Il volto sporco della mafia

Guardare il volto sporco della mafia. Guardarlo con gli occhi della chiesa.

Un compito gravoso, oneroso, e rivestito troppe volte con il manto della misericordia. È successo più volte nella storia. Boss mafiosi elogiati per le benemerenze e  dulcis in fundo “riabilitati” post-mortem con esaltazioni ed encomi. Il tutto risuona d’ipocrisia, soprattutto di fronte alla consapevolezza, -impressa d’altronde anche  sui testi sacri- che non è possibile scindere il lato cristiano da quello umano. Segnali forti non ne sono arrivati, a parte l’esempio di uomini di fede coraggiosi, come Don Pino Puglisi.

Ma ora il vento sembra cambiato. Il grido di distanza è lanciato dall’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, che recide i legami con il mondo mafioso, le sue leggi, e le sue angherie, decidendo di non celebrare alcuna messa per il boss Giuseppe Lo Moscolo, arrestato nell’ambito dell’operazione “Nuova Cupola” e deceduto poco dopo. Una semplice preghiera e una benedizione della salma, per la funzione funebre. Intanto, la notizia crea scalpore.

C’è chi giudica favorevolmente la distanza della chiesa.

C’è chi invece crede che in fondo tutti hanno diritto alla messa, in nome della credenza che il giudizio spetta a Dio. Eppure la lotta alla mafia dovrebbe essere un movimento che coinvolga più parti sociali e nel cammino verso il suo sradicamento le forze devono essere molteplici. L’arcivescovo Montenegro non lascia spazio ad equivoci e suggerisce la linea maestra da perseguire nel cammino quotidiano . Il modello è San Calogero. Uomo armato di fede e dell’amore verso il prossimo e in particolare come sottolinea l’arcivescovo il suo esempio rappresenta : “ la pagina scritta da Dio che vale la pena leggere dopo quelle riguardanti la mafia e i mafiosi che i quotidiani ci hanno offerto. È una pagina però che deve farci riflettere, perché la mafia non è solo un argomento da romanzi o da film, la mafia sono volti e storie vere che oggi si intrecciano ed influiscono sulle nostre storie e sulla storia di questo territorio. Sono coloro che, usando la prepotenza e la violenza, decidono sulla vita e sulle cose altrui, sulle scelte politiche come sulle economiche. Sono coloro che per favorire guadagni illeciti e supremazia criminale hanno tutti gli interessi ad incrementare il clientelismo, il controllo sociale, l’emarginazione e a ripudiare le forme pacifiche e oneste di vita.

Sono coloro che non solo creano ma anche approfittano della povertà materiale degli altri, che provocano mancanza di posti di lavoro e povertà culturale, che reperiscono la manovalanza malavitosa, e seminano sfiducia nell’amministrazione pubblica e che sono anche causa della partenza dalla nostra terra di molti dei suoi figli, spesso i migliori. L’esempio migliore poi, che si possa dare, secondo ancora il pensiero di  Montenegro, prevede l’apertura del cristiano al mondo che lo circonda e in  particolare l’apertura al territorio : “Occorre uscire dalle sacrestie, abitare i territori, vivere da credenti e cittadini adulti e solidali, contrastare la prepotenza con la forza della denuncia, ma soprattutto con la testimonianza di una vita buona che non ha paura di andare controcorrente.

Se c’è tanto male attorno a noi non è solo perché molta gente è cattiva e pericolosa ma perché noi, i buoni, non siamo quello che dovremmo essere. Ciò vuol dire che se la mafia è radicata in questa terra è anche colpa nostra”. Insomma la predica trascende i confini di Agrigento e intacca le corde più profonde della cristianità. Il messaggio è chiaro, la lotta alla mafia non avviene solo con i Pater Noster.