“Le donne sono fatte per essere amate non per essere comprese” diceva Oscar Wilde.
“La più stupida delle donne è più intelligente del più intelligente degli uomini”, cent’anni dopo, Luciano Pavarotti.
Il tempo, le lotte, le conquiste, la voglia di riscatto hanno fatto sì che l’idea della donna, caratterizzata in passato da una condizione di inferiorità fisica che determinava la sua subordinazione sul piano sociale, giuridico e politico, mutasse tanto da dare vita a forme di celebrazione che la ritraggono quasi più forte di un uomo. Certo agli occhi di chi è in grado di riconoscerne e non lederne la grazia, di coloro che hanno in cura la sostanza e non abusano della forma.
Quando una donna, costretta dal fato, risce con le sue forze a non esserne vittima, ha vinto già la battaglia che la vita gioca con lei.
Elena Ferro, autrice del romanzo “Così passano le nuvole”, è una donna che possiede una grinta travolgente e una sensibilità spiazzante, modello autorevole dai tratti mielati, estremamente autonoma e indipendente, ha maturato grazie ad un percorso bizantino e alla caparbietà che la contraddistingue la capacità di riconoscere e di riconoscersi all’interno dell’arte della scrittura. Donna di grande impegno politico, attualmente Segretaria Generale Filcams CGIL Torino (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), Segretaria Confederale del Piemonte. Al suo primo esordio narrativo racconta di una donna, Luce, ai vertici di una multinazionale, che di contro alle difficoltà relazionali con gli uomini e alle costrizioni del fato vincerà dimostrando la sua autenticità.
Da quanto tempo meditavi questo romanzo?
Ho cominciato sei anni fa. Scrivere mi ha sempre appassionato, ma per una forma di insicurezza personale ho sempre pensato che potesse non interessare, nè essere efficace. Poi è morto mio padre, mio grande punto di riferimento, e una delle strategie che ho messo in campo incosapevolmente per elaborare il lutto è stata quella di dare un forte impulso alla scrittura, mettendo in gioco ciò che avevo visto e vissuto durante questo lungo periodo della mia esistenza.
Nasce comunque con l’idea di levare qualche critica in una forma meno formale, meno politicamente corretta, a cui sono abituata rispetto al mestiere che faccio.
Qual è il messaggio che hai lasciato sbocciasse?
Sono due. Fondamentali. Mai farsi impietrire dal dolore, per primo. Può diventare qualcosa di positivo, passandoci attraverso crea un nuovo sè e una nuova dimensione intorno a te, non bisogna spaventarsi nè farsi paralizzare da questo, andare avanti, passarci dentro. Viverlo.
Il secondo ha un’ accezione più esistenziale all’interno della vita di una donna. Il romanzo ha due protagonisti speculari, molto femminili: in una società senza riferimenti la cosa piu importante è essere autentici e riferirsi a se stessi, ammettere quello che siamo senza paura, lontano dagli schemi.
Luce è una donna di successo, che ha fatto carriera e vive per questa. All’epoca della crisi, il lavoro è un punto cruciale, hai voluto enfatizzarlo o è discostante questo esempio?
All’interno del romanzo l’aspetto che prevale del lavoro è quello coercitivo, efficiente, efficace, che però maschera le difficoltà relazionali ed emotive di una donna. Al contempo, anche se brevemente, ci sono cenni legati a scelte politiche e amministrative, ai loro effetti e alle conseguenze di chi le compie. Oggi il lavoro è purtroppo subordinato ad un altro genere di interessi, se la società decide di agire, senza preoccuparsi delle conseguenze, nel racconto, una squadra di lavoratori resta a casa perchè non si capisce che il lavoro ha un valore e un senso. La mia intenzione non era quella di teorizzare questo aspetto, bensì farlo arrivare anche a chi non ha mai riflettuto su questo, certo parla un sindacalista, ma non è rilevante. Si tratta di due fenomeni legati all’ambito lavorativo, opposti, molto problematici sia per la crescita dell’individuo sia per la riuscita economica e psicologica della società.
Questo assolutizzare il lavoro non è solo frutto di una spropositata dedizione alla carriera per la protagonista, può essere considerata una costrizione mentale?
Quante donne hanno sentito, non necessariamente in questi termini, la pressione di una qualsivoglia costrizione? tu sei brava se.. se corrispondi all’ideale che io ho di te. O fai la mamma o la donna manager, è importante che tu ricopra esattamente dei ruoli controllabili e ben definiti all’interno della società. In questo caso la protagonista esce fuori dagli schemi perché è una donna manager che si preoccupa delle conseguenze del suo lavoro. Credo che ciascuno di noi ha l’opportunita di sfuggire allo schema.
Qual è la tua esperienza personale a riguardo?
Io sento continuamente la pressione delle aspettative altrui rispetto al ruolo che ricopro. Ma sono un elemento destabilizzante per la società. Intanto perche sono una donna, una donna che non ha figli, proprio come Luce. Sono una donna che rispetto ad altri ha fatto il suo percorso lavorativo, a cui non hanno regalato niente, anzi. Mi sono solo convinta che la gabbia non esiste, riconoscerlo è fondamentale come riconoscere che la sensibilità non è una debolezza e che, soprattutto, dobbiamo vivere e godere della nostra condizione.
Mai rinunciare per accomodare.
È vero che c’è un sistema predominante prettamente maschilista con il quale siamo tenute a confrontarci, ma io, ad esempio, che sono una donna che gestisce un pezzo di potere dentro un’ organizzazione, se mi accomodo sulla struttura e sul modello proposto, l’avrò vissuta veramente la mia condizione di donna oppure avrò vissuto come mi han detto di fare?
Il romanzo tratta bene le dinamiche tipiche del nostro tempo, fugaci, impaurite, delle relazioni tra donne e uomini. Che genere di ritratto hai voluto dipingere della società odierna e dei rapporti interpersonali?
Quello di una società che non sa piu concedersi a relazioni profonde e stabili. Nel romanzo ci sono spesso telefonate e messaggi, questa è la nostra società, il dialogo sta lasciando il passo a dei modi infinitamente piu immediati e certamente piu spiccioli, impersonali e meno approfonditi. È una società che si ritira, e la trovo una questione speculare, uomini e donne fanno fatica a mettersi in gioco in un contesto in cui non hai un lavoro stabile, sei un numero, è difficile essere presenti a se stessi e radicati e non avere paura di lasciarsi andare, dire io so chi sono e non ha paura di perdermi in te.
È dunque una condizione dettata dall’evolversi delle forme di comunicazione, non sappiamo più comunicare?
Per evitare il rifiuto evito la domanda e mi ritiro, su questo siamo molto simili, uomini e donne, frutto della stessa società del piffero che non investe più sulle persone e sulle relazioni. Non è vero che non comunichiamo siamo dei pazzi comunicatori, ma con 140 caratteri come faccio a farti capire come mi sento e poi, a te, interessa come mi sento?
Fabio è il coprotagonista del racconto, fratello di Luce, estremamente sensibile e premuroso. Chiave dell’universo omosessuale all’interno del romanzo, che genere di rilevanza veste questo tema nel tuo scritto?
Non ho dato nessuna rilevanza al tema dell’omosessualità, non perchè per me non ne abbia, ma perché per me è la normalità. E’ un personaggio come gli altri. Volevo un personaggio che fosse femminile ed è venuto fuori così, attraversando la mia personale percezione dell’universo omosessuale a cui attribuisco grande sensibilità e anche un senso di gratitudine. Non vuole caratterizzare il romanzo, i personaggi sono uomini e donne che hanno pari dignità. Anche Fabio innesca in sè un processo di liberazione dalle sue costrizioni, perchè ha dei dubbi sulla sua identità sessuale come Luce con la sua identità sociale e lavorativa.
Senti già di essere diversa adesso che hai messo in pratica questa nuova forma di espressione e riscatto?
È come aprire una finestra meravigliosa sul mondo, che mi permette di nutrire una parte di me, quella che stava in silenzio, con la soddifazione di aver realizzato qualcosa che avevo dentro. Adesso è come se respirassi con un polmone in più. Come questo dialogo oggi, serve a te, ma è un regalo per me, è una svolta che non cambierà il mio modo di essere ma cambierà il mio modo di ricevere.
Giovanna Romano