IL CONTRIBUTO DI GIOVANNA LA MAESTRA

Giovanna La Maestra Professoressa in pensione di Italiano e Storia, da anni impegnata nel mondo del volontariato accanto alle persone disabili con l’ausilio delle arti figurative e della musica, tanto da fondare la Casa del Con sita nella Via Maddalena bassa, e Presidente delle Associazioni “Il Cantiere dell’Incanto” e “La Ragnatela Onlus”.

Il suo contributo riflette in massima parte l’esigenza di una formazione culturale di approccio differente al mondo della disabilità, non soltanto dei formatori e degli addetti ai lavori, ma anche di chi detiene il “potere” amministrativo della città, e ci spiega come e perché attuare questo percorso.

Nel nostro incontro alcuni giorni fa, Giovanna  mi fece presente che: “accanto al fatto legislativo,strutturale, amministrativo,organizzativo, esiste un problema culturale di fondo che non si può costruire o ricostruire in brevissimo tempo. Quindi bisogna ragionare in termini di piccoli passi efficaci, altrimenti la mentalità delle persone non si cambia. Non è detto che questo percorso bisogna farlo solo in relazione all’handicap. Sono convinta che l’handicap è uno degli aspetti del problema generale che è quello EDUCATIVO. Il rispetto della vita nei confronti degli altri non si può solo delegare all’istituzione, deve essere necessariamente richiesto da una popolazione che l’ha maturato, altrimenti diventa un fatto sovrapposto che produce fatti incresciosi a livello educativo, come l’integrazione scolastica non compiuta a dovere e così via. Le stesse famiglie non hanno la possibilità di scegliere,perché o l’handicap viene medicalizzato, ed entra in una specie di “corridoio” nel quale le famiglie si sentono rassicurate solo se il figlio viene “riparato” cioè ricondotto ad una vicinanza possibile alla normalità. Anche questo aspetto ha il suo valore, poiché tutto ciò che può servire a dare un minimo di autonomia ad una persona con handicap è necessario, però, quello che non viene mai guardato con attenzione è l’ASPETTO EDUCATIVO.

Per ASPETTO EDUCATIVO si intende spesso la NORMALIZZAZIONE o l’ADDESTRAMENTO. Addestrarli a fare delle cose. In realtà entrando in una relazione di incontro con loro riesci a cogliere tutto l’aspetto creativo della loro vita, che va dal come si sono adattati per camminare,ad esempio. Chi sta con l’handicap, riuscisse davvero ad imparare delle cose che sono alla base come il camminare, l’approccio sarebbe differente. Noi camminiamo perché facciamo certe cose, ma un disabile che non può camminare se non si adatta, dimostra dei passaggi del camminare che sarebbero importantissimi, ad esempio, per degli attori. Invece gli attori che fanno: vanno ad “insegnare” al disabile cosa deve fare. Naturalmente lo spettacolo che esce fuori spesso induce gli attori a dire: “vedete anche loro possono”. Certo, anche loro possono, ma bisogna vedere cosa  vogliono. L’aspetto della loro volontà è delicatissimo, perché loro non possono mai contestarti ed andarsene perché DIPENDONO. L’aspetto della DIPENDENZA va capovolto, cioè se non riesci a capire i passaggi che non vediamo più quali il gesto del dipingere, del suonare, dell’aggiustare una cosa. Loro mettono in scena perché hanno dovuto adattarsi per poterlo fare. A quel punto potremmo aprire un varco nell’ambito dell’EDUCAZIONE”.

Da qui la proposta che Giovanna pone alla città e all’amministrazione comunale va al di fuori dei normali protocolli, che fanno parte dell’esperienza professionale delle figure deputate (ad esempio: operatori sociali, assistenti sociali, psicologi, educatori in genere).

“IL PROTOCOLLO NON PUO’ GIOCARE SUL PIANO DELLA RELAZIONE INDIVIDUALE, A MENO CHE LA PERSONA CHE LO USA NON ABBIA UNA SUA FORMAZIONE PROFONDA. E’ IMPORTANTE CAPIRE CHE CHI PROPONE UN PROTOCOLLO DEBBA ESSERE IN GRADO PER SE’ DI SUPERARE QUESTA BARRIERA.

Io propongo all’amministrazione comunale la promozione e alle associazioni di volontariato che hanno veramente piacere di promuovere un’altra cultura che vada al di là dell’assistenza fine a se stessa, l’umiltà di affidarsi di tanto in tanto a qualcuno che abbia una esperienza integrata (FORMAZIONE AI FORMATORI). La frequenza, però, deve essere esclusiva solo nei confronti di chi lo desidera, senza pagare, dando in cambio qualcosa alla città. E a turno dovrebbero partecipare a questa esperienza laboratoriale tutti coloro che fanno parte della Giunta comunale. Se gli amministratori, in generale, dovessero continuare a pensare che possono espletare delle funzioni senza conoscere la ragione della funzione medesima,rimarremmo nello stesso punto. LA MIA UTOPIA STA QUI:METTERCI IN GIOCO ALMENO UNA VOLTA TUTTI.          Questa città sta vivendo un momento di speranza: abbattere non solo le barriere architettoniche fisiche, ma subito dopo un gran lavoro lento ed efficace. E per arrivare a questo, credo sia indispensabile organizzare un grande incontro collettivo con tutta la Giunta comunale, nel quale spiegare questo tragitto. E’ un discorso che non riguarda solo l’handicap  ma tutta la comunità, e coinvolgere le associazioni di volontariato possibilmente in rete.

Formazione fatta in questo modo: una, due volte l’anno organizzare una “festa” in cui qualcuno fa lavorare assieme tutti, formazione che l’operatore fa su di sé,a prescindere dal disabile, su quelli che sono i meccanismi interni di ogni persona, in un meccanismo di AUTOEDUCAZIONE. Io proporrei per questo tipo di corso ai formatori,  il Prof. Ruggeri e alcuni della scuola di arterapia di Roma e la Professoressa Guerralisi.

Quello che noi abbiamo visto in questi anni a contatto con i disabili è la ricchezza del loro modo di adattamento. Il ragazzo disabile ha un tipo di concentrazione diversa rispetto ad uno “normale”, perché il primo è abituato ad essere concentrato (ad es.uno spastico) nel camminare, perché se non è concentrato cade, su una persona normale per ottenere questo tipo di concentrazione devo lavorare un anno. Certo il disabile non ti farà mai la Nona di Beethoven, ne esce fuori una cosa strana, ma in questo senso l’handicap diventa risorsa. E’ vero che anche quelli in carrozzina possono correre,ma non gli direi mai che devi correre come Usain Bolt, sarebbe una stupidaggine. Ecco il valore dell’integrazione:valorizzare partendo da quella che è la realtà, valorizzando la specificità di quella persona disabile e diventa educativa se tu la valorizzi”.

                                                                                             A cura di Giovanni Tomasello