il carcere duro per salvare Provenzano

“Due anni che è allettato perché non può stare neanche in carrozzella. Vi hanno provato in tutti i modi a metterlo su una sedia a rotelle e come dicono i certificati anche attraverso un paranco. Quindi, oggi è allettato con un catetere e un sondino che dal naso scende sino all’intestino attraverso cui lo nutrono e gli danno le medicine. Dopo che ha subito un intervento per un ematoma gli hanno svuotato anche mezzo cervello e per questo non è più capace d’intendere e volere, tanto che il figlio è stato nominato “amministratore di Sostegno”. A parlare è l’Avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di colui che ancora oggi e sia pure in queste condizioni è considerato il nemico pubblico 1, Bernardo Provenzano, tanto da continuare ad applicargli il carcere duro.

E’ questa l’attuale condizione di vita dell’ottantatreenne “Zu’ Binnu”, il capo dei capi della mafia condannato a venti ergastoli. Il “diavolo” per antonomasia, arrestato nel 2006, oggi si trova a passare da una camera ospedaliera di massima sicurezza carceraria all’altra sotto le ferree regole dell’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario.  Il famoso regime di carcere duro applicato ai mafiosi e cioè l’impossibilità di avere qualsiasi contatto con l’esterno e la possibilità di vedere e parlare con i familiari solo attraverso un vetro, una volta al mese e con incontri che per legge sono videoregistrati.

Carcere duro che non solo è stato rinnovato dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, pur davanti ad un soggetto a cui già da tempo doveva essere riconosciuto per motivi sanitari l’incompatibilità con il regime carcerario e l’esecuzione penale extramuraria (ciò fuori dal carcere ma non dall’ospedale), ma confermato anche dalla Cassazione con una motivazione che ha lasciato perplessi molti degli operatori del diritto. Ed invero, ha detto la Cassazione, lo lasciamo al carcere duro per salvargli la vita.

“Non volevamo la libertà di Provenzano per motivi sanitari, continua l’Avvocato Di Gregorio, anche perché i dottori hanno confermato che senza i tubi che lo tengono in vita non resisterebbe 24 ore, ma solo che fosse spostato ai domiciliari in un reparto di lungodegenza del San Paolo di Milano, dove c’è un settore per curare i detenuti “ordinari” e che gli fosse data la possibilità di morire in pace” Era questa la richiesta presentata al Tribunale di Milano e insistita in Cassazione dopo il rigetto.

Cassazione che, pur riconoscendo il grave decadimento cognitivo, i problemi dei movimenti involontari, l’ipertensione arteriosa, una infezione cronica del fegato, oltre alle conseguenze degli interventi subiti da Provenzano per lo svuotamento di un ematoma da trauma cranico, per l’asportazione della tiroide e per il tumore alla prostata, riteneva che davanti alle risposte positive del detenuto alle terapie si poteva confermare la compatibilità del carcere duro anche perché – proseguiva la Suprema Corte- c’è il rischio per la  stessa possibilità di vita del detenuto se la prosecuzione della sua degenza avvenisse nel meno rigoroso regime della detenzione domiciliare sia pure in ospedale, perché avverrebbe in un contesto di promiscuità in cui l’assistenza sanitaria non gli potrebbe essere assicurata con altrettanta efficacia.

In altri termini, l’applicazione del 41 bis per Provenzano non appare più motivata dalla sua pericolosità sociale, né del rischio che possa mandare “pizzini” all’esterno come vorrebbe la legge. Anzi, in questo modo il regime di massima sicurezza si è trasformato come il mezzo per curare meglio l’uomo che per decenni è stato il Boss di Palermo e della Sicilia e che oggi è in stato comatoso.

 “Io ho dovuto fare tutto sino in fondo anche a Milano, ci tiene a precisare l’avvocato, perché è pendente un ricorso CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’uomo) e secondo la legislazione Italiana non ti puoi rivolgere alla giustizia europea se prima non hai fatto tutti i tre gradi di giudizio previsti per legge. E’ chiaro che è una questione di Diritto e a prescindere che si chiami Provenzano o meno è comunque un essere umano…ridotto in quella maniera.

Pensa che lo vogliano mantenere al carcere duro perché si chiama Provenzano?

Si stanno forzando in maniera pazzesca le norme, perché le norme esistono, il codice esiste e lo si sta disapplicando. Adesso s’inventano che il 41 bis serve per curare. Il 41 bis serve a prevenire la possibilità per gli ergastolani di avere i contatti con l’esterno ma poiché in questo caso i contatti non li può più avere c’inventiamo anche questa. Ma consentire di levare il vetro (che nel carcere duro separa i parenti dal detenuto) e consentire alla moglie di fargli, che ne so, una carezza prima che se ne vada viene considerata una debolezza dello Stato. Per me, invece, lo Stato dimostra tutta la sua debolezza quando, forzando la Costituzione ( art. 27 Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità), mantiene una persona in quelle condizioni.

“Questo non è il doppio binario di Falcone, questo è un binario a senso unico (la legislazione del doppio binario è quella che esclude per i terroristi e i mafiosi la possibilità di qualsiasi collegamento con l’esterno. Artt. 4 bis e 41 bis Ordinamento Penitenziario). Tanto è vero che con una battuta ho detto: Ve bene! Dopo morto lo impagliate, lo mettete in una sezione al 41 bis e ci mettete le guardie in pensione a guardarlo.”

Se le parole dell’Avvocato Di Gregorio fossero state le uniche ad alzarsi in difesa della dignità di un uomo, prima ancora che di Bernardo Provenzano, avremmo avuto qualche perplessità a raccogliere senza contraddittorio le parole di colei che nel bene e nel male, ma ingiustamente, è stata definita l’avvocato del Diavolo proprio perché difensore di Provenzano. Ma quando a parlare in difesa della dignità dell’uomo, prima ancora che di Bernardo Provenzano, è stato anche Antonio Ingroia, che il boss l’ha conosciuto “per decenni attraverso le carte di tante inchieste sui suoi efferati crimini”, allora qualche convincimento che in questo caso vi sia stata una palese violazione dell’Art. 27 della costituzione lo possiamo pure avere.

  « Il 41 bis non serve più per Bernardo Provenzano, ormai vecchio, stanco e malato, e la norma, introdotta originariamente alla specifica finalità preventiva di impedire che i capimafia potessero comunicare con l’esterno per dare ordini non deve essere ora reinterpretata come una forma di accanimento carcerario: La revoca del 41 bis per questo Provenzano – spiega l’ex magistrato – non intaccherebbe la funzione del carcere duro, anzi la rafforzerebbe, perché il 41 bis resta indispensabile ed utile purché usato secondo la sua funzione originaria senza piegarlo a finalità improprie. E quindi dannose ed abnormi.»  (Da un articolo scritto da Ingroia e pubblicato dal quotidiano Il Garantista).

PG.