Sembra sia al momento finita sui media la periodica emergenza per cui gli under 30 sono tutti degli sporchi drogati senza valori.
Pare che, al momento, siano tornati prepotentemente di moda i momenti di “riflessione” sugli immigrati, perché questo Paese dagli anni ’70 non è ancora uscito, quindi se non è colpa della droga è colpa dei negri che non se ne stanno a casa loro, perché qua ci costano un occhio della testa — e, comunque, c’è sempre una minoranza pronta per la gogna mediatica.
È passata una ventina di giorni dalla morte di Ilaria, qualcuno in più dal caso di Lorenzo (quello che poi non era mica drogato, ma questo forse è passato sotto traccia), mentre sul Cocoricò ormai i battutisti di Twitter hanno ampiamente esaurito le battute. In quasi un mese sono state proposte innumerevoli soluzioni, tra cui “chiudere i posti dove i giovani si drogano”, “aumentare i controlli per vietare la droga”, “vietare ulteriormente la droga” e ci si potrebbe stupire di come nessuno abbia messo ai voti con convinzione una legge per diminuire i bpm (battiti per minuto) in discoteca, perché l’Italia è rimasta agli anni ’70 anche riguardo le idee per risolvere un problema per cui non esistono soluzioni concrete. Si guarda il dito ma mai la luna, credendo che sia l’ambito club a favorire l’uso di determinate sostanze, o che il loro utilizzo dipenda da alcuni stili di vita che si sceglie di seguire. Non è una collezione di piercing a vendere o acquistare di default cristalli, né la passione per determinati tipi di musica a spacciare a piccoli-medi livelli. Quello che manca, in questo paese moralizzatore e sempre pronto a puntare il dito, è quella parte di educazione civica che ti dica “sì, ovviamente puoi farlo nonostante la legge te lo vieti, ma occhio che queste sono le conseguenze fisiche sul tuo organismo“.
Chi scrive queste righe non ha mai assunto alcun tipo di droga, né leggera né pesante. È una precisazione che sono quasi costretto a fare, prima che questo discorso venga scambiato per una difesa d’ufficio del proprio orticello. Il fatto è che chi ha visto i propri coetanei fare i conti con una dipendenza sa che non basta dire “non farlo”, o mettere i sigilli a un locale per diminuirne l’uso. Volendo evitare facili qualunquismi non citerò i vari casi di droga in cui sono coinvolti parlamentari della Repubblica che poi legiferano in modo goffo al riguardo: alla fine dei conti sarebbe un abbassarsi al livello di chi quella luna la vede decisamente fuori fuoco.
Certo, in questa Italia in cui si crescono i ragazzi sin dalla tenera età con l’idea della droga sciolta nei bicchieri a loro insaputa, o con l’immagine delle spade nelle braccia, risulterebbe decisamente eccessivo proporre una campagna di consapevolezza sulla falsariga delle Pubblicità Progresso, ma senza quegli eccessi che nelle scorse decadi hanno svilito l’umanità di chi, di fatto, ha una dipendenza. Se a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 laddroga spegneva, cancellando i bulbi oculari, oggi va preso atto che quella campagna ha creato solo danni, in primis perché ha banalizzato oltremodo un problema fin troppo complesso, e in seconda battuta perché ha demonizzato i consumatori delle varie sostanze, di fatto equiparandoli tout court tra loro e creando mostri moderni come la Fini-Giovanardi (o le dichiarazioni dello stesso Giovanardi, che non perde mai occasione di mostrare la propria scarna conoscenza nell’ambito di uso e abuso di droghe). Sarebbe non solo auspicabile ma addirittura bello (sì: bello) creare un punto di riferimento accessibile a tutti in cui si spiegano gli effetti delle sostanze, la differenza -appunto- tra uso e abuso. Un punto di riferimento da far studiare già nelle scuole, che si basi su dati scientifici e non su slogan, sulla differenziazione delle sostanze e non sulla loro equiparazione, senza avere la paura che i bambini così vengano a contatto con un mondo troppo grande per loro: succederebbe comunque di lì a poco, e in altri contesti magari non avrebbero le armi mentali giuste per capire. Una sorta di educazione civica (materia oltremodo sottovalutata) che possa creare ragazzi consapevoli, liberi di fare le loro scelte ma consci del mondo con cui andranno inevitabilmente a contatto nel giro di pochi anni. Una rivoluzione del pensiero che vada oltre gli schemi del “bello/brutto“, perché è tempo di ammettere che non esistono fantomatici modi per sconfiggere la droga, e per limitarne l’uso probabilmente non è neanche necessario l’utilizzo della forza, né giuridica né fisica.
In un mondo ultra connesso puoi sapere cos’è l’erba ascoltando un pezzo rap, scoprire i cristalli guardando Breaking Bad, conoscere l’eroina in prima serata tv con Le Iene, ma se non hai i mezzi per catalogare le informazioni che sta ricevendo il tuo cervello crescerai creandoti dei preconcetti, positivi o negativi, rischiando quindi di perdere la lucidità necessaria per poter affrontare l’argomento. Walter White è un personaggio e la musica spesso estremizza delle situazioni per esprimere meglio disagio o serenità: tra questo immaginario e la cosiddetta vita vera serve un collante, un cuscinetto che filtri le informazioni e le renda potabili per tutti, distaccando mito e realtà.
È in questo vuoto che un Paese civile dovrebbe inserirsi prepotentemente, colmando una mancanza che non si tradurrebbe con le banalità del giorno dopo la tragedia o con i cerotti sulle crepe di un terremoto ma con una campagna di conoscenza; il problema fondamentale è un altro: si vuole davvero rendere consapevoli sul tema i cittadini di domani, o la “battaglia contro la droga” è un semplicissimo spauracchio da sbandierare ai quattro venti ogniqualvolta viene fuori il discorso sulla legalizzazione della cannabis o, peggio ancora, quando c’è da creare un’ondata mediatica di disgusto contro qualcuno che ha una voce troppo flebile per difendersi?