IN SALOTTO CON LETIZIA BATTAGLIA

Ci accoglie con uno sguardo assonnato Letizia, avvolta nella sua lunga vestaglia turchese e con in mano una sigaretta non ancora accesa. I convenevoli sono pochi, le occhiate molte: mi studia curiosa mentre mi accomodo in soggiorno, la sua fronte si increspa, le sue labbra accennano un sorriso.

La Battaglia non ama le formalità, ma sembra contenta della mia visita.

Madre, fotoreporter, artista di indubbio talento mi fissa lungamente in attesa di qualche domanda, dibattuta tra curiosità e insofferenza. Prendo coraggio: inforco gli occhiali e brandisco la penna, mentre Pippo, il cane di casa, mi mordicchia le caviglie in cerca di attenzioni. Che la nostra chiacchierata abbia inizio.

 

Cominciamo con una considerazione sulle numerose associazioni agiscono in nome dell’antimafia. Quanto il loro operato è determinante nella lotta alla criminalità organizzata?

“Innanzitutto è bene precisare che esistono delle associazioni che agiscono in favore del vivere civile. La parola antimafia ha un retrogusto sbirresco, mentre si tratta di ben altro: si fa riferimento ad un’intera vita vissuta nel rispetto, nella legalità e nella generosità.

Detto questo, ci sono associazioni molto impegnate, fra queste “Antimafia Duemila”, chiaramente molto più di una rivista, “Addio Pizzo” e naturalmente “Libera”, portata avanti da una persona meravigliosa, Don Ciotti. Non si può negare che ci siano anche delle organizzazioni nate dalla furbizia di chi agisce mosso soltanto dal desiderio di accumulare contributi. Non ho nulla contro i contributi, che ben vengano, ma ci si riempia le tasche in nome dell’antimafia non mi sta bene. D’altronde la società è complessa, non esistono soltanto persone oneste e questo anche nell’ambito delle fondazioni.”

 

Lei viene da un passato infuocato, dove la fotografia era senz’altro imprescindibile testimonianza. Ma cosa dire della situazione attuale? L’immagine è ancora un importante strumento di denuncia?

“In realtà non lo è mai stato. La fotografia non ha alcun potere, fuorché quello di documentare i fatti. Insomma, non è con qualche scatto in più che si vincono le battaglie.

Certo, un’immagine può essere toccante, commovente, spaventosamente disarmante, fare il fotografo non è semplice, richiede molto impegno e sacrificio. Basti pensare ai colleghi che attendono gli sbarchi dei migranti al porto: passano giornate intere a rincorrere lo “scatto perfetto”, non si arrendono, faticano tanto. Questo è senza dubbio encomiabile ma la fotografia non ha un potere assoluto.”

 

Ma può dare comunque un contributo significativo

“Certo, come ogni cosa. Anche fare la spesa al supermarket e scegliere esclusivamente frutta di stagione può considerarsi un contributo, così come non acquistare pellicce. Tutto può concorrere allo sviluppo della società civile. Del resto non è solo la mafia a piagare la nostra Sicilia, ma tutti i problemi tipici delle società postindustriali. Non basta voler combattere la criminalità organizzata, piuttosto si dovrebbe cercare di agire nel rispetto del sociale, vivere la quotidianità con etica e cognizione.”

 

Se è vero che la fotografia non ha un potere assoluto, si tratta comunque di uno strumento di grande valore, artistico e mediatico. In passato è riuscita a servirsene al meglio, riuscendo ad essere sempre al posto giusto, al momento giusto. Com’è stato possibile?

“Beh, un fotoreporter sa sempre come organizzarsi. Quando lavoravo al giornale L’Ora a Milano, in redazione c’era una radio che comunicava con quella della polizia. In questo modo venivamo a conoscenza di ogni movimento, era parecchio utile. Inoltre ogni qualvolta si verificava un fatto degno di nota, chiunque fra amici e conoscenti ci chiamava immediatamente.

Certo, era difficile, non c’erano i telefoni cellulari né la connessione wifi: ovunque andassi, cinema, ristoranti, luoghi di ritrovo, dovevo informare il giornale e lasciare un recapito. Ero perennemente rintracciabile, in qualunque posto mi trovassi.”

 

Cosa significa essere fotoreporter al giorno d’oggi?

“Come ho già detto, in passato non era facile. Anche oggi però non è una passeggiata: i giornali non vendono molto, è un momentaccio per l’editoria e a farne le spese sono anche i fotografi. Molte cose stanno cambiando, direi precipitando. Non so ancora cosa accadrà, ma so che mai il valore della fotografia è stato così basso, e così quello della carta stampata. È come se ci fosse un’inflazione, ormai le testate accettano collaborazioni da chiunque, i dilettanti la fanno da padrone mentre non sembra esserci più posto per la buona fotografia ed il giornalismo autentico. Non si guarda più alla qualità ed è questo il vero decadimento.”