IL SOGNO DI UNA NUOVA ISOLA POSSIBILE

Panarea ubi prostrata arcis vestigia apparent

Così nel 1588 il Fazello descrivendo Euonymos o Pagnaria la più piccola delle sette perle, con gli occhi rivolti a  Punta del Corvo, acropoli- castello naturale che rappresenta l’unica vetta dell’isola (420 m), oggi raggiungibile da uno dei tanti percorsi naturalistici predisposti, e che doveva presentarsi in antico come un’acropoli naturale ricca di vestigia di un glorioso e fitto passato.

Ma oggi il visitatore si trova dinanzi ad un’isola diversa, conformata alla diatesi di un turismo di lusso ma anche d’assalto, quello di una certa raffinatezza e quello dei barconi mordi e fuggi, e l’isola vaga dentro uno stereotipo che si traduce da una parte in un certo disinteresse del visitatore medio verso possibili forme di evasione e di intrattenimento culturale, dall’altro in una quasi totale assenza di una programmazione culturale.

Questo atteggiamento che nasce di fatto da una non conoscenza della vera natura dei luoghi sembra dimenticare e non fare tesoro di episodi che videro per esempio qui negli anni ’40 nascere due aspetti culturali diversi ed intricanti: la ricerca dell’archè ed il cinema degli abissi. Nel 1947 infatti, proprio dal villaggio dell’età del Bronzo di Punta Milazzese, l’archeologo  Luigi Bernabò Brea cominciò l’esplorazione archeologica delle isole Eolie; nella seconda metà degli anni ’40 nobile siciliano Francesco Alliata di Villafranca qui fondò la casa di produzione cinematografica Panaria Film che, nata con l’intento di documentare la vita sottomarina delle Eolie, divenne di fatto un input ed un volano per una produzione cinematografica che avrebbe di lì a poco reso le Eolie celebri ed appetibili in tutto il mondo. Ma il turismo si sa spesso di muove sulla scia di stereotipi, di opinioni di massa,  ed attraverso l’opinione condivisa ne crea di nuovi; sotto questa lente  Panarea è l’isola griffata, vipparola e fascinosa, nella quale è rigoroso fare il bagno a caccia di baie con la barca e  nella quale la sera imperativo categorico sono l’aperitivo ed i quattro salti griffati e come sardine. L’isola dell’amore grida qualcuno sull’aliscafo nell’annunciare lo sbarco, l’isola dove l’amore è Geco  dice qualcun’altro o della trasgressione possibile, a portata di mano.

Quel che è certo a Panarea la natura domina rigogliosa ed incontrastata ed assume un carattere avvolgente, conturbante, una sinestesia di colori e profumi improvvisi che conducono l’occhio in un crescendo di note. L’isola forma un piccolo arcipelago nell’arcipelago con isolotti che fanno da corona all’isola grande, mete ghiotte di tanti amanti della barca e del relax. Questi isolotti hanno nomi spesso legati alla loro forma: tra questi scoglio la Nave(Petra a Navi), Dattilo che ha la forma di una mano aperta, Basiluzzo, oggi praticamente off limits,  sede forse in antico di un antico Basileus o di monaci legati alla regola di S. Basilio, ma con cospicui resti archeologici facenti capo ad un articolato complesso di età romana con darsena privata, le spiagge di Drautto e di Cala del Morto che ci parlano di storie di vittime e pirati, Bottaro forse chiamato così per la morbidezza del suo dorso, le insidiosissime e piccole formiche, le due lische bianca e nera.  

Ma esiste un genius loci dormiente di quest’isola ed è  il villaggio di Punta Milazzese a mostrarcelo;  Panarea risulta infatti un’isola ricca di giacimenti archeologici che potrebbero tramutarsi in proficue forme di turismo culturale differenziato.  Punta Milazzese permette infatti al visitatore di entrare e calarsi dentro la vita di un villaggio dell’età del bronzo, attraverso un antico passaggiosi trova dinanzi ad una superficie disseminata  di  muri perimetrali riferibili a ventidue capanne di forma ovale, delimitate all’esterno da muri circolari.

Si tratta di un esempio eloquente della configurazione preurbana di un villaggio dell’età del bronzo che  ha restituito frammenti  di forme ceramiche che ci parlano di legami con la cultura di Thapsos, a sua volta influenzata dalla cultura micenea,  ma anche con quella del Milazzese; l’isola dimostra così di essere stata fin dall’antichità punto di transito importante sulle rotte dell’ossidiana e della produzione e scambio di materiali ceramici.

Due bei pannelli in ceramica spiegano figurativamente quale dovesse essere l’aspetto originario del villaggio, mentre una scerbatura più approfondita e qualche delimitazione renderebbe più leggibile e sicuro il sito. Questo luogo, posto su un pianoro difeso naturalmente di incomparabile bellezza che permette all’occhio di librarsi sulle isole vicine dà anche la possibilità di fare un bagno nella baia sottostante di Calajunco, legando in una sola occasione due aspetti ed anime di una possibile vacanza.  Si tratta di fatto dell’unico sito archeologico ad oggi fruibile ma basta fare un salto nel  piccolo ma significativo antiquarium “d’isola” per  immergerci nelle onde della storia e carpire informazioni su altri siti da riscoprire come la Calcara o Drautto lasciandosi  affascinare anche dai magnifici tesori restituiti dal mare.

L’antiquarium di Panarea ed allestito in due ambienti appartenenti alla chiesa di S. Pietro, nasce nel 2006 nell’ambito dell’iniziativa Musei d’isola, frutto di una logica virtuosa di restituzione e contestualizzazione dei reperti nei loro luoghi di appartenenza piuttosto che nel macro contenitore costituito dal Museo archeologico Luigi Bernabò Brea di Lipari, e rappresenta un prezioso scrigno di storia e di identità isolana.

I materiali  oltre che alle testimonianze archeologiche sostanzialmente frutto delle campagne di scavo condotte a Panarea e più in generale nelle Isole Eolie soprattutto dall’archeologo Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, espone pezzi provenienti da relitti affondati nelle aree prospicienti l’isola e beni donati da famiglie dell’isola, oltre che recuperi effettuati dalla Guardia di Finanza- Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico.    

Questi reperti ci parlano della complessa situazione dei giacimenti archeologici di Panarea con l’area della Calcara ed i suoi misteriosi pozzi, il villaggio dell’età del bronzo di Capo Milazzese, la necropoli ellenistico– romana di Drautto  ed il complesso di età romana di Basiluzzo. Sono pezzi di storia che testimoniano una straordinaria sequenza di frequentazione antropica dell’isola che va dal Neolitico Medio all’età tardo romana. Per quanto riguarda la classe di materiali, si tratta perlopiù di reperti ceramici e lapidei, alcuni di una certa particolarità, come i due grandi cippi funerari in pietra di fuardo con iscrizione in greco o l’ancora in piombo; per non parlare dei raffinati corredi funerari da Drautto o delle forme ceramiche facente parte di relitti ancora inglobate, in modo suggestivo,  nelle concrezioni marine.

Un dato importante da sottolineare è che il piccolo antiquarium è stato riaperto solo il 01 Agosto del 2014 ed è il risultato di una sinergia positiva  che ha di fatto interrotto un periodo di chiusura che si protraeva incredibilmente dal 2011; ed ha visto scendere in campo Confindustria Messina il Museo Bernabò Brea di Lipari, professionisti dei Beni Culturali che hanno dato il loro apporto in modo volontario, e gli albergatori dell’isola con a capo l’Hotel La Piazza che facendosi per buona parte carico delle spese hanno voluto fermamente che si riaccendesse a Panarea questo importante faro culturale. Operazioni come questa si muovono nell’ottica di dare un nuovo e rinnovato input ed un certo spessore al filone del turismo culturale che nell’isola dev’essere fortemente ripensato, programmato e messo a punto nell’ottica sia di una destagionalizzazione sia di una proposta più variegata che vada oltre l’immagine un po’ stereotipata dell’isola mondana e modaiola. Panarea insomma è un’isola che può contare su una “natura” ibrida pronta a coniugare nel suo brevissimo perimetro archeologia, storia, mondanità, charme  e paesaggi che si imprimono con persistenza nella memoria.