“Donne di mafia, ribellatevi. Rompete le catene, tornate alla vita. Sangue chiama sangue, vendetta chiama vendetta. Basta con questa spirale senza fine. Lasciate che Palermo rifiorisca sotto una nuova luce, nel segno dell’amore di Dio. Lasciate che i vostri figli crescano secondo principi sani, capaci di esaltare quanto di bello c’è nel mondo“. È l’appello rivoluzionario della signora Filippa Inzerillo pubblicato dal “Giornale di Sicilia” il 2 novembre del 1996. Sono parole che escono dalla bocca della moglie di Salvatore Inzerillo esponente di spicco di Cosa Nostra . Si tratta di un messaggio di cambiamento, di conversione rivolto alle donne mogli di mafiosi.
Non sono molte le storie di vita di donne di mafia che conosciamo. Conosciamo la storia di donne che hanno deciso di seguire il marito, donne che difendendo strenuamente i propri uomini, mariti, fratelli, padri, e che all’occorrenza prendendo il loro posto negli affari di famiglia; ci sono donne che si ribellano pur sapendo che questa scelta metterà pericolosamente a rischio al loro vita, tanto è lo sdegno verso quel sistema mafioso, che decidono di collaborare e cercare una nuova vita altrove; ci sono donne che non reggono il peso dell’essere figlie di mafiosi, sorelle di mafiosi, collaborano, ritornano per gli affetti, gli stessi affetti che pare bramino la loro morte.
Alla prima scelta di vita appartiene Ninetta Bagarella e Saveria Palazzolo, rispettivamente moglie del boss Totò Riina e Bernardo Provenzano. In parte, rientra anche la storia di Vincenzina Marchese, moglie di Leoluca Bagarella
Della seconda fanno parte donne come Giusy Vitale , come Giuseppina Pesce; della terza scelta di vita fa parte Lea Garofalo (assassinata), Maria Concetta Cacciola (suicidata).
È una scelta di vita quella di Ninetta Bagarella che ha condiviso ben venticinque anni di latitanza col boss dei Corleonesi, Totò Riina. Rientrò con tutti i figli a Corleone, suo paese di origine, solo quando il marito venne arrestato. I figli di Riina, Giovanni e Giuseppe , portare avanti l’esempio e gli insegnamenti appresi in famiglia, essendo stati accusati di associazione di stampo mafioso e il più grande Giovanni a soli venticinque anni è stato condannato all’ergastolo.
Ninetta Bagarella è una donna che ha vissuto nella mafia da quando è nata. Leoluca Bagarella, definito il sanguinario e considerato il braccio destro del capo mafia dei Corleonesi, è il fratello. Sin da piccola abituata ad essere braccata dalla polizia, abituata a fuggire, così ha fatto anche nelle vesti di moglie, nei molti anni di latitanza, difficile immaginarla capace di scelte diverse da quelle che ha fatto.
Durante il processo del 1971 dice del marito …“L’ho scelto, prima perché lo amo e l’amore non guarda a tante cose, poi perché ho in lui stima e fiducia, la stessa stima e fiducia che ho in mio fratello Calogero, ingiustamente coinvolto in tanti fatti. Io amo Riina perché lo ritengo innocente. Lo amo nonostante la differenza di età, 27 anni io, 41 anni lui. Lo amo perché anche la Corte di Assise di Bari, con la sua sentenza del 10 luglio 1969, mi ha detto che Riina, assolto con formula piena da tanti delitti, non si è macchiato le mani di sangue”.
Anche Benedetta Saveria Palazzolo, moglie di Bernardo Provenzano proviene da una famiglia di Cinisi legata agli ambienti mafiosi. La sua vita si può semplificare in poche parole, di professione casalinga, sparita per molto tempo dal suo paese, risulta proprietaria di un importante patrimonio.
Secondo i giudici di Palermo questo importante patrimonio era proveniente dalle attività illecite dei fratelli e del proprio uomo.
Per la donna si tratta di … “Falsità sono soldi che ho guadagnato col sudore della fronte facendo la camiciaia e pantalonaia” e anche la badante della zia paterna Benedetta Palazzolo, che acquistò per la nipote prediletta i vari beni-
Nel 2006 veniva arrestato Bernardo Provenzano. Tra i tanti pizzini ritrovati, diversi erano messaggi di affettuosità da parte di moglie e figli. Questi ritrovamenti provano il costante contatto tra i membri della famiglia Provenzano.
Saveria Palazzolo e Ninetta Bagarella, scelgono di stare accanto ai propri mariti…
Ma le donne degli uomini di mafia, non sono tutte uguali, non sono tutte cosi forti e fiere dei loro uomini, capaci di stargli accanto a tutti i costi e crescere i propri figli con gli stessi ideali dei padri, mariti o fratelli.
Una di queste donne è Vincenzina Marchese. La sua morte è stata avvolta nel mistero per molti anni, figlia e sorella di mafiosi, moglie di Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. Leoluca Bagarella si sposò con Vincenzia Marchese nell’aprile del 1991. Il matrimonio veniva osteggiato da Totò Riina e dalla moglie Ninetta, sorella di Bagarella, per questioni di onore legate alla famiglia di origine di Vincenzina Marchese, che si riveleranno ancora più drammatiche, quando un fratello di Vincenzina, Pino Marchese, nel 1994 cominciò a collaborare con i magistrati. Questo tradimento fu vissuto nella famiglia come un marchio d’infamia per Leoluca Bagarella, e sconvolgente per la moglie che viveva nella paura che il fratello fosse ucciso.
I legittimi dubbi sulla sua morte scaturiscono inoltre, dal fatto che il corpo della donna non è mai stato trovato. Secondo il racconto dei pentiti Pasquale Di Filippo e Tullio Cannella, la donna si sarebbe uccisa da sola.
Bagarella amava la moglie. I suoi fedelissimi, raccontarono che la donna era depressa, aveva appena avuto il secondo aborto spontaneo nell’arco di due anni. Aveva già tentato una volta di lanciarsi dal balcone, ma era stata bloccata dagli uomini del marito, che erano a casa loro. Qualche mese dopo però Vincenzina, rimasta sola nel suo appartamento, riuscì nel suo intento e si impiccò. Tullio Cannella dichiara che “Bagarella mi telefonò dicendomi di andare subito da lui e quando arrivai trovai il cadavere di Vincenzina che era stato già adagiato sul letto”, aggiungendo che furono lui e altri “picciotti” ad aiutare il boss a trasportare il cadavere. «Per evitare che qualcuno si accorgesse che Vincenzina era morta la vestimmo di tutto punto, le mettemmo il cappotto e la pettinammo”. La donna fu quindi infilata nell’auto del boss e da allora di lei non si è saputo più nulla.
La storia di vita di Vincenzina Marchese che conosciamo, si interrompe qui. Non sappiamo ancora se si sia trattato veramente di suicidio o di uxoricidio e forse, non lo sapremo mai.
Diversa è storia di vita di Giuseppina Pesce. Figlia del boss Salvatore Pesce, fratello di Antonino Pesce, storico capo dell’omonima consorteria criminale di stampo ndranghetista. Ci troviamo a Rosarno, nella Piana di gioia Tauro, Giusy Pesce, decide di collaborare con gli “sbirri”.
Il contributo fornito da Giuseppina Pesce è estremamente significativo, soprattutto se si considera che ci troviamo nell’ambito di una realtà criminale difficilmente penetrabile e poco permeabile a fenomeni collaborativi.
Giuseppina Pesce, cresce in un contesto fatto di mafia, fu arrestata per associazione mafiosa ed altri reati con provvedimento del giudice confermato dal Tribunale del riesame e dalla Corte di Cassazione. Il 14 Ottobre del 2010, la svolta della sua vita, decide di collaborare con l’autorità giudiziaria.
La dichiarazioni rese durante la collaborazione hanno permesso agli organi inquirenti di conoscere elementi utili per l’operazione “All inside” e per la recente sentenza con rito abbreviato nell’ambito del processo alla cosca Pesce conclusosi con una condanna a 20 anni di carcere per il cugino, Francesco Pesce.
La decisione di collaborare è comprensibilmente attraversata da crisi, rischia di saltare spesso per la lontananza dai figli e per le notizie che le giungono dai figli stessi
… Nel corso dei colloqui in carcere con i miei figli, ho appreso che i parenti di mio marito li maltrattano: mia cognata li ha cacciati da casa sua e li ha mandati da mio suocero»..
….«Non gli danno da mangiare adducendo di non avere più soldi a causa del pagamento del mio difensore. Il piccolo Gaetano mi ha raccontato che viene picchiato dal nonno con una cintura, circostanza confermata dalla mia figlia maggiore».
La sua collaborazione riprenderà nel 2011, per tale motivo verrà ripudiata dalla famiglia, ma il suo percorso, la sua storia di vita continua ancora, ed è lei stessa a riscriverla con decisione.
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Quel che è certo è che la storia di Giuseppina Pesce ci riserverà ancora tanti colpi di scena e particolari macabri di una realtà quella della ‘Ndrangheta rimasta per troppo tempo taciuta.
È tutta da raccontare la storia di Maria Concetta Cacciola, cugina di Giuseppina Pesce, morta nell’agosto 2011 suicida, dopo aver ingerito acido muriatico. Sono in molti ad avere dubbi su questo suicidio, primi gli organi inquirenti.
Non ci crede neanche la cugina, Giuseppina Pesce e lo dice in un udienza del processo “All inside” del febbraio 2013: «Per quanto ho avuto modo di conoscerla Maria Concetta non sarebbe stata mai capace di togliersi la vita». Imputati della morte di Maria Concetta, accusati di induzione al suicidio e maltrattamenti, sono il padre Michele Cacciola, il fratello Giuseppe e la madre Rosalba Lazzaro.
Saranno le indagini e il processo a dirci come finisce la storia di Cetty, come tutti la chiamavano. Al momento rimangono molti dubbi sulla sua morte e lo scenario più verosimile che si prospetta, assomiglia in ugual misura ad un film drammatico, così come ad un film dell’orrore.
Il simbolo del cambiamento sono ancora una volta le donne, capaci di fare scelte coraggiose, nella speranza di un futuro migliore.
Per i boss , sono “Donne che danno il cattivo esempio” . “Figure di confine” le definisce Dino. “Luminose costruttrici di libertà” secondo Simona Mafai. Non vogliamo mitizzarle. Sono importanti come elemento di comprensione perché ci fanno da specchio: fanno vedere in tutta la sua evidenza cosa si scatena nel Sistema quando una donna si sottrae al ruolo di “trasmettitrice del pensiero del padre che le vuole mute e prive di desideri” (Dino).