Tutti abbiamo negli occhi le immagini delle innumerevoli tragedie consumate sulla pelle di chi fugge dai propri paesi per cercare fortuna altrove. La coscienza non sa non tacere davanti alla tratta di immigrati, delle donne abusate e uccise sotto la mano implacabile di uomini privi di umanità, delle guerre tra etnie spesso sostenute economicamente da quanti a Washington come a Roma producono quelle stesse armi che poi disconoscono nelle sedi internazionali. La storia di migliaia di uomini e donne indifesi spesso passa inosservata davanti alla cronaca. Qualunque siano le considerazioni sulle tragedie, restano le immagini di quei giorni e ai testimoni resta solo una cosa da fare: documentarlo!
Denunciare la mancanza di rispetto per la dignità umana è sempre costata in termini di vite e di impegno da parte di reporter e freelance costretti a seguire da vicino il dramma di cui vogliono rendere testimonianza al mondo intero. Tutti ricordiamo i servizi “off limits” si Fabrizio Gatti, l’inviato del Corriere della Sera. Sono sue le sue inchieste sui clandestini di Lampedusa, sul trattamento riservato ai profughi kossovari, sugli sfruttati nei campi di Puglia dal titolo “Io schiavo di Puglia” e sugli accordi economici tra il nostro paese e il regime eritreo di Isaias Afewerki, quest’utlimo messo in onda sul sito de L’Espresso. Non occorre però spostarsi nei campi di prigionia libici per rischiare la propria vita pur di dimostrare le barbarie di quei luoghi. Basta uno scatto, un dialogare di obiettivi fotografici ed espressioni visive in cui il fotografo cede spazio al vissuto del proprio soggetto, provando ad essere terzo rispetto ad una storia che già conosce ma che prova a raccontarre attraverso, appunto, le immagini (l’obiettivo che narra).
“Survivors”, questo il titolo della serie di ritratti presentati in bianco e nero dal fotografo palermitano Valerio Bellone, tra i finalisti del concorso
fotografico internazionale Sony World Photography Awards 2014, vuole dare “riconoscibilità” a chi ancora oggi è costretto a fuggire da guerre, carestie e miseria. Un lavoro che ruota attorno al tema della migrazione di massa dall’Africa all’Europa, raccontata sempre più spesso in maniera anonima e disumanizzante. Valerio Bellone restituisce, attraverso la fisicità dei volti fotografati, la forza del simbolismo racchiuso in un gesto necessario: la fuga.
“Il 27 settembre 2013, una barca da Misurata, in Libia, è intercettata al largo dell’isola di Lampedusa. A bordo ci sono 183 immigrati, 178 uomini, 4 donne e una bambina. Arrivano da svariati paesi africani: Eritrea, Gambia, Mali, Senegal, Sierra Leone, Somalia e Sudan. Quelli che arrivano vivi in Europa, descrivono la Libia come ‘una terra di nessuno, ognuno ha una pistola, anche i bambini, spesso ti sparano solo per divertirsi’, dove vivono mesi di riduzione in schiavitù, prigionia, tortura e ricatto”.
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