ITALO CALVINO ALLA VILLA ROMANA DI PATTI

Conosce quella donna?” “ Si credo di averla vista,

conoscere è una parola grossa

 

Comincia così, sulle note di Alida De Marco(flauto) e Giuseppe Mangano(chitarra)  il fitto dialogo alla ricerca di una donna misteriosa; non tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, come nel romanzo, ma la personale indagine di un sognatore( Luca Fiorino) ed un uomo violento ( Angelo Campolo); l’uno la sogna ad occhi aperti, rievocando i suoi occhi, le sue mani, il ritmo del suo respiro; per l’altro la donna è carnale, sensuale, materiale.  

Una donna che scopriremo progressivamente essere la città stessa, tutti la sognano ma da sveglio nessuno la incontra più,  donna che è insieme simbolo concreto e metafisico, allegoria di un concetto denso e complesso, un ordine possibile nel caos del reale.

Fondale della scena la Villa Romana di Patti, per una volta, non al centro di cronache note riguardanti lo stato dei suoi mosaici ma, per una felice intuizione artistica, palco e momento di connessione con la città invisibile di Calvino, nel secondo spettacolo del festival il Teatro dei Due Mari.

In ogni città si ricordano di lei, la donna misteriosa, in modo diverso, per esempio nella città dei rapporti la donna per esistere deve appartenere a qualcuno, nella città dei rapporti sono poche le famiglie che contano e tessono dei fili, sono primari, politici, professori universitari,  e quando i fili sono tanti strozzano i cittadini e li costringono ad andarsene anche se permangono i fili e chi li sostiene.   

Ma per il sognatore, nonostante tutto, “ Lei è in rapporti con i fiori come se la terra fosse a colori, lei è in rapporti con la musica che è il rumore del mondo e con il mare vastissimo” nella grettezza e nell’angustia delle città, delle terre di passaggio,  che i due attori toccano nel loro viaggio, città di necropoli e di tubi d’acqua che svettano verso il cielo come alberi, città strette da mondezzai, la scintilla della speranza attraverso il sogno, la bellezza e la poesia fortunatamente permane.  

Angelo Campolo classe 1983 artista versatile che si districa tra teatro, cinema e televisione,  direttore della compagnia Daf parla così di questa riscrittura omaggio ad Italo Calvino: ”un altro esito di uno spettacolo in costruzione visto che tradurre Calvino in teatro non è semplicissimo, tutto è cominciato  nel Marzo del 2015, nella chiesa di S. Maria Alemanna nell’ambito della rassegna Atto Unico di Auretta Sterrantino.

Alla domanda “ Quanto è invisibile un artista in una città come Messina?” “ Nel mio pensiero sono un po’ controcorrente;  c’è un pubblico che risponde e tante personalità artistiche che trovano spazio, cosa che in altre città non è così scontata. Messina e provincia sono ricche di  spazi e personalità, penso a Tindaro Granata, Simone Corso ma anche a Nino Frassica e Moschella. La nota dolente è l’atteggiamento delle istituzioni che si traduce, spesso, in un atteggiamento assistenzialista e “localista”, mentre molto più stimolante sarebbe l’idea di una scommessa. Come quella sfida che continuamente Calvino lancia al lettore per riuscire a cogliere il “discorso segreto”, le “regole assurde” e le “prospettive ingannevoli” della storia. 

Vivo ed opero a Messina, senza perdere il piacere di fare esperienza anche altrove; del resto  lavorare sul territorio, come ho avuto modo di sperimentare, non solo risponde ad una indicazione legislativa ma è molto stimolante.”  

“ Sul palco un’indagine che, a dire dell’altro protagonista Luca Fiorino, ci parla della doppiezza e  sperimentazione linguistica della scrittura di Calvino che con un’epifania di immagini può rivelare il senso dell’esistenza  ma anche un senso di smarrimento e illuminazione insieme tipico dell’ipnosi. Sicuramente Calvino è tra gli autori più ipnotici che io conosca”.

Del resto l’essenza stessa del teatro è proprio andare oltre il nascondimento del senso vero dell’esistente; infatti le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra”.

Giuseppe Finocchio