Uno dei temi che giorno dopo giorno interessa sempre di più l’opinione pubblica, almeno quella più
“avvertita” è quello del binomio infrastrutture-sviluppo.
Occorre premettere che per infrastrutture non devono intendersi solo le opere di collegamento, di
mobilità e di convogliamento di beni economici-materiali che siano, ma anche come azione di
intervento attivo in ambiti territoriali che presentano particolari emergenze e si offrono come leve
per un decollo insediativi e produttivo autoctono1.
Accanto, così, alle reti trasportistiche su gomma, su ferro, via aria e su acqua, e fra queste quale tipo
selezionare e promuovere? -e alle loro intermodalità, acquistano sempre maggiore rilevanza altre
reti, più o meno imposte, e comunque rese necessarie nelle società industriali e postindustriali di
oggi.
Reti acquedottistiche (approvvigionamento, raccolta, regolazione e distribuzione);
impianti di trattamento delle acque reflue, e impianti relativi ai rifiuti solidi (al loro smaltimento e al
loro utilizzo);
alla desalinizzazione delle acque marine; interventi volti alla bonifica di siti inquinati franosi,
previsione e prevenzione delle piene fluviali, politiche avverso la desertificazione…);
politica delle coste in termini anti erosivi e di azioni sia contro l’inquinamento che contro
l’inclusione del cuneo salino; attenzione per le acque sotterranee e per il controllo delle falde;
ma anche reti energetiche ed impianti di coltivazione e distribuzione delle risorse primarie, e anche,
e soprattutto, reti telematiche e informatiche: quelle, cioè, che segnano in misura ormai prioritaria il
grado di maturità tecnologicamente avanzata di un comprensorio.
Pertanto, a partire da un’attenta ricognizione di risorse, una vigile, moderna e sofisticata lettura del
territorio (si pensi alle cartografie tematiche computerizzate, ai Gis, ai Sit…), un ripudio
dell’abbandono delle identità e una valorizzazione di costumi, di tradizioni e specificità in
un’articolata e argomentata cornice di opportunità praticabili, può essere il modus attraverso il quale
coniugare modernità, sviluppo e rispetto dei patrimoni naturali e culturali, dentro una griglia di
priorità attentamente selezionata.
Massimo Veltri -Infrastrutture e Sviluppo Sostenibile
Nell’era della globalizzazione, se ci si omologa si soccombe: se ci si specializza si può competere.
E vediamo come si può competere.
In Italia, fino a qualche anno fa non c’era documento in cui ossessivamente -e qualche volta anche a
sproposito -non comparisse il termine “programmazione”.
Poi ci si è resi conto che una fin troppo rigida concezione dello Stato, una visione eccessivamente
burocratica e vincolistica degli apparati pubblici, un voler “mettere le braghe alla storia”, con
cultura dirigistica e deterministica, non funzionava più, semplicemente non dava risposte, ma
addirittura risultava d’intralcio: era, insomma, l’antipolitica, con tutto quello di negativo che ciò
comporta.
Recentemente è stata abbracciata la cultura della flessibilità e della deregulation, della
liberalizzazione e del procedere per comparti. Anche in questo caso l’esito è sotto gli occhi di tutti,
almeno di quelli che vogliono vedere: per restare nell’ambito degli argomenti qui trattati, scempi
territoriali, prevalere di lobbies, un senso comune e collettivo fortemente affievolito, l’oggettiva
esaltazione di culture darwinistiche, il mercato eletto a unico momento decisionale.
Ultimamente, comunque, si avvertono segnali consistenti, frutto essenzialmente di elaborazioni in
sede di Unione Europea, indirizzate in pratica alle politiche di settore: idrico, idrogeologico,
agronomico, ambientale, urbanistico, paesaggistico, energetico e così via.
Politiche modulabili attraverso piani integrati, improntati, com’è giusto, alla flessibilità e
all’aggiornabilità: una sorta di programmazione “per progetti”, che deve essere comunque, ancora
pienamente esplorata e verificata fino in fondo.
Che senso e quali risultati producono, infatti, piani di bacino idrogeologici, piani di utilizzo delle
acque, piani di trattamento dei rifiuti, strumenti urbanistici, piani d’assetto agro-forestale, piani di
sviluppo dei parchi naturali, piani integrati territoriali e così via…, se non c’è una visione di sistema
che li renda uno congruente all’altro?
Com’è possibile che un piano d’aria vasta, o solo un piano regolatore, si occupi prevalentemente esclusivamente
si può dire -di edificabilità e di aree urbanizzabili, decontestualizzando i comparti
periferici a vocazione produttive in termini di settore primario, e quasi rimovendoli, censurandoli?
E’ possibile, perché la legislazione, la cultura stessa, direi, sottesa a tale impianto era ed è, in natura,
figlia dell’urbanizzazione, della rendita fondiaria, di un modello di società che prevedeva l’esodo
verso le grandi concentrazioni delle città e delle metropoli, l’abbandono delle aree interne, il
sacrificare non solo risorse e comparti, ma stili di vita e modelli di società che avevano fornito
l’imprinting delle società europee.
Ma i nodi, come si dice, vengono al pettine.
Ciò di cui oggi abbiamo estremo bisogno è una visione inserita nella matura, adulta e consapevole
politica ambientale che fa i conti e supera un primo periodo di rigido proibizionistico approccio
ambientalista e individua la sostenibilità (nella sua triplice accezione: economica, sociale e
ambientale) come chiave di volta per una crescita reale.
Anche perché una concezione della crescita, finora assunta come assiomatica, e perciò intangibile,
sembra essere posta da più parti in discussione. Non più, cioè, o comunque non solo, crescitauguale-
sviluppo, aumento cioè, del prodotto interno lordo, della ricchezza, dell’accumulazione.
Si stanno facendo avanti con forza e da più parti approcci nuovi e diversi cha guardano alla qualità
della produzione, alla distribuzione di beni e servizi, al riscoprire peculiarità e tradizioni, alla libertà
e alla centralità dell’uomo.
Quando il premio Nobel Senn pone al centro del suo pensiero proprio la libertà come paradigma
inalienabile e focus essenziale dell’agire umano, centra un obiettivo ben preciso, disegna un
percorso per il nostro futuro: quello dello stop a qualsiasi ipotesi di accumulazione e di sfruttamento
senza frontiere per costruire una nuova società, nella globalizzazione, nel mercato mondiale e
nell’era della comunicazione e dei servizi.
All’interno di un quadro di questo tipo un ruolo decisivo devono svolgere le conoscenze, i saperi e
le loro applicazioni.
Una società complessa ed evoluta deve riconoscere al merito delle cose, all’approfondimento, alla
ricerca, prerogativi, compiti centrali, se vuole ritrovarsi e cercare soluzioni all’interno di una sorta di
entropia generalizzata, così come fondamentale risulta un protagonismo locale (“dal basso”) sia in
termini di progettualità che di gestione (a tal proposito ad esempio, sarebbe stato indispensabile
per le ns. comunità locali partecipare alla redazione dei Piani di Gestione dei Siti della Rete
Natura2000).
Solo qualche esempio, per quanto non banale, sul che fare: valorizzare le bellezze paesaggistiche
del territorio della Provincia, preziosa risorsa sulla quale scommettere per tracciare strategie che
puntino ad un concreto sviluppo economico e sociale, è uno degli obiettivi che, anima tutti coloro
che hanno a cuore i destini della nostra città e della nostra provinciali.
Realizzare il Parco dei Peloritani consentirebbe la valorizzazione degli eccezionali pregi
naturalistici, scientifici ed etnoantropologici dell´area interessata e avrebbe notevoli riflessi positivi
sul piano economico ed occupazionale.
L´istituzione di un Parco Naturale dei Peloritani, inoltre, colmerebbe l´attuale evidente lacuna
esistente nella predisposizione dei cosiddetti “corridoi ecologici” tra il Parco dell´Aspromonte a
nord-est ed i Parchi Regionali dell´Alcantara e dei Nebrodi a sud-ovest.
Il Parco dei Peloritani finirebbe così con il completare un itinerario ecologico interessando l´intero
territorio della Provincia, senza soluzioni di continuità.
A tal proposito è doveroso ricordare che è stato recentemente costituito (2006) a Messina un
Comitato promotore, formato da docenti delle Università di Messina e Palermo, rappresentanti di
Istituzioni provinciali, di associazioni di categoria del mondo agricolo e di associazioni
ambientaliste.
Inoltre tutte le iniziative quale quelle ad esempio su una nuova legislazione per la montagna sono da
condividere ed incoraggiare.
Il compito ed il ruolo dell’Ente Parco di esercitare un costante monitoraggio, standardizzato e
prolungato nel tempo, rappresenta ad esempio un indispensabile strumento per la corretta gestione
degli habitat utilizzati dall’avifauna.
Questo ruolo è peraltro conforme all’articolo 10 della Direttiva “Uccelli” che prevede infatti che gli
stati membri stimolino le attività di ricerca e monitoraggio finalizzate alla conservazione. Sarà
importante che le attività di monitoraggio siano coordinate tra loro in modo da permettere una
valutazione complessiva della funzionalità del sistema IBA (Important Bird Area, aree
importanti per gli uccelli).
La capacità di conoscere il territorio e di intimamente studiarlo, anche nei termini del Decreto sulle
Misure minime di Conservazione dell’ ottobre 2007, consentirebbe di innovare nel profondo sia la
cultura d’impresa che il trasferimento di Know How dalle Università alla produzione e viceversa
con un la costituzione di un Polo Scientifico che funzioni per la collettività e con uno più stringente
e ravvicinato rapporto con la comunità scientifica.
Ci sono risorse finanziarie di rilevanza cospicua (sulle acque, sulla difesa del suolo, sulle coste che
giacciono inutilizzate), che possono essere richieste ed utilizzate a tal scopo.
Il nostro grado di stare al passo coi tempi si misura al gradiente con il quale ci misuriamo con i
prodotti doc, l’agroalimentare e il turismo di qualità; con il prevedere efficienti approvvigionamenti
di risorse primarie e salvaguardare patrimoni naturali insostituibili, quindi acque, difesa del suolo e
coste; Saperi , dunque, innovazione, sviluppo e sostenibilità possono essere i vertici di un
quadrilatero entro il quale avviare una stagione di crescita.
Utilizzare in modo strategico i Fondi Strutturali dell’Unione Europea è ormai indispensabile, e qui
si misura la nostra capacità di utilizzare, con una politica nuova e attenta, le nostre università, i
centri di ricerca, le municipalità ed i nostri giovani.
Concludo con le parole del Dott. Piergiacomo Pagano2 :
“L’uomo ha quindi il diritto di costruire opere, anche ricche e raffinate: strade, ponti, grattacieli,
aerei e tutto ciò che la sua mente può ideare. L’uomo deve affrancarsi dalla paura di toccare il
mondo per rovinarlo, così come dicono molti ambientalismi. Questi ambientalismi sono
conservatori di uno status che non è realtà. La paura, di solito, nasce per mancanza di fiducia nel
prossimo. Paura che qualcuno speculi. Ma questo non è materia ambientale, è materia politica di
Piergiacomo Pagano, “Sviluppo sostenibile, scienza e «ambientalismo propositivo». In Fineschi Fabio (a cura di), “SVILUPPO SOSTENIBILE ” Discipline a confronto in cammino verso il futuro” (titolo
provvisorio), ETS, Pisa, in stampa
trasparenza. E’ lecito costruire reti ferroviarie veloci, grattacieli alti centinaia di metri, ponti
straordinari per lunghezza e bellezza. Molte opere sono criticate.
Per quanto riguarda le reti ferroviarie veloci si dice, ad esempio, che deturpano il paesaggio e che
vengono fatte a scapito di altre opere di necessità immediata. Riguardo al primo punto ci sarebbe
molto da dire visto che in Europa il paesaggio ha poco di naturale (si pensi alle piste da sci che
solcano l’arco alpino). Riguardo il secondo punto vi è da dire che una cosa non esclude l’altra.
Costruire reti ferroviarie veloci non impedisce di creare una rete efficiente per il trasporto locale.
Molte ragioni dell’ambientalismo classico sono fondate e vanno rispettate. Ma se si vuole ritrovare
un mondo in armonia con la natura non si devono negare a priori tutte le opere umane. I grandi
monumenti hanno funzioni diverse e non solo estetiche. I popoli antichi si riconoscevano nei loro
totem attorno ai quali creavano il proprio gruppo, la propria tradizione. Si pensi al Colosseo, alla
statua della Libertà o all’Arc de la Defense di Parigi, un cubo di oltre 100 m per lato rivestito di
marmo di Carrara, granito grigio e vetri a specchio. Opere storiche o rappresentative di spirito
innovatore, di orgoglio. Le grandi opere sono coesione, indotto, molto spesso economico. Creano
lavoro e benessere. Il loro presunto impatto ambientale può essere il cavallo di troia di chi non le
vuole. Se da un lato vi sono pressioni politiche ed interessi per farle, altrettanto si può dire per chi
le osteggia. Non voglio essere di parte, non lo sono. Voglio solo ragionare senza preconcetti.
L’Italia è ferma da decenni. Non solo rispetto ai Paesi dell’estremo oriente, ma anche agli altri più
simili al nostro. Non voglio sposare per intero tutto ciò che viene fatto di innovativo e tecnologico.
Tutt’altro. Sono per la tradizione e sono per non rinnegare il passato, specie il nostro così pieno di
cultura. Sono anche per individuare una via coerente con lo sviluppo che non sia crescita a tutti i
costi. Una via italiana ed europea che dia l’esempio al resto del mondo, che stabilisca il punto di
equilibrio tra stasi e crescita sfrenata su modelli occidentali francamente discutibili. Sono per un
ambientalismo propositivo, appunto, che tenga conto delle difficoltà ma che si muova verso il
futuro.
Considerando che il mondo è in divenire, dobbiamo agire con lo sguardo proiettato al futuro.
Non dobbiamo essere miopi, dobbiamo pensare ai prossimi decenni. E’ in questa ottica che vedo
con favore, ad esempio, il nucleare come fonte di energia.
Il Life Cicle Assessment ci dice che le cose non sono eterne. Una centrale nasce per durare qualche
decennio.
Poi sarà sostituita da altro o il terreno dove sorge sarà rilasciato alla natura.
I prodotti umani non sono eterni, è nella logica delle cose.
Se vogliamo pace ed equilibrio, se vogliamo entrare nella competizione del mondo con le carte in
regola, allora la parola d’ordine è diversificazione.
Credo che, come Italia, Europa, come mondo occidentale che si sta dirigendo oltre la modernità,
abbiamo il dovere di ricercare modelli innovativi di sviluppo, modelli che tengano conto della
tradizione ma si lancino verso un futuro di modernità.
Dobbiamo caratterizzarci per il desiderio di costruire un futuro di equilibrio e moderazione.
Dobbiamo essere un modello per i Paesi in via di sviluppo che cercano di copiarci, purtroppo
anche nei lati negativi.
Se la nostra economia si basa ancora sul vecchio concetto di PIL dove anche la crescita nel
consumo di antidepressivi ci fa ritenere più ricchi, c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui
consideriamo la crescita.
Non abbiamo bisogno di crescita, ma di sviluppo. Sviluppo di tutti i nostri lati creativi. E anche nei
nostri rapporti con la natura dobbiamo agire con equilibrio, considerando che abbiamo un tesoro
da gestire.
Il tesoro naturale creatosi nel corso dei milioni di anni come la biodiversità. C’è un valore
utilitaristico per l’uomo negli oggetti naturali ma ci sono anche valori più spirituali come il valore
che ci regala una passeggiata in montagna. Non abbiamo il diritto di fare ciò che vogliamo della
natura, ma neppure dobbiamo fermarci per la sola paura di agire male.
Dobbiamo ponderare e agire. Agire bene. Abbiamo il diritto, e soprattutto il dovere, di fare
procedere l’evoluzione. E ora l’evoluzione umana si dirige senza dubbio verso l’evoluzione della
cultura”.
La risposta alla domanda sta tutta nel nostro impegno!
Francesco Cancellieri
Presidente CEA Messina Onlus