Provengono dall’Estonia, dalla Lituania, dalla Romania, dalla Turchia e persino dalla Macedonia. Ciascuno porta con sé un bagaglio speciale, pieno zeppo desideri e speranze: sono oltre sessanta tra ragazze e ragazzi dai 18 e i 30 anni che hanno messo in scena lo scorso lunedì 21 marzo a Palermo uno spettacolo teatrale tratto dall’Antigone, l’immortale tragedia Sofoclea. A mettere in scena il dramma “rimodernato” è stato il regista reggino Valerio Strati, con la collaborazione di Silvia Giuffrè. L’antico chiostro del convento del Carmine Maggiore che sovrasta e allo stesso tempo si confonde dentro il cuore dello storico mercato arabo di Ballarò, ha raccolto come in un abbraccio un insieme giocoso animato da carica gestuale ed energia creativa.
Da dieci giorni i ragazzi si trovavano a Palermo nell’ambito di un progetto europeo coordinato dal Teatro alla Guilla di cui Valerio Strati è il direttore artistico, esplorando e scoprendo la città nella sua interezza multiculturale. Lo spettacolo a cui hanno preso parte rappresenta il corollario di questa esperienza condivisa insieme. 12 i paesi e le lingue parlate; una ricchezza espressiva che è stata riversata e mantenuta intatta all’interno dello spettacolo, e ha restituito la rappresentazione del dramma classico come metafora attualizzata di quella koinè ellenica che fungeva da forza coesiva tra gli Stati. La contesa tra il personaggio femminile di Antigone che, nonostante il fratello Polinicie si sia macchiato di efferatezze, si batte per dargli degna sepoltura, e il re di Tebe Creonte che si oppone, e per questo la imprigiona, impersonano una trasposizione letteraria del conflitto del mondo attuale: da una parte la fondazione di barriere che tendono a separare e allontanare e parlano di “clandestinità” e “immigrazione”, dall’altra la legge del cuore e dell’ospitalità.
La raffigurazione scenica della tragedia nell’incalzante dialogo tradotto in lingue diverse tra Creonte e Antigone, è stata interpretata anche attraverso la forza dei gesti e il linguaggio universale della danza. Uno soltanto è alla fine il messaggio che i ragazzi hanno ripetuto ognuno nella propria lingua: “non voglio odio, ma solo amore”. Il senso dell’accoglienza e della tolleranza recepito nell’ambito degli scambi culturali internazionali tra giovani di differente nazionalità acquisisce una maggiore forza all’indomani della tragedia reale che ha sciaguratamente coinvolto alcune giovani studentesse in Erasmus. Il peso ancora più urgente dopo i fatti di Bruxelles di una nuova primavera ha delle radici in esperienze come questa. A raccontarci ancor meglio dell’inedita rappresentazione è proprio Strati: nessuno meglio di lui, per penetrare le fitte trame dell’interculturalità servendosi solo di qualche passo di danza.
– L’idea di questo spettacolo e la partecipazione dei ragazzi, è nata a partire da un’iniziativa del teatro alla Guilla di Palermo. In che modo gli attori sono stati selezionati, provengono da università o da particolari associazioni?
“Lo spettacolo ha avuto la sua genesi e ha potuto essere realizzato perché noi abbiamo vinto l’anno scorso un bando europeo nell’ambito di una graduatoria nazionale. La mia idea di inscenare lo scontro tra Antigone e Creonte è parallela e si può mettere a confronto con il problema attuale rappresentato dall’accoglienza dello straniero all’interno dei confini europei e ha permesso dunque che noi arrivassimo primi a tale concorso. I ragazzi sono stati selezionati dai rispettivi paesi e dalle rispettive associazioni con le quali siamo in contatto. Non si tratta di attori professionisti, ma di un’iniziativa che ha una forza propulsiva nell’ambito degli scambi giovanili: occasioni attraverso le quali i ragazzi si possono relazionare condividendo idee, esperienze, conoscendo la cultura italiana, e mettendosi in gioco per mezzo del teatro, del movimento e della danza”.
– Hai già portato in scena altri spettacoli che affrontano tematiche di interesse sociale, penso al progetto realizzato anni fa a Nairobi. Perché la scelta di rappresentare una tragedia greca, nello specifico l’Antigone di Sofocle?
“Il fulcro centrale, più che la riproposizione della tragedia, è proprio nel dialogo tra i due personaggi capace di incarnare il conflitto tra la legge dello stato e la legge del cuore che nel caso di oggi ho voluto parafrasare nel senso di una rivalsa contro le leggi che dettano i confini. Questo è il motivo della scelta, alimentato poi dalla considerazione che i classici sono sempre attuali quando si riesce ad estrarre il significato che è ancora valido dopo quasi tremila anni”
– L’uso dei movimenti del corpo e la mimica gestuale costituiscono una forma comunicativa che permette di abbattere le barriere linguistiche. In particolare che ruolo ha avuto il linguaggio della danza?
“A proposito del linguaggio espresso dalla danza un apporto rilevante l’ha avuto senz’altro Silvia Giuffrè. Il suo è stato un contributo fondamentale. Silvia ha collaborato con me e ha tenuto delle sessioni di workshop di danza e movimento e ha curato le coreografie dello spettacolo. Sicuramente l’espressività data dai movimenti del corpo ha demolito i confini idiomatici dovuti alla circostanza che si parlassero lingue diverse”.
– Questo spettacolo rappresenta una tappa di un percorso che svilupperai prossimamente e che si concretizzerà attraverso altri progetti analoghi in Sicilia o altrove?
“Allo stato attuale il progetto si è concluso con lo spettacolo di lunedì. La riproposizione in 12 lingue dell’Antigone ha rappresentato la parte finale di un percorso durato dieci giorni con i ragazzi. Riguardo al resto, avremo modo di vedere cosa succederà”.