Nient’altro che un ragazzo, un imberbe chierichetto il nostro Giuseppe. Immortalato a capo chino, gli occhi semichiusi, fieramente umile: tiene una candela fra le mani, sta per porgerla al Cardinale. Chissà che emozione per il giovane Pino. Presto crescerà, dimenticherà quella celebrazione, lo sguardo severo dell’arcivescovo Ruffini, la sua innaturale compostezza, forse persino la sua presunta grandezza. Non dimenticherà però quella “cosiddetta mafia” che il prelato nominava qualche volta, sottovoce. Quella che, a parer suo “è scandaloso che venga associata alla religione, alla DC.” No, non se dimenticherà di certo.
Diventerà grande Giuseppe, diventerà Don Pino. Don Pino Puglisi. Si aggirerà per le strade di una Palermo stanca e rassegnata, parlerà di speranza e di amore ai malfattori, a chi non ha conosciuto altro che il rumore degli spari, senza smettere di sorridere. Già, era sempre sereno, mite, mai adirato. La rabbia del resto non è mai servita a nulla: alle sfuriate ha sempre preferito l’ardore, l’irrinunciabile entusiasmo di chi sa che basta rimboccarsi le maniche perché qualcosa cambi. Basta non avere paura di sporcarsi le mani, di agire sul serio, perché di belle parole recitate da pulpiti e altari ce ne sono già troppe.
Non capita tutti i giorni di incontrare un parroco che siede nelle piazze di quartieri malfamati, attendendo che i malviventi lo avvicinino, solo per scambiare due parole con loro. Non è affatto facile imbattersi in un sacerdote che prende per mano i giovani più scalmanati, sottraendoli alla strada, alla criminalità, alla malavita. Eppure Padre Puglisi, nominato parroco della Chiesa di San Gaetano a Brancaccio, sembra aver trovato la strada giusta. In barba all’antimafia da salotto, non cessa di amare anche chi crede di non avere più speranze, chi è convinto che il suo sentiero sia già tracciato.
Dopo soli tre anni dal suo insediamento nella parrocchia palermitana, il 29 gennaio del 1993 Don Pino inaugurava il centro “Padre Nostro”, punto di riferimento per chiunque avesse voglia di ricevere conforto, sostegno, assistenza. Tutti, nessuno escluso, venivano accolti senza riserve perché l’unico modo per strappare nuovi adepti alla mafia, l’unico modo per tenerli lontani dal malaffare era stingerli a sé, dar loro un’alternativa.
Questo e molto altro ancora costò la vita a Padre Puglisi, riconosciuto martire nel giugno del 2012. Ebbene sì, martire di una criminalità spietata ma non solo. Martire dell’indifferenza delle istituzioni, della noncuranza della classe politica, di un popolo vile, meschino, incapace. Martire, ma non sconfitto. Al contrario, è stata un’indiscutibile e schiacciante vittoria la sua: ce lo dimostra l’operato di centinaia di volontari, dediti al Centro di Accoglienza di Brancaccio, ce lo ricordano innumerevoli scuole, piazze, strade intitolategli negli anni. Più di ogni altra cosa però, ce lo confermano le parole di totò riina, che dal carcere tuona con rabbia: “Il quartiere lo voleva comandare iddu! Ma tu fatti il parrino, pensa alle messe, lasciali stare… Il territorio, il campo, la chiesa, lo vedete cosa voleva fare? Tutte cose voleva fare iddu nel territorio, tutto voleva fare!”. L’intercettazione, che risale al Settembre del 2013, porta alla luce un capomafia frustrato, infuriato, ancora incredulo.
“Ciò che più colpisce – spiega Salvo Palazzolo, redattore di Repubblica – è che proprio un boss mafioso rende noto quale sia la vera antimafia e lo fa scagliandosi ancora una volta, dopo oltre vent’anni, contro Padre Puglisi.” Ed è proprio così, perché la malavita non si cura dei cortei né degli slogan che un giorno l’anno uomini, donne e ragazzi gridano per le strade della Palermo bene. La mafia teme chi non rimane al suo posto, chi la combatte a viso aperto, chi non ha paura di scendere in campo ogni giorno.
Sono trascorsi ben ventidue anni da quello sventurato 15 Settembre, dal giorno in cui un colpo di pistola pose fine all’esistenza di Don Pino. C’è da chiedersi se qualcuno è stato pronto a raccogliere la sua eredità. “Durante il funerale di Pino Puglisi è stato nominato il suo successore: si trattava di Mario Golesano, un prete in ottimi rapporti con Totò Cuffaro che cambiò linea rispetto al suo predecessore e a Rosario Giuè che era stato a Brancaccio prima di 3P. Beh, da quel giorno a Brancaccio non è cambiato un granché, almeno non per merito delle istituzioni.” Così ci parla Salvo Ognibene, giovane autore emergente, che non nasconde affatto il suo disappunto. “Certo, fortunatamente c’è ancora chi, come Don Pino, non rinuncia ad intervenire sul territorio, ma si tratta sempre della minoranza”.
Proprio lo scorso Settembre il Premier Matteo Renzi, in visita a Palermo, ha inaugurato il nuovo anno scolastico, promettendo un futuro migliore per il quartiere di Brancaccio.
Già, peccato che lì non ci sia neanche un asilo.
Eppure il popolo attende speranzoso che questa sia la volta buona, ancora una volta.