I servizi alla persona occasione di rilancio economico mondiale. Gli inglesi scoprono il no profit ma in Italia il modello cooperativo resta uno dei più qualificati al mondo, tranne a Messina.
Parlare di Impresa sociale, significa essenzialmente parlare di quei imprenditori che attraverso il business danno risposta a esigenze sociali. La definizione è entrata a tutti gli effetti nella bibbia del business americano, la rivista Forbes che conferma il fenomeno e lo esalta in termini di ricchezza sociale ma soprattutto fonte di guadagno – stavolta senza speculazioni finanziarie – per chi ci investe. Nelle liste del magazine sono elencate le persone più ricche del mondo, le imprese più redditizie, i top manager meglio remunerati non solo della Grande mela ma, di tutto il mondo. Gli imprenditori cosiddetti sociali, entrano per la prima volta tra i big citati.
Si tratta di persone che hanno compreso come i problemi possano essere risolti attraverso forme organizzate di aiuto che a loro volta generano occupazione e professionalità. Il connubio impresa-filantropia trova così la propria forma e sostanza nelle Social Enterpreneurs. Tra le imprese menzionate, la Ignia del 44enne messicano Alvaro Rodriguez, che gestisce un fondo che aiuta propri connazionali ad avere una casa decente. E’ evidente la ricaduta sociale che ogni esperienza di questo genere può avere per le persone svantaggiate.
Recentemente, ha ottenuto grande attenzione l’iniziativa del premier conservatore James Cameron nel Regno Unito. Il 20 dicembre scorso il vicepresidente della Commissione europea con delega alla concorrenza, Joaquin Almunia, ha dato il via libera al finanziamento della BSC – Big Society Capital da parte del governo inglese, definendolo un “progetto innovativo” – appunto – conforme alla normativa Ue in tema di aiuti di stato, aprendo per la prima volta un settore mai esplorato prima e che non ricadesse nel solito calderone dell’assistenzialismo e dell’aiuto statale ai privati.
Di cosa si tratta? Innanzitutto, la BSC è un vettore che serve a recuperare capitali per il sociale, investendo su imprese a vocazione solidale, con interventi specializzati negli investimenti con fini sociali. La Gran Bretagna prova così a rilanciarsi come nazione che traina il vecchio continente su nuovi modelli sociali che superino quello datato dell’Europa franco-tedesca, con eccezione per l’Italia, in cui la presenza di enti caritatevoli religiosi e del mondo della cooperazione, hanno dato comunque un di più alle politiche sociali dei Governi.
Ritornando a Londra: la Big Society Capital gioca un ruolo cruciale – spiegano i pionieri del modello – nello sviluppo dell’investimento sociale, favorendone nuovi strumenti e strategie. A convincere l’Europa è il fatto che i 400 milioni di sterline (quasi 480 milioni di euro, prelevati soprattutto dai conti dormienti), sono in linea con le regole sugli aiuti di stato e il SI di Bruxelles, arriva proprio da chi detiene il portafoglio più potente dell’Ue. Di questo fondo, il governo inglese destinerà un milione al franchising sociale che offre servizi all’impiego per disoccupati di lungo periodo, altre quote – più consistenti – saranno ripartite, invece, tra quelle imprese che operano in aree definite depresse, con una quota destinata a Microcredito, start up e intraprendenza giovanile.
La commissione europea sembra orientata a rafforzare questo tipo di iniziative in tutta Europa. L’ipotesi è quella di un marchio UE, legato al “Fondo sociale per l’imprenditoria sociale”, che permetterà, a quanti volessero investire, di reperire più facilmente i finanziamenti.
Trasformare l’erogazione dei servizi pubblici sfruttando l’ingegno del settore privato, diventa un campo esplorativa che l’Europa per la prima volta attinge da chi europeo non lo è mai stato appieno. Moneta, ordinamento costituzionale, welfare state: il Regno Unito sembra dettare l’agenda sociale alla vecchia Europa, oppure no?
Per l’Europa si è trattato di un nuovo ambito su cui sperimentare le politiche sociali ma, siamo sicuri che non esistano modelli già avanzati di cooperazione ed impresa sociale altrettanto innovativi?
A dirlo è Carlo Borzaga, presidente di Euricse, uno dei centri studi sulla cooperazione e il no profit tra i più qualificati d’Italia e docente di economia a Trento, scettico proprio nei confronti del modello anglosassone.
Euricse è una fondazione di ricerca creata per favorire la crescita e la diffusione di conoscenze e processi di innovazione delle cooperative, delle imprese sociali, delle organizzazioni non profit e dei commons. Borzaga, senza mezzi termini, afferma come l’Italia sia più avanti e a ragione di questo, ripercorre la legislazione nazionale sul Terzo settore, ricordando l’approvazione di importanti testi di legge.
Era il 1991 quando il Parlamento italiano approvava la legge sulla cooperazione sociale, la legge 381/91 e lo stesso anno la legge sul volontariato, la 266/91. Da un parte, quindi, l’area dell’impresa sociale, dall’altra l’ambito della gratuità.
L’Italia è più avanti!
Secondo gli ultimi dati, forniti dalla Camere di commercio, le cooperative sociali in Italia hanno circa 7 miliardi di investimenti, a dimostrazione di una maturità maggiore del nostro Paese. E’ il caso delle BCC (Banche di credito cooperativo) nate sulla scia delle più limitate casse rurali di mutuo aiuto tra soci. Ebbene, il 70% degli utili è a disposizione per le imprese facendo proprio leva sulle risorse dei soci. Lo stesso Borzaga, ricorda che il modello italiano della cooperazione rappresenta di per se un elemento innovativo migliore dell’esempio inglese.
Partendo dal presupposto che il sistema di protezione sociale vada ripensato, perché ormai giunto al termine della propria mission, il docente trentino richiama quella parte di cooperazione che ha abdicato alla propria specificità di innovazione sociale, preferendo operare come fornitore della pubblica amministrazione, in cui nessun ruolo è riconosciuto al proprio essere parte attiva della cittadinanza.
“Se oggi il welfare italiano è fatto anche di servizi e non solo di trasferimenti monetari; se lo stesso sistema opera sempre più spesso a livello locale cogliendo meglio i bisogni e intercettando nuove risorse; se sono state inventate attività, come l’inserimento lavorativo e i servizi sociali a domicilio, – afferma il presidente di Euricse – ebbene tutto questo è in gran parte merito della cooperazione sociale”.
L’unico vero ostacolo in campo europeo è visto da Borzaga proprio nella mancata omogeneità giuridiche. E l’origine precomunitaria della legislazione italiana, rischia di essere uno svantaggio se consideriamo che per avere i finanziamenti occorre far leva sull’Europa.
Ma più che una omogeneizzazione europea, forse occorrerebbe una regolamentazione interna al nostro Paese. Potremmo chiedere al Prof. Borzaga cosa ne pensa delle gare di appalto per i servizi di gestione nella Provincia di Messina o a Messina stessa. Come mai in alcune città i servizi delle cooperative raggiungono livelli ottimali di soddisfacimento delle persone, mentre da noi proliferano le vertenze di messa in mobilità, licenziamento e uso improprio delle cooperative per fini elettorali?